Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1706 del 26/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/01/2021, (ud. 29/10/2020, dep. 26/01/2021), n.1706

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24059-2019 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VARRONE 9,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VANNICELLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRO OLIVI;

– ricorrente –

contro

NEMO SPV SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PAOLO TONIOLATTI;

– controricorrente –

contro

CASSA RURALE VALLAGARINA BANCA DI CREDITO COOPERATIVO – SOCIETA’

COOPERATIVA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 128/2019 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 23/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 29/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GORGONI

MARILENA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

T.A. ricorre per la cassazione della sentenza n. 128-2019 della Corte d’Appello di Trento, pubblicata il 23 maggio 2019, articolando due motivi.

Resiste con controricorso, corredato di memoria, NEMO SPV SRL.

Il ricorrente espone in fatto di essere stato convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Rovereto, insieme con H.V., sua moglie, dalla società NEMO SPV SRL, cessionaria di un blocco di crediti della Cassa Rurale Vallagarina Banca di Credito cooperativo, per ottenere la dichiarazione di inefficacia ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale del 30 luglio 2012 sugli immobili di sua proprietà.

Il Tribunale, con sentenza n. 39/2018, accoglieva la domanda di revocatoria dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale.

T.A. proponeva appello avverso detta sentenza, chiedendo di respingere tutte le domande proposte dalla società NEMO SPV, con rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

Si costituivano in giudizio NEMO SPV e Cassa rurale Vallagarina Banca di Credito cooperativo.

Restava contumace H.V..

La Corte d’Appello, con la sentenza oggetto dell’odierno ricorso, rigettava l’appello proposto T.A. e lo condannava a rifondere a NEMO SPV le spese del grado.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. quanto alla sussistenza dei presupposti dell’azione ex art. 2901 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Oggetto di censura sono due affermazioni della Corte d’Appello: quella in cui chiariva di non poter prendere in considerazione le difese svolte negli scritti difensivi finali – si trattava, spiega il ricorrente, della comparsa conclusionale, ove egli deduceva che erroneamente il Giudice di prime cure aveva ritenuto compresa nel fondo patrimoniale, oggetto dell’azione revocatoria, l’intera particella (OMISSIS), così non individuando correttamente la consistenza di quanto sarebbe stato asseritamente sottratto alle ragioni del creditore con la costituzione del fondo patrimoniale – e quella con cui la Corte di Appello, entrando comunque nel merito di tali difese, aveva osservato che si trattava di rilievi non condivisibili alla luce del costante orientamento di legittimità, secondo il quale il debitore è tenuto a provare che il suo patrimonio, nonostante l’atto dispositivo, abbia conservato valore e caratteristiche tali da garantire il soddisfacimento delle ragioni creditorie senza difficoltà e tale prova non solo non era stata offerta, ma nemmeno prospettata.

Gli errori in iure rimproverati alla Corte d’Appello sono quindi due: il primo riguarda la ritenuta inammissibilità della proposizione, con comparsa conclusionale, di una mera contestazione dei fatti costitutivi della domanda, il secondo concerne la distribuzione dell’onere della prova in relazione all’esercizio dell’azione revocatoria, avendo omesso di considerare che era onere del creditore provare la sussistenza dei presupposti dell’azione pauliana, compreso l’eventus damni. Con l’atto di citazione in giudizio la Nemo, al punto 3.2 rubricato dell’eventus damni, si sarebbe, secondo il ricorrente, limitata ad individuare i casi in cui può dirsi sussistente l’eventus damni e ad affermare che vi rientrasse il caso oggetto di controversia, ove il creditore, costituendo il fondo patrimoniale, aveva alterato la consistenza del suo patrimonio e, quindi, reso più difficile il soddisfacimento delle pretese creditorie.

La ricorrenza dell’eventus damni, sulla scorta di tale affermazione, era stata ritenuta pacifica sia dal Giudice di prime cure che da quello d’Appello. Quest’ultimo, per giunta, avrebbe erroneamente respinto le sue contestazioni, evidenziando che non aveva fornito la prova della consistenza del suo patrimonio.

2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza gravata per violazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto dimostrata la cessione del credito da parte di Cassa rurale Vallagarina all’attrice NEMO SPV. Invece, il contratto di cessione in blocco del credito in favore di quest’ultima non era stato prodotto in causa dalla cessionaria, com’era suo onere fare, ed il Giudice di prime cure, che aveva rilevato la mancanza della prova del contratto di cession, attesa la contumacia di H.V., aveva ritenuto tardiva la produzione probatoria dello stesso da parte della intervenuta cassa rurale.

In appello, l’odierno ricorrente aveva rilevato a tal proposito che non poteva trovare applicazione il principio di non contestazione, data la contumacia di H.V., litisconsorte necessario. La Corte d’Appello, però, erroneamente avrebbe respinto tale motivo di gravame, ritenendo che la contumacia non esplicasse gli effetti invocati dall’appellante, in quanto il fatto oggetto di interesse, cioè la cessione del credito, non aveva attinenza con il fatto coinvolgente la litisconsorte e cioè la costituzione del fondo patrimoniale, essendo solo T.A. debitore delle somme azionate.

