Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17062 del 21/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 21/07/2010, (ud. 27/05/2010, dep. 21/07/2010), n.17062

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in

carica, ed Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato

presso i cui uffici sono domiciliati ope legis in Roma, Via dei

Portoghesi 12;

– ricorrenti –

contro

A.G., elettivamente domiciliata in Roma alla Via

Giosuè Borsi 5 presso l’avv. NERI Maria Rosaria e rapp.ta e difesa

dall’avv. Pasquale Rocco, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4.52.05. depositata in data 8.2.05 e

notificata il 21.12.05, della Commissione tributaria regionale della

Campania;

udita lallazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27.5.10 dal Consigliere Dott. Giovanni Carleo;

Udito il P.G. in persona del Dr. Ennio Attilio Sepe che ha concluso

per l’accoglimento del ricorso con le pronunce consequenziali.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 21 aprile 1995, sottoposto a condizione sospensiva in quanto l’immobile era vincolato ai sensi della L. 1089 del 1939 – A.G. acquistava la nuda proprietà di un appartamento in (OMISSIS). Con nota del 17 agosto 1996 la Soprintendenza comunicava alle parti contraenti di non voler esercitare il diritto di prelazione attribuitole dalla legge e comunicava all’Ufficio del Registro di non ritenere applicabili le agevolazioni fiscali di cui all’arti della tariffa del D.P.R. n. 131 del 1986 e del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 25, perchè non erano stati assolti gli obblighi di conservazione e di protezione dell’immobile. A seguito dell’applicazione delle aliquote in misura ordinaria da parte dell’Amministrazione, la contribuente presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, la quale lo rigettava. Proponeva appello la contribuente. La Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva il gravame. Avverso la detta sentenza ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in un unico motivo l’Agenzia delle Entrate. La contribuente resiste con controricorso ed ha depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Occorre esaminare introduttivamente l’eccezione dì inammissibilità del ricorso per cassazione, formulata dalla resistente, fondata sulla asserita tardività della notifica dell’atto, ricevuto dalla resistente l’1 aprile 2006 dopo che era decorso il termine previsto dall’art. 327 c.p.c..

L’eccezione deve essere disattesa.

A riguardo, deve innanzitutto premettersi che, in caso di omessa notificazione della sentenza, ai fini dell’impugnazione, si applica alla fattispecie in esame, ratione temporis, il termine annuale di decadenza dal gravame, di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, che va calcolato “ex nominatione dierum”, prescindendo cioè dal numero dei giorni da cui è, composto ogni singolo mese o anno, al quale devono aggiungersi 46 giorni computati “ex numeratione dierum”, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155 c.p.c., comma 1 e L. n. 742 del 1969, art. 1, comma 1, non dovendosi tenere conto dei giorni compresi tra il primo agosto e il quindici settembre di ciascun anno per effetto della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. Ciò premesso, considerato che nel caso di specie la sentenza impugnata, mai notificata, era stata depositata in data 8 febbraio 2005, deriva che il termine utile ai fini della tempestività della notifica veniva a cadere esattamente domenica 26 marzo 2006, giorno festivo, per cui il termine andava spostato al successivo lunedì.

Ciò posto, si deve rilevare che la notificazione di un atto del processo, quale attività impeditiva per il notificante della decadenza dal potere processuale di compierlo entro un termine perentorio, si perfeziona al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario in quanto è solo questa la formalità direttamente impostagli dalla legge. Ed invero, sull’abbrivio della nota sentenza 26-11-02 n. 477 della Corte Costituzionale, questa Corte, partendo dalla premessa che non può ridondare sul mittente la circostanza che l’atto venga portato in ritardo a conoscenza del destinatario tramite il servizio postale, ha ribadito la scissione degli effetti della notifica, a seconda che gli stessi riguardino il notificante o il destinatario dell’atto, ed ha quindi statuito, in numerosissime decisioni, che gli effetti della notificazione a mezzo posta devono ricollegarsi per il notificante al momento della semplice consegna dell’atto stesso all’ufficiale giudiziario o altro soggetto abilitato alla notificazione in quanto le attività ulteriori non dipendono più dalla sua diligenza ma dall’attività di terzi (tra le tantissime, cfr Cass. 101/05, 113/04, 11686/03). Ora, considerato che il ricorso fu consegnato all’ufficiale giudiziario della Corte di Appello di Roma, ai fini della notifica a mezzo posta, in data 27 marzo 2006, come si evince dall’esame del timbro dell’ufficiale giudiziario apposto sull’atto da notificare ai fini della liquidazione delle spese di notifica, debitamente firmato e recante l’indicazione della data e del numero del registro cronologico che l’ufficiale deve tenere, ne deriva la tempestività dell’avvenuta notifica (v. tra le tante Cass. 1951/05, S.U. 14294/07, Cass. 22003/08) con conseguente rigetto dell’eccezione formulata.

Sempre, in via preliminare, va dichiarata comunque l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, posto che lo stesso deve essere ritenuto privo della necessaria legittimazione ad impugnare la sentenza di secondo grado in quanto il giudizio è stato introdotto il 10.1.03 dopo il primo gennaio del 2001 nei confronti della sola Agenzia delle Entrate. A riguardo, è appena il caso di osservare che la data indicata coincide con quella in cui è divenuta operativa l’istituzione dell’Agenzia delle entrate, con conseguente successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, per effetto della quale deve ritenersi che la legittimazione “ad causam” e “ad processum” nei procedimenti introdotti successivamente alla predetta data spetti esclusivamente all’Agenzia (Sez. Un. n. 3118/06). Deve essere quindi dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero.

Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio in quanto l’orientamento giurisprudenziale riportato si è consolidato solo dopo l’introduzione della lite. Passando all’esame dell’unica doglianza, svolta dall’Agenzia, si deve evidenziare che la stessa si articola attraverso due profili: il primo, fondato sulla pretesa violazione e falsa applicazione della L. n. 1089 del 1939, artt. 30 e 31, L. n. 512 del 1982, art. 5, D.P.R. n. 643 del 1972, art. 25, D.P.R. n. 131 del 1986 art. 1; il secondo, fondato sulla motivazione asseritamente erronea ed insufficiente.

Ed invero, secondo la corretta interpretazione dell’art. 1, comma 3 della tabella allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, la decadenza dell’acquirente dai benefici della riduzione di imposta – così può riassumersi il primo profilo della censura – viene a maturarsi per il fatto di acquistare i beni prima che siano stati adempiuti, da parte dell’alienante, gli obblighi della loro conservazione e protezione.

Inoltre – la considerazione sintetizza il secondo profilo della doglianza – la CTR avrebbe omesso ogni motivazione riguardo alla nota della Sopraintendenza del 17.8.1995, successiva alla data di compravendita, in cui veniva comunicato che, a seguito dei lavori abusivi realizzati dal dante causa dell’ A., non erano applicabili le agevolazioni fiscali.

La censura è fondata. A riguardo, è opportuno premettere che, con riguardo all’imposta di registro, l’art. 1 comma terzo della Tariffa parte prima allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 prevede un’aliquota agevolata del 4%, ridotta al 3% dall’1.1.2000) se il trasferimento ha per oggetto immobili di interesse storico, artistico e archeologico soggetti alla L. n. 1089 del 1939. Inoltre, analogo beneficio risulta concesso al venditore di tali immobili, ai fini dell’INVIM, dal D.P.R. n. 643 del 1972, art. 25, comma 4: essendo prevista una riduzione del 25% con riguardo agli incrementi di valore degli immobili anzidetti. Ora, se il legislatore tributario ha previsto per il trasferimento di detti beni le agevolazioni sopra indicate, la ragione della normativa fiscale di agevolazione riposa intuitivamente nella necessità di venire incontro alle maggiori spese di manutenzione e di conservazione che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare le caratteristiche degli immobili sottoposti al vincolo, così osservandosi da parte del legislatore ordinario il disposto dell’art. 9 Cost., il quale prevede che la Repubblica tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Ne deriva che, in occasione dei trasferimenti, intanto il venditore e l’acquirente hanno diritto a beneficiare delle rispettive agevolazioni fiscali in quanto gli immobili di interesse storico, artistico ed archeologico risultino debitamente “conservati e protetti”. Ed invero, con riguardo particolare all’imposta di registro, l’art. 1, comma 3 della Tariffa parte prima allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, prevede l’aliquota agevolata “sempre che l’acquirente non venga meno agli obblighi di conservazione e protezione”.

Ciò posto, resta da verificare se, in presenza di lavori abusivi compiuti dal venditore e non fatti eliminare prima dell’acquisto dall’acquirente (come risulta avvenuto nel caso in esame alla stregua della sentenza di primo grado, non contestata sul punto e riportata nel ricorso per cassazione in ossequio al principio di autosufficienza dei ricorsi), possa ritenersi o meno maturata la decadenza dell’acquirente medesimo dalle agevolazioni fiscali previste. A riguardo, la Commissione di prima istanza, come risulta dal brano riportato nel ricorso per cassazione, ha dedotto che la norma in questione, nel prevedere la decadenza dell’acquirente dai benefici qualora i beni siano alienati prima dell’adempimento dell’obbligo di conservazione e protezione, “non può che riferirsi al trasferimento dei beni per i quali da parte del venditore – non sono stati adempiuti gli obblighi di conservazione e protezione…..atteso che giammai l’acquirente, prima di acquistare la proprietà dell’immobile, potrebbe contravvenire agli obblighi”.

L’interpretazione della norma, adottata dai giudici di prime cure, merita attenzione. E ciò, non solo perchè, argomentando a contrariis la norma in esame sarebbe del tutto pleonastica ed inapplicabile non potendo l’acquirente rendersi autore di alcuna violazione prima dell’acquisto, ma anche perchè la previsione normativa in parola non può essere letta senza tener conto, comparativamente, della nota 2^ lett. b) in cui si prevede che “l’acquirente decade altresì dal beneficio della riduzione di imposta qualora i beni vengano in tutto o in parte alienati prima che siano stati adempiuti gli obblighi della loro conservazione e protezione”. Ne deriva che, in presenza di lavori abusivi realizzati dal venditore, solo la dimostrazione della riduzione in pristino dello stato dei luoghi, eseguita prima dell’acquisto, legittima l’applicazione della più ridotta imposta a beneficio dell’acquirente. In applicazione di questo principio il ricorso per cassazione, siccome fondato, deve essere accolto e che la sentenza impugnata, che ha fatto riferimento, in modo non corretto, ad una regula iuris diversa, deve essere cassata. Con l’ulteriore conseguenza che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo della lite proposto dalla contribuente.

Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti, nel rapporto processuale tra l’Agenzia e l’ A., le spese dei giudizi di merito per l’alternarsi delle decisioni mentre, relativamente al giudizio di legittimità, le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero. Compensa le spese nel rapporto tra Ministero e la controricorrente. Accoglie il ricorso proposto dall’Agenzia, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, rigetta il ricorso introduttivo della lite proposto dalla contribuente.

Compensa le spese tra l’Agenzia e la contribuente relativamente ai giudizi di merito; condanna quest’ultima alla rifusione delle spese, in favore dell’Agenzia, che liquida in Euro 1.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge per il giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010

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