Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17063 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 11/08/2016, (ud. 27/04/2016, dep. 11/08/2016), n.17063

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5999/2015 proposto da:

F.M., (OMISSIS), L.E. (OMISSIS), G.S.

(OMISSIS), C.C. (OMISSIS), A.S. (OMISSIS),

T.N. (OMISSIS), S.G. (OMISSIS), domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ANGELO SALA, giusta

delega in atti;

– ricorrenti –

contro

GAMAC S.R.L., P.I. (OMISSIS);

– intimata –

nonchè da:

GAMAC S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL GOVERNO

VECCHIO 20, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO MANCUSO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIANCARLO PELLEGRINO, giusta

delega in atti;

– controricorrente ricorrente incidentale –

contro

F.M. (OMISSIS), L.E. (OMISSIS), G.S.

(OMISSIS), C.C. (OMISSIS), A.S. (OMISSIS),

T.N. (OMISSIS), S.G. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 2535/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 23/12/2014 r.g.n. 949/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato MAGGIORE FABIO per delega verbale Avvocato SALA

ANGELO;

udito l’Avvocato PELLEGRINO GIANCARLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARIO FRESA, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza del 23 dicembre 2014, in sede di reclamo ex lege n. 92 del 2012, la Corte di Appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado con cui era stata respinta l’impugnativa dei licenziamenti del 9 aprile 2013 promossa dai lavoratori in epigrafe nei confronti della GAMAC srl; al cospetto della duplice ragione posta dal primo giudice a fondamento della decisione la Corte ha esaminato e condiviso quella secondo cui si era realizzata una cessione volontaria dei contratti di lavoro dalla GAMAC Srl alla K&K, per cui era da escludere in radice la sussistenza dei contestati licenziamenti ad opera della società cedente.

Si è accertato documentalmente che, con note dell’11 luglio 2013, la K&K aveva comunicato ai lavoratori “la loro retrocessione alla originaria datrice di lavoro (la K&K stessa), con precisazione che il rapporto, seppure con sospensione dal servizio e dalla retribuzione, avrebbe continuato a decorrere dall’origine”, e che i lavoratori stessi, “in seguito alla procedura di mobilità per licenziamento collettivo attivata dalla K&K, con il consenso delle organizzazioni dei lavoratori, hanno percepito il trattamento di CIGS richiesto ed ottenuto da detta società in loro favore”.

Secondo la Corte territoriale “tali concorrenti circostanze, come correttamente evidenziato dal Tribunale, integrano una cessione dei singoli contratti di lavoro dalla GAMAC alla K&K, con effetti nei confronti dei contraenti ceduti (i lavoratori) che l’anno accettata per fatti concludenti”.

Infine, “tenuto conto della complessità e peculiarità della controversia”, la Corte ha ritenuto sussistenti “giusti motivi” per compensare integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

2.- Per la cassazione di tale sentenza i lavoratori in epigrafe hanno proposto ricorso affidato a due motivi. La società ha resistito con controricorso, contenente un ricorso incidentale con tre motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 2112 c.c. e art. 1362 c.c..

Si deduce che “l’analisi della vicenda risolutiva dei rapporti di lavoro tra GAMAC Srl e gli odierni ricorrenti andava… effettuata attraverso una indagine sulla comune intenzione delle parti contraenti in relazione a quanto dalle stesse previsto con la scrittura privata del 20/12/2012 sulla scorta delle regole ermeneutiche di cui all’art. 1362 c.c.”.

Si lamenta che la Corte territoriale avrebbe errato “nell’omettere una valutazione sulla sequenza temporale degli eventi che hanno caratterizzato il recesso unilaterale della GAMAC Srl dal contratto di affitto del ramo di azienda e dai rapporti di lavoro”, in quanto “tale analisi avrebbe escluso… la sussistenza di un effettivo (ri)trasferimento d’azienda da GAMAC a K&K e, dunque, una cessione dei rapporti di lavoro ai sensi dell’art. 2112 c.c.”.

Il motivo è inammissibile sia per difetto di autosufficienza, in quanto vengono riportati nel corpo del motivo solo stralci dei numerosi documenti citati nel medesimo, tra cui anche la scrittura privata del 20/12/2012 di cui si lamenta l’errata interpretazione da parte dei giudici d’appello, ma anche perchè inconferente rispetto alla effettiva ratio decidendi autonomamente posta a base della sentenza impugnata, e cioè – come ricordato nello storico della lite – una cessione volontaria dei contratti di lavoro dalla GAMAC Srl alla K&K, concentrandosi piuttosto sull’applicabilità dell’art. 2112 c.c., che la Corte territoriale invece non valuta, affermando espressamente che la fondatezza della “ragione più liquida” esime il Collegio dall’analisi della “ritenuta sussistenza di un valido (ri)trasferimento d’azienda”.