3. A prescindere dal problema della tempestività della notifica della sentenza, posto che l’avviso di ricevimento manca del timbro recante la data di ricevimento, il ricorso è inammissibile per le seguenti ragioni:

– quanto al primo motivo, e con riguardo alla prima censura, perchè un motivo denunciante la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura effettivamente e, dunque, dev’essere scrutinato come tale solo se in esso risulti dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 c.c. non risulti argomentata in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie abbia condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso è inammissibile come motivo in iure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (se si considera l’art. 2697 c.c. norma processuale) e ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (se si considera l’art. 2697 c.c. norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali), e, nel regime dell’art. 360 c.p.c., n. 5, si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato ai sensi di quella norma (Cass., Sez. Un. 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054).

Va altresì considerato che il ricorrente dimostra di non avere messo bene a fuoco la ratio decidendi della sentenza gravata, che aveva ritenuto irrilevanti le difese svolte negli scritti difensivi finali per mancata impugnazione del capo della sentenza di prime cure relativo all’accertamento dell’eventus damni, osservando che i motivi di appello erano due: l’esatta individuazione dei beni oggetto del fondo patrimoniale e la prova della cessione del credito. In sostanza, la Corte d’Appello non aveva mai ritenuto di non poter prendere in considerazione le difese svolte negli scritti difensivi finali in quanto tali, ma solo perchè riguardavano una questione coperta da giudicato.

La seconda censura è, a sua volta, inammissibile per violazione dell’art. 360 bis c.p.c. Pur non potendosi condividere quanto affermato dalla controricorrente (p. 12 del controricorso), vale a dire che il ricorrente non avesse interesse ad impugnare un’argomentazione ad abundantiam che non aveva dispiegato alcun effetto sul dispositivo della sentenza, perchè invece, la Corte d’Appello aveva corretto la decisione di prime cure, accogliendo il motivo di appello, nessun rimprovero può essere mosso alla sentenza impugnata, la quale aveva ritenuto che la prova dell’eventus damni si restringesse alla prova della variazione patrimoniale – senza necessità di dimostrare l’entità e la natura del patrimonio del debitore a seguito dell’atto di disposizione, non potendo il creditore valutarne compiutamente le caratteristiche – spettando al debitore la prova della capienza del proprio patrimonio, nonostante l’atto dispositivo, a soddisfare le ragioni creditorie.

L’indirizzo giurisprudenziale consolidato è volto, infatti, a ritenere che, a fronte di un atto di per sè idoneo a compromettere la garanzia generica del creditore, spetta al debitore dimostrare – in applicazione del principio di vicinanza della prova – l’assoluta capienza del suo patrimonio. Invero, non essendo richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del creditore, l’onere di provare la insussistenza dell’eventus damni incombe sul convenuto che la eccepisca.

Orbene, non è contestato, nè revocabile in dubbio, che l’atto costitutivo del fondo patrimoniale, dando luogo ad un fenomeno di segregazione dei beni in esso conferiti, destinandoli al soddisfacimento di specifici scopi, li sottrae alla funzione di garanzia generica. Ciò comporta in sè una modificazione qualitativa in peius della situazione patrimoniale del debitore; che discende ex se dal fatto di avere sottratto i beni conferiti all’entità patrimoniale destinata al soddisfacimento delle ragioni creditorie.

In questa prospettiva erra il ricorrente nel sostenere che non sarebbe stato adempiuto dal creditore l’onere di provare l’effetto pregiudizievole della costituzione del fondo patrimoniale oggetto di causa, dato che tale effetto è insito nella tipologia dell’atto stesso e che la finalità dell’azione revocatoria ordinaria è in primis quella di conservare integro il patrimonio del debitore, quale garanzia generica delle ragioni creditizie, e non quella di preservare la garanzia specifica. E’ infatti sufficiente, ai fini dell’esperimento dell’azione, che l’atto da revocare sia idoneo a produrre mero pericolo o incertezza per il soddisfacimento del diritto del creditore (Cass. 3/02/2015, n. 1902; Cass. 27/10/2015, n. 21808).

In ordine al secondo motivo: è preliminare il rilievo che il vizio di violazione dell’art. 115 c.p.c., per essere accolto richiede che venga denunciato che il giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè che abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della normà il che significa che, per realizzare la violazione, deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio) (Cass. 10/06/2016, n. 11892); mentre, nel caso di specie oggetto di censura era l’esito della valutazione delle prove ulteriori rispetto al documento tardivamente prodotto.

Va aggiunto che non è stata specificamente censurata la distinta ratio decidendi secondo cui la prova della cessione in blocco dei crediti alla società NEMO era stata ritenuta raggiunta “in virtù di altri elementi, cui sono riferiti passaggi motivazionali non oggetto di appello” – si tratta di elementi ulteriori rispetto alla mancata contestazione da parte di T.A. dell’avvenuta cessione non applicabile al procedimento contumaciale, rappresentati dalla produzione degli effetti di cui all’art. 1264 c.c. con l’atto di citazione, essendo pacifico in giurisprudenza che la notificazione della cessione può essere fatta anche mediante l’atto di citazione con cui il cessionario intima il pagamento al debitore ceduto, con la pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale, con la dichiarazione di contenuto confessorio con cui il cedente confermi l’avvenuta cession del credito al cessionario, come era accaduto nel caso di specie.

In aggiunta, si rileva che l’impugnazione dell’altra ratio decidendi con cui la Corte d’Appello aveva ritenuto irrilevante nel processo in corso la inapplicabilità del principio di non contestazione al giudizio, in