Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17061 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 16/06/2021, (ud. 04/12/2020, dep. 16/06/2021), n.17061

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35201-2019 proposto da:

ILAS INDUSTRIE LAVORAZIONI ASSOCIATE SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona

del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato FENIELLO GIOVANNI;

– ricorrente –

contro

ECOF EDILI COSTRUZIONI O. E FIGLI SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona

del liquidatore e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ORONTI ROBERTO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 463/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 19/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FALASCHI

MILENA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Sassari, con sentenza n. 686 depositata il 3 maggio 2011, rigettava la domanda proposta dalla ILAS – Industrie Lavorazioni Associate s.r.l., promittente venditrice, nei confronti della E.C.O.F. – Edili Costruzioni O. e Figli s.r.l., promissaria acquirente, nonchè quella riconvenzionale della convenuta, dichiarando non avverata la condizione sospensiva pattuita nella scrittura privata intercorsa fra le parti in data 28.10.1993, per cui era divenuta inefficace la pattuizione, con obbligo della società attrice a provvedere alla restituzione di quanto ricevuto pari ad Euro 206.502,76, per essere la dazione divenuta sine

In virtù di gravame interposto dalla I.L.A.S., la Corte di appello di Cagliari -Sezione distaccata di Sassari, nella resistenza dell’appellata, con sentenza n. 463/2018, respingeva l’impugnazione condividendo l’interpretazione del contratto preliminare effettuata dal giudice di prime cure.

Avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari, propone ricorso per cassazione ancora la ILAS, fondato su un unico motivo, cui resiste la E.C.O.F. con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile ovvero rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Atteso che:

con l’unico motivo la società ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1457 c.c., oltre ad omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. In particolare, ad avviso della ILAS, la corte territoriale non avrebbe dato alcun rilievo alla non essenzialità del termine previsto nel contratto, corposamente articolata la doglianza nell’atto di appello.

Il motivo è privo di pregio, in quanto non coglie la ratio decidendi dell’impugnata sentenza.

E’ preliminare affermare che l’interpretazione di un contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in Cassazione soltanto per violazione delle regole ermeneutiche di cui agli art. 1362 c.c. e ss., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, oppure per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 14 luglio 2016 n. 14355).

Allorchè il ricorrente denunci che l’interpretazione dell’atto negoziale, compiuta dal giudice di merito, abbia violato le fattispecie legislative di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. egli deve non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma anche precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato. Ove invece il ricorrente voglia lamentare che il giudice, nell’accertare il reale contenuto del programma contrattuale, sia incorso nel vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, egli deve, in osservanza degli oneri di ammissibilità e di procedibilità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 369 c.p.c. comma 2, n. 4, indicare specificamente quale “fatto”, ovvero quale dato materiale, o episodio fenomenico, non sia stato preso in considerazione nel provvedimento impugnato, sempre che tale “fatto” sia munito di un tale rilievo interpretativo da prospettarsi come “decisivo”, nel senso che, se esaminato, avrebbe portato con certezza ad altra ricostruzione del contenuto del contratto e quindi determinato un esito opposto della controversia.

Ne consegue che non è ammissibile la censura che si risolva, in realtà, nella prospettazione della astratta ipotizzabilità di interpretazioni del contratto diverse da quella prescelte dal giudice di merito e più favorevoli al ricorrente, neppur dovendo la sentenza dar conto di tutte le argomentazioni difensive che delineano ulteriori plausibili qualificazioni dell’operazione contrattuale.

Ciò precisato, la sentenza impugnata della Corte distrettuale, dopo aver ricostruito la composita vicenda contrattuale, ha tenuto conto non solo delle clausole contrattuali, e quindi della volontà dei contraenti, ma anche delle ulteriori pattuizioni intercorse fra le parti quanto al termine fissato per l’avveramento della condizione, al fine di individuare correttamente la volontà delle parti per non affidare l’efficacia dell’accordo a sorti del tutto incerte tipiche della condizione.

In particolare, premesso che le parti individuavano l’avveramento della condizione e quindi dell’efficacia del contratto di vendita all’attribuzione dell’area a destinazione residenziale, commerciale, industriale-artigianale in determinate percentuali, prevedendo poi la necessità della previa approvazione da parte del Comune di Sassari di detta destinazione, hanno quindi definito l’oggetto del preliminare, correttamente inferito dalla Corte territoriale anche quanto al termine per l’avveramento di siffatta condizione, il 30 giugno 1994, termine prorogabile dalle parti per una sola volta e comunque non poteva eccedere gli otto mesi dalla scadenza del termine iniziale, da ciò ha fatto discendere la natura di condizione alla previsione della clausola, con termine di avveramento determinato anche dalle parti e non rimessa all’incertezza dell’accadimento, accertamento che costituisce evidentemente un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito, sul cui fondamento è stata accolta la domanda di inefficacia del contratto della società convenuta.

Altrettanto convincentemente la Corte distrettuale ha ritenuto non avverato l’evento dedotto in condizione, ed anche siffatto accertamento implica un giudizio di mero fatto, da compiersi attraverso la valutazione delle risultanze di causa, il cui esito è insindacabile in sede di legittimità, se non ricorre l’omesso esame di un fatto storico decisive e controverso, nei limiti sopra precisati.

Del resto per giurisprudenza consolidata, in ipotesi di preliminare di vendita di un terreno la clausola che ne preveda la risoluzione, in caso di mancata approvazione dalle competenti autorità comunali di specifiche destinazioni, è da qualificare proprio come condizione risolutiva, la quale postula che le parti subordinino la risoluzione del contratto, o di un singolo patto, ad un evento, futuro ed incerto, il cui verificarsi priva di effetti il negozio “ab origine” (Cass. 2 ottobre 2014 n. 20854).

Nel caso di specie, dunque, correttamente la corte territoriale, rilevato il decorso del termine stabilito dalle medesime parti, anche dopo la proroga, ha evidenziato come l’interesse delle parti a vedere realizzato l’accordo negoziale era venuto meno.

Nè su detta valutazione può assumere rilevanza la astratta essenzialità o meno del termine previsto per il rilascio di certificazione relativa alla destinazione dell’area in questione, circostanza sulla quale insiste la ricorrente.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese relative a questo giudizio, quindi, devono essere poste a carico della parte rimasta soccombente, nonchè liquidate come da seguente dispositivo. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore di parte controricorrente in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori previsti come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo previsto a titolo di contributo unificato per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 4 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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