Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17070 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 11/08/2016, (ud. 10/06/2016, dep. 11/08/2016), n.17070

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 344-2014 proposto da:

LEDI S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, al viale delle MILIZIE 34, presso

lo studio dell’avvocato ROCCO AGOSTINO, rappresentata e difesa dagli

avvocati ANTONINO BUTTA’ e VINCENZO RUSSO, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

ENEL SERVIZIO ELETTRICO S.p.a. (OMISSIS), società con unico socio

soggetta a direzione e coordinamento di ENEL S.p.a., nella qualità

di Procuratore, elettivamente domiciliata in ROMA, al viale delle

MILIZIE, 38, presso lo studio dell’avvocato PIERFILIPPO COLETTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE DI MAURO, giusta

procura in calce del controricorso;

– controricorrente –

nonchè contro

FALLIMENTO della LEDI S.r.l.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1826/2013 del 11 ottobre 2013 della CORTE

D’APPELLO di CATANIA, depositata il 25/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/06/2016 dal Consigliere Relatore, Dott.ssa. Cristiano Magda;

udito l’avvocato Stefania Coletti, per delega dell’avvocato Di Mauro,

difensore del contro ricorrente, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

E’ stata depositata la seguente relazione:

1) La Corte d’appello di Catania ha respinto il reclamo proposto da LEDI s.r.l. contro la sentenza dichiarativa del suo fallimento, emessa dal tribunale ad istanza della creditrice Enel s.p.a.

La corte territoriale ha escluso che la società, che non aveva provveduto al deposito dei bilanci d’esercizio del triennio antecedente la dichiarazione di fallimento e non aveva neppure presentato una situazione patrimoniale aggiornata, avesse assolto all’onere probatorio che le incombeva, di dimostrare il mancato superamento dei limiti dimensionali di cui alla L.Fall., art. 1, comma 2, non desumibile dalla mera circostanza del rilascio, sin dal 2009, dell’immobile condotto in locazione nel quale si svolgeva l’attività di impresa, atteso che la società ben avrebbe potuto intraprendere altrove l’attività, e che, in ogni caso, non era stato in alcun modo documentato l’ammontare effettivo dell’indebitamento.

La sentenza e stata impugnata da LEDI s.r.l. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui Enel Servizio Elettrico s.p.a. ha replicato con controricorso.

2) Con il primo motivo la ricorrente premesso che la non assoggettabilità a fallimento di un’impresa per il mancato raggiungimento dei limiti dimensionali di cui alla L. Fall., art. 1 comma 2, può essere provata non solo attraverso il deposito dei bilanci di esercizio, ma anche in base a dati documentali altrettanto significativi – sostiene che la corte territoriale avrebbe travisato il contenuto dei documenti prodotti in giudizio, dai quali si desumeva non già il rilascio dell’immobile condotto in locazione ove veniva svolta l’attività di impresa, ma la cessazione di tale attività, consistente nella conduzione in affitto di un’azienda di campeggio di proprietà di terzi, cagionata dalla vendita all’asta del terreno ove il campeggio insisteva, cui era conseguita la cessazione di ogni suo reddito.

2.1) Col secondo motivo la ricorrente assume che la corte del merito, affermando che essa non aveva fornito la prova di non aver più esercitato altra e diversa attività, avrebbe pronunciato ultra petita, in quanto la controversia con la creditrice istante concerneva unicamente l’attività di gestione del campeggio, e violato anche il principio del contraddittorio, introducendo un nuovo argomento ed onerandola di una prova negativa che essa non avrebbe mai potuto fornire.

3) Con il terzo motivo lamenta che il giudice del reclamo non abbia tenuto conto che dall’istruttoria prefallimentare non erano emersi altri debiti al di fuori di quello contratto nei confronti dell’Enel.

I motivi, fra loro connessi ed esaminabili congiuntamente, appaiono manifestamente infondati o inammissibili.

4) Va in primo luogo rilevato che oggetto del procedimento di cui alla L. Fall., artt. 15 e segg., è l’accertamento dello stato di insolvenza del debitore, e non già una domanda di pagamento del credito del creditore istante, sicchè risulta incomprensibile la censura con la quale si lamenta la violazione del principio della domanda; va escluso, per altro verso, che la corte del merito abbia violato il principio del contraddittorio, atteso che la prova del possesso congiunto dei requisiti di non fallibilità di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, spetta al debitore fallendo e che la LEDI ben avrebbe potuto fornirla producendo i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi ed i relativi documenti contabili.

4.1) La censura con la quale si deduce il travisamento dei documenti prodotti (peraltro non allegati specificamente al ricorso, secondo quanto richiesto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), non tiene invece conto che la corte territoriale ha dato atto che l’attività di impresa in origine condotta dalla ricorrente risultava cessata e non chiarisce le ragioni per le quali l’ulteriore assunto del giudice, secondo cui LEDI avrebbe comunque potuto intraprenderne una nuova e diversa, risulterebbe errato solo perchè la cessazione era dovuta allo scioglimento di un contratto di affitto d’azienda e non di locazione.

4.2) LEDI, infine, non tiene conto che l’esistenza e l’ammontare del credito del creditore istante risultano rilevanti ai fini della legittimazione alla presentazione dell’istanza di fallimento ed alla sua procedibilità L. Fall., ex art. 15, u.c., ma non ai fini dell’accertamento dell’ammontare complessivo dell’indebitamento.

Si dovrebbe pertanto concludere per il rigetto del ricorso, con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne ha condiviso le conclusioni, non utilmente contrastate dalla ricorrente nella memoria depositata.

L’onere di provare il mancato superamento delle tre soglie dimensionali al di sotto delle quali non può farsi luogo alla dichiarazione di fallimento incombe sul debitore.

Può convenirsi con LEDI che, anche in mancanza di deposito dei bilanci, l’avvenuta cessazione da molti anni dell’attività di impresa valga, quantomeno in via presuntiva, a provare che,nel triennio anteriore alla presentazione dell’istanza di fallimento, l’imprenditore non ha conseguito ricavi e che l’attivo patrimoniale non ha superato quello indicato nell’ultimo bilancio approvato. La circostanza è però del tutto irrilevante ai fini della prova che l’ammontare complessivo dei debiti non supera i 500.000 Euro, atteso che gli stessi ben potrebbero essere sorti o, quantomeno, essere stati accertati in data successiva alla cessazione dell’attività (si pensi ad. es., ai debiti fiscali o contributivi, ma anche ai debiti risarcitoti derivanti da pregressi inadempimenti contrattuali) ed essere rimasti insoluti.

Avuto riguardo al requisito di cui alla L. Fall., art. 1, comma 1, lett. c), anche in un caso quale quello di specie, va pertanto ribadito che la produzione dei bilanci dell’ultimo triennio costituisce base documentale imprescindibile per sottrarsi alla dichiarazione di fallimento (cfr. Cass. n. 8769/012).

La ricorrente, d’altro canto, non ha chiarito da quali elementi documentali, ignorati dalla corte del merito, potesse desumersi la prova del mancato superamento della soglia minima di indebitamento: al riguardo va infatti escluso che possa tenersi conto del generico richiamo al fascicolo fallimentare, attesi gli oneri di specificità e di allegazione che incombono sul ricorrente ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in favore della controricorrente in Euro 3200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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