Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17062 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 11/08/2016, (ud. 27/04/2016, dep. 11/08/2016), n.17062

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5931/2015 proposto da:

S.F., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIOVANNI PIERLUIGI DA PALESTRINA 19, presso lo studio

dell’avvocato OLGA GUGLIELMUCCI, rappresentato e difeso

dall’avvocato DONATO TRAFICANTE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

PROMA S.S.A. S.R.L., C.P. (OMISSIS);

– intimata –

nonchè da:

PROMA S.S.A. S.R.L. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata dall’avvocato GIOVANNI SALLUSTRI, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

S.F. C.E. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 670/2014 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 09/01/201 r.g.n. 429/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato TRAFICANTE DONATO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 9 gennaio 2015, la Corte di Appello di Potenza ha confermato la sentenza di prime cure che aveva respinto l’impugnazione proposta da S.F. nei confronti della PROMA S.S.A. Srl, avendo ritenuto che l’impugnativa stragiudiziale del licenziamento effettuata dal lavoratore il 2 agosto 2012 non avesse rispettato il termine di sessanta giorni previsto dalla L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, come modificato dalla L. n. 183 del 2010.

Secondo la Corte territoriale l’atto di recesso era venuto a conoscenza dello S. in data 24 maggio 2012, data in cui la raccomandata con avviso di ricevimento spedita a mezzo del servizio postale era pervenuta al domicilio del dipendente ed era stata rifiutata.

Ha osservato la Corte che “l’annotazione dell’agente postale sull’avviso di ricevimento, dalla quale risulti il rifiuto senza ulteriore specificazione circa il soggetto, destinatario oppure persona diversa abilitata a ricevere il plico, che ha in concreto opposto il rifiuto, può legittimamente presumersi riferita al rifiuto di ricevere il plico o di firmare il registro di consegna opposto dal destinatario, con conseguente completezza dell’avviso e, dunque, legittimità e validità della notificazione”.

L’accoglimento dell’eccezione preliminare di decadenza ha quindi esonerato la Corte “da qualsiasi valutazione attinente il merito della vicenda de qua” in relazione al licenziamento dello S. già ritenuto legittimo dai giudici di primo grado.

2.- Per la cassazione di tale sentenza S.F. ha proposto ricorso affidato ad un motivo. La società ha resistito con controricorso, contenente un ricorso incidentale condizionato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- Con l’unico motivo del ricorso principale si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 138 c.p.c., art. 139 c.p.c., commi 2 e 3, art. 140 c.p.c., nonchè della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 1.

Sulla base di tali norme si sostiene la necessità, in tutti i casi in cui l’agente postale dà atto del rifiuto del destinatario di ricevere il plico raccomandato a lui destinato, che sull’avviso di ricevimento sia esattamente indicato se il soggetto rifiutante sia stato il destinatario personalmente ovvero altra persona abilitata, nel qual ultimo caso il rifiuto non potrebbe equivalere accettazione.

La Corte territoriale avrebbe dunque errato a ritenere che il rifiuto del 24 maggio 2012 fosse stato opposto dal destinatario S. sulla base di una mera presunzione, atteso che dall’avviso di ricevimento non si evinceva in alcuna parte il nominativo della persona che aveva rifiutato il plico in questione.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Va premesso che secondo questa Corte la legge esige che il licenziamento sia comunicato per iscritto al lavoratore (L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 1, come sostituito della L. n. 183 del 2010, art. 32) ma non prescrive una particolare modalità della comunicazione stessa, essendo necessario e sufficiente che l’atto di recesso datoriale sia portato a conoscenza del lavoratore (tra le altre: Cass. n. 12499 del 2012).

E’ stato dunque affermato (v. Cass. n. 17652 del 2007) che, quanto alla forma scritta del licenziamento prescritta a pena di inefficacia, non sussiste per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali e la volontà di licenziare può essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purchè chiara. Si è quindi ritenuto, ad esempio, che la dichiarazione di conclusione del rapporto contenuta nel libretto di lavoro consegnato al dipendente da parte del datore accompagnata da lettera di trasmissione indicante il recesso datoriale, deve essere considerato atto scritto di recesso dalla data della relativa consegna. Con riguardo al caso di utilizzazione di un telegramma dettato attraverso l’apposito servizio telefonico per l’intimazione del licenziamento, si è precisato che il requisito della forma scritta deve ritenersi sussistente ove risulti la effettiva provenienza del telegramma dall’autore della dichiarazione, così come la forma scritta richiesta per il licenziamento e per l’impugnazione stragiudiziale dello stesso è integrata dalla consegna dell’ordinario telegramma all’ufficio postale, da parte del mittente o per suo incarico, oppure dalla sottoscrizione da parte del mittente (Cass. n. 10291 del 2005). Si è dunque sostenuto che la comunicazione dell’atto di recesso a mezzo di ufficiale di p.g., ancorchè quest’ultimo fosse sprovvisto dei requisiti soggettivi per procedere a una vera propria notifica, costituisce comunque una modalità idonea per la comunicazione del licenziamento in ragione appunto della libertà della forma del licenziamento, purchè per iscritto (Cass. n. 12499 del 2012).

Ciò posto parte ricorrente denuncia la violazione di norme non applicabili alla fattispecie perchè attinenti alla notificazione degli atti giudiziari, mentre nel caso si tratta di una ordinaria raccomandata inviata a mezzo del servizio postale, che si presume conosciuta, a mente dell’art. 1335 c.c., nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario (come è pacifico nella specie), salvo che questi non provi di non averne avuto notizia (cfr. Cass. n. 26390 del 2008).

Inoltre la conoscenza o meno da parte del destinatario della missiva contenente la comunicazione del licenziamento costituisce una circostanza di fatto che, sebbene presunta dai giudici del merito, non può essere sindacata da questa Corte al di fuori dei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, novellato, come interpretato da Cass. SS.UU. n. 8054 del 2014, con una impropria censura di violazione di legge.

5.- Conclusivamente il ricorso principale deve essere respinto, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso per cassazione risulta nella specie notificato in data 3 marzo 2015 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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