4.- Con il secondo motivo di ricorso i lavoratori denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 1406 c.c., per avere errato la sentenza impugnata “nel ritenere integrata nella fattispecie in esame una cessione dei singoli contratti di lavoro dalla GAMAC alla K&K, con effetti nei confronti dei contraenti ceduti (i lavoratori) che l’hanno accettata per fatti concludenti”.

Anche questa censura non può trovare accoglimento perchè si denuncia formalmente una violazione di legge, ma nella sostanza si contesta l’accertamento operato dai giudici del merito in ordine alla sussistenza di una cessione volontaria dei contratti di lavoro per fatti concludenti, criticando in definitiva la complessiva valutazione del materiale probatorio effettuata dalla sentenza impugnata.

Invero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 26.3.2010 n. 7394 e negli stessi termini Cass. 10.7.2015 n. 14468).

Nella specie con la censura i ricorrenti si dolgono solo della pretesa errata valutazione dei fatti di causa ad opera della Corte di Appello, in modo difforme dalle loro attese, sicchè si tratta di una doglianza che esula dall’ambito del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Essa, attenendo alla ricostruzione dei fatti ed alla loro valutazione, per le sentenze pubblicate, come nella specie, dal trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, è censurabile in sede di legittimità solo nella ipotesi di “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”.

Ma detto vizio non può essere denunciato per i giudizi di appello instaurati successivamente alla data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato D.L. n. 83 del 2012) – come nella specie reclamo depositato il 9 giugno 2014 – con ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter c.p.c., u.c.). Ossia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme (v. Cass. n. 23021 del 2014).

La disposizione è applicabile anche al reclamo disciplinato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, commi da 58 a 60, che ha natura sostanziale di appello, dalla quale consegue la applicabilità della disciplina generale dettata per le impugnazioni dal codice di rito, se non espressamente derogata (in tal senso Cass. n. 23021 del 2014; conforme: Cass. n. 4223 del 2016).

5.- Con il primo motivo del ricorso incidentale della società si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 434 e 436 bis c.p.c., per avere la Corte di Appello omesso l’esame dell’eccezione preliminare svolta dall’appellata GAMAC Srl che aveva dedotto l’inammissibilità dell’appello.

Il mezzo di gravame è inammissibile.

La società ricorrente – che ha erroneamente rubricato il vizio prospettato come error in judicando, anzichè come vizio di nullità afferente l’attività svolta nel processo ascrivibile al paradigma dell’error in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – ha, infatti, violato il canone dell’autosufficienza.

Invero ha omesso di indicare specificamente, sia nel corpo del motivo sia nelle 45 pagine della premessa (che invece avrebbero dovuto essere dedicate alla “esposizione sommaria dei fatti di causa” ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3) – il contenuto dell’atto su sui si fondava la doglianza di inammissibilità dell’impugnazione, nella specie l’appello della controparte.

Si limita a riportare la propria memoria di costituzione in appello che non consente certo una valutazione compiuta dell’atto per sindacarne l’asserita insufficienza in modo complessivo, impedendo così, in mancanza della descrizione del fatto processuale, di procedere alla preliminare verifica di ammissibilità del motivo di ricorso mediante accertamento della rilevanza e decisività del vizio denunciato rispetto alla pronuncia impugnata per cassazione. Proprio nel caso di censure che riguardino la denunciata genericità dei motivi di appello questa Corte ha ritenuto condizione di ammissibilità del ricorso la trascrizione per esteso del contenuto dell’atto di appello (Cass. n. 12664 del 2012) ovvero l’indicazione dell’impianto specifico dei motivi di appello formulati dalla controparte ed asseritamente affetti da nullità (Cass. n. 9734 del 2004; conforme: Cass. n. 86 del 2012). Tale ultima pronuncia ha chiarito che l'”esigenza di astensione del giudice di legittimità dalla ricerca del testo completo degli atti processuali attinenti al vizio denunciato, non è giustificata da finalità sanzionatorie nei confronti della parte che costringa il giudice a tale ulteriore attività d’esame degli atti processuali, oltre quella devolutagli dalla legge; ma risulta, piuttosto, ispirata al principio secondo cui la responsabilità della redazione dell’atto introduttivo del giudizio fa carico esclusivamente al ricorrente ed il difetto di ottemperanza alla stessa non deve essere supplito dal giudice per evitare il rischio di un soggettivismo interpretativo da parte dello stesso nell’individuazione di quali atti o parti di essi siano rilevanti in relazione alla formulazione della censura”. Nè può soccorrere alla parte ricorrente la qualificazione giuridica del vizio lamentato come error in procedendo, in relazione al quale la Corte è anche “giudice del fatto”, con la possibilità di accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito. Invero le Sezioni unite della Cassazione hanno statuito che, nei casi di vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, il giudice di legittimità, pur non dovendo limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, “è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)” (Cass. SS.UU. n. 8077 del 2012).

