Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17068 del 13/08/2020

Cassazione civile sez. lav., 13/08/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 13/08/2020), n.17068

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30726/2018 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MEDAGLIE

D’ORO 169, presso lo studio dell’avvocato ITALA MANNIAS,

rappresentato e difeso dall’avvocato MATILDE DI GIOVANNI;

– ricorrente –

e contro

MERIDI S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 399/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 19/04/2018, R.G.N. 878/2016.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

– Con sentenza in data 19 aprile 2018, la Corte d’Appello di Catania ha respinto l’impugnazione proposta dalla C.P. nei confronti della Meridi s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Siracusa che aveva rigettato la domanda del lavoratore volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatogli per giusta causa dalla società in data 28 ottobre 2010 nonchè la corresponsione delle differenze retributive per lavoro straordinario, ferie e permessi non goduti, nonchè indennità di trasferta;

– in particolare, la Corte ha ritenuto adeguatamente dimostrata in sede istruttoria di primo grado la sussistenza degli illeciti disciplinari ascritti al dipendente aventi ad oggetto due mancati pagamenti di prodotti alimentari in due diverse occasioni e difettante, invece, la prova circa le differenze retributive richieste;

– per la cassazione della sentenza propone ricorso C.P. affidandolo a due motivi;

– la Meridi s.r.l è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

– in via preliminare, si rileva che il ricorrente ha proposto istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 126 comma 3, istanza già ritenuta inammissibile dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania con provvedimento del 20/11/2018;

– con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione della L. n. 604 del 1966, artt. 2, 3, 5 e 6, nonchè della L. n. 300 del 1970, artt. 4 e 7, art. 2119 c.c., CCNL e D.Lgs. n. 196 del 2003;

– il motivo non può trovare accoglimento;

– va preliminarmente rilevato, al riguardo, che il motivo risulta formulato in modo confuso, e tuttavia, con esso si censura, sostanzialmente, la decisione impugnata là dove la stessa avrebbe ritenuto l’insussistenza di un onere di ulteriore comunicazione della motivazione del licenziamento una volta comunicata ritualmente la contestazione e qualora il licenziamento si riferisca ai fatti specifici ivi descritti;

– occorre qui ribadire il principio già affermato da Cass. n. 454 del 2003, (e confermato da diverse successive pronunzie, fra cui, Cass. n. 15986 dell’1/08/2016, Cass. n. 28471 del 07/11/2018) secondo il quale l’obbligo datoriale di comunicare i motivi del licenziamento (previsto dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2, nella formulazione anteriore alla modifica apportata dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 37) presuppone che questi motivi non siano stati precedentemente indicati. La precedente contestazione disciplinare dei fatti, da un canto è essa stessa l’indicazione dei motivi che conducono al licenziamento; d’altro canto (ove l’indicazione non sia ritenuta sufficiente) costituisce la base per la richiesta dei motivi (nell’ambito del procedimento che con la contestazione si apre, anche attraverso la L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7), precludendo l’ipotizzabilità e comunque l’esistenza d’un obbligo datoriale di rispondere alla successiva richiesta di motivi, esterna a questo procedimento;

Afferma questa Corte (cfr. sul punto, Cass. n. 28471 del 07/11/2018) che nel procedimento disciplinare a carico del lavoratore, l’essenziale elemento di garanzia in suo favore è dato dalla contestazione dell’addebito, mentre la successiva comunicazione del recesso ben può limitarsi a richiamare quanto in precedenza contestato, non essendo tenuto il datore di lavoro a descrivere nuovamente i fatti in contestazione per rendere puntualmente esplicitate le motivazioni del recesso e per manifestare come gli stessi non possano ritenersi abbandonati o superati;

– in particolare, con riguardo alla contestazione de qua, la Corte ha ritenuto che le lettere di contestazione contenessero una esposizione puntuale dei fatti addebitati al lavoratore, con riferimento a singoli, specifici episodi, ben individuati nel tempo e nelle modalità e che la lettera di recesso faccia riferimento proprio a quei fatti materiali nei quali la datrice aveva ravvisato e contestato le infrazioni disciplinari, reputando, così, adeguatamente assicurato il diritto di difesa;

– inoltre, relativamente all’utilizzazione delle videoregistrazioni, va rilevato che la Corte ha ritenuto che nessuna richiesta di “ostensione” delle stesse fosse stata mai avanzata, anzi essendosi la parte rifiutata nettamente di consentire l’utilizzazione delle stesse e che, d’altra parte, il contenuto di esse è stato ritenuto corroborato dalle dichiarazioni rese dal teste F., il quale ha riferito dei fatti non solo per aver visionato le immagini, ma anche per aver effettuato controlli incrociati con i giornali di fondo delle casse da cui risulta la tipologia di merce e il prezzo, rilevato dal codice rilasciato dalla bilancia e dal numero dell’etichetta adesiva;

– tali valutazioni, immuni da vizi logici, in quanto del tutto fattuali, sono sottratte al sindacato di legittimità;

– con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.p., e dell’art. 2697 c.c., con violazione ed errata ripartizione degli oneri di prova ed erronea interpretazione dell’art. 2119 c.c., nonchè 18 contratto collettivo nazionale e art. 2948 c.c.;

– giova premettere che, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (cfr. Cass. 27.12.2016 n. 27000; Cass. 19.6.2014 n. 13960).

– relativamente, poi, alla denunziata violazione dell’art. 2697 c.c., va rilevato che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, (ex plurimis, Sez. III, n. 15107/2013) la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma e che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie;

– nella specie, infatti, molto approfondita deve ritenersi la motivazione in fatto della Corte circa le prove assunte nè la parte ha prodotto o indicato in ricorso i capitoli di prova ed i testi che asserisce aver addotto a sostegno della propria difesa, in violazione del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., talchè, a fronte di una ampia motivazione, si ripete, di natura fattuale e, pertanto, non censurabile in sede di legittimità, non appare possibile a questa Corte procedere ad una rivisitazione del fatto, essendole inibito dalla struttura del giudizio di cassazione;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso va respinto;

– nulla per le spese essendo parte controricorrente rimasta intimata;

– al rigetto deve conseguire l’attestazione circa l’obbligo di versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nei termini di cui in dispositivo.

PQM

La Corte respinge il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2020

 

 

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