Dunque la parte ricorrente è tenuta ad indicare gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, affinchè il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (Cass. n. 9734 del 2004; Cass. n. 6225 del 2005), senza limitarsi a rinviare all’atto di appello, dovendo riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne il grado di specificità (cfr. Cass. n. 20405 del 2006; Cass. n. 23420 del 2011; Cass. n. 86 del 2012).

6.- Con il secondo motivo di ricorso incidentale, “in via subordinata rispetto a quanto sopra dedotto e richiesto”, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2112 c.c. e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la sentenza impugnata omesso di “considerare tutti quei fatti a supporto della difesa sollevata dalla GAMAC diretta alla qualificazione della vicenda nell’alveo dell’art. 2112 c.c.”.

Anche questo motivo è inammissibile perchè difetta dell’interesse ad agire necessario a sostenerlo nel momento in cui, respinto per quanto innanzi il ricorso principale per cassazione, risulta confermata la sentenza d’appello e, quindi, quella di primo grado che aveva rigettato le domande dei lavoratori, con esclusione di qualunque soccombenza della società.

7.- Con il terzo mezzo di gravame incidentale si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91, 92, 118 disp. att. c.p.c. e art. 132 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha disposto l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio, in ciò anche riformando la statuizione del Tribunale di condanna dei lavoratori, non esponendo “in modo chiaro l’indicazione delle specifiche circostanze o concreti aspetti della controversia che hanno determinato la detta compensazione in relazione alla presenza dei gravi ed eccezionali motivi”

Il motivo, oltre ad essere ammissibile perchè la società ha ancora interesse a dolersi del regime di liquidazione delle spese determinato dalla sentenza impugnata a suo sfavore, è altresì fondato.

L’art. 92 c.p.c., comma 2, nella formulazione che regola la fattispecie in esame ratione temporis, ha previsto che “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese fra le parti”.

Nelle fattispecie sinora esaminate dalla Corte, mediante sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avente ad oggetto l’operazione di sussunzione operata dal giudice di merito (cfr. Cass. SS.UU. n. 2572 del 2012), è stato negato che possano essere ricondotte nella clausola generale delle “gravi ed eccezionali ragioni”: l’oggettiva “opinabilità della soluzione accolta”, in quanto la precisa individuazione del significato di un testo normativo in relazione alla fattispecie concreta a cui deve essere applicato costituisce il nucleo della funzione giudiziaria, sicchè l’ordinario esercizio nell’esegesi del testo normativo non può essere valutato come evento inusuale, almeno finchè non siano specificamente identificate le ragioni per le quali la soluzione assegnata al dubbio interpretativo assurga (per la sua contrarietà alla consolidata prassi applicativa, ovvero per la del tutto insolita connotazione lessicale e sintattica del tessuto letterale della norma) a livello di eccezionale gravità (Cass. n. 319 del 2014); il mero riferimento alla “natura processuale della pronuncia”, che, in quanto tale, può trovare applicazione in qualunque lite che venga risolta sul piano delle regole del procedimento (Cass. n. 16037 del 2014); la mera “peculiare natura” della declaratoria di improcedibilità dell’appello (Cass. n. 24634 del 2014); il “carattere ufficioso del rilievo dell’interruzione della prescrizione”, poichè esso integra un normale esito dell’attività valutativa del giudice (Cass. n. 11301 del 2015); “l’esiguità della pretesa creditoria”, specialmente ove l’importo delle spese sia tale da superare quello del pregiudizio economico che la parte intende evitare agendo in giudizio per fare valere il proprio diritto, atteso che in tale ipotesi la statuizione si tradurrebbe in una sostanziale soccombenza di fatto della parte vittoriosa, con lesione del principio costituzionale di cui all’art. 24 Cost., nonchè della regola generale dell’art. 91 c.p.c. (Cass. n. 11301 del 2015); il riferimento a “motivi di opportunità e giustizia sostanziale” o al “diverso esito del giudizio di primo grado” (Cass. n. 14546 del 2015); la “sussistenza di decisioni giurisprudenziali di merito di vario segno”, non potendo attribuirsi alla semplice esistenza di un contrasto interpretativo su di una determinata questione, tanto più se non ancora passata al vaglio dei giudici di legittimità, il carattere della eccezionalità e della gravità (Cass. n. 1521 del 2016).

Tale ultima pronuncia ha puntualizzato che, mentre la precedente formulazione della norma consentiva, nell’apprezzamento dei “giusti motivi”, di dare ingresso, ai fini della compensazione delle spese in caso di soccombenza, a soluzioni anche di tipo equitativo, l’attuale definizione tende a valorizzare solo quegli eventi o quelle situazioni che abbiano un’efficacia causale diretta sull’esito del giudizio e che, sul fronte soggettivo, si presentino normalmente idonee, secondo l’id quod plerumque accidit, ad accreditare il convincimento nella parte che agisce (o resiste) in giudizio della probabile fondatezza delle proprie tesi.

Per quanto riguarda poi l’ipotesi della “novità delle questioni” questa Corte (SS.UU. n. 2572/12 cit.) ha ritenuto ragione idonea a giustificare la compensazione delle spese se ed in quanto sintomo di un atteggiamento soggettivo del soccombente ricollegabile alla considerazione delle ragioni che lo hanno indotto ad agire o resistere in giudizio e pertanto deve essere valutata con riferimento al momento in cui è stata introdotta la lite ovvero è stata posta in essere l’attività che ha dato origine alle spese di cui si discute, essendo altresì evidente che le questioni la cui novità occorre valutare non possono essere che quelle sulle quali si è determinata la soccombenza, ossia le questioni decise (conf. Cass. n. 7121 del 2016); ragioni di novità che evidentemente devono essere illustrate nella motivazione a giustificazione dell’esercizio del potere di compensazione in assenza di reciproca soccombenza.

Infatti sovente si è ribadito in generale che l’esigenza della esplicitazione dei giusti motivi di compensazione possa risolversi nella esposizione di motivi irragionevoli o estremamente vaghi quali il “valore esiguo della controversia” ovvero “la peculiarità della fattispecie” (v., tra le altre, Cass. SS.UU. n. 8619 del 2015; Cass. n. 12893 del 2011; Cass. n. 20324 del 2010 nonchè Cass. nn. 14563 del 2008 secondo cui “la cripticità della formula non consente il controllo sulla congruità delle ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione”).

Nel caso in esame la Corte territoriale, nel compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio tra la società ed i soccombenti, ha fatto riferimento ad una non meglio precisata “complessità e peculiarità della controversia”, peraltro riformando sul punto la decisione di prime cure pur in una ipotesi in cui la società è risultata completamente vincitrice in entrambi i gradi di merito.

In tali termini la ragione addotta non corrisponde ai requisiti prescritti dalla legge, in assenza della esplicitazione dei motivi per i quali la controversia dovesse ritenersi “complessa” o “peculiare”, neanche desumibili aliunde, atteso che la decisione che ha determinato la soccombenza ha riguardato essenzialmente un accertamento di fatto concordemente eseguito dalle due sentenze di merito; dunque la genericità del riferimento porta a ricondurre la soluzione nell’alveo delle ragioni di ordine latamente equitativo in precedenza consentite nella vigenza della precedente definizione dei “giusti motivi”, ossia ad ipotesi che questa Corte – con i precedenti sopra citati – ha già escluso potere essere ricondotte nella clausola generale di cui alla formulazione dell’art. 92 c.p.c., secondo la modifica introdotta della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11.

8.- Conclusivamente, respinto il ricorso principale e dichiarati inammissibili i primi due motivi del ricorso incidentale, deve essere accolto il terzo con cassazione della sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alla regolazione delle spese e rinvio al giudice indicato in dispositivo che provvederà sulle stesse, costituendo la statuizione sulle spese tipica valutazione rimessa al giudice di merito (Cass. n. 14563 del 2008, n. 21521 del 2010, n. 20324 del 2010, n. 10305 del 2016); il giudice del rinvio si uniformerà a quanto innanzi statuito e liquiderà altresì le spese del giudizio di cassazione.

Poichè il ricorso principale respinto risulta nella specie notificato in data 19 febbraio 2015 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, nei confronti dei lavoratori ricorrenti in via principale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il primo ed il secondo motivo di ricorso incidentale, accoglie il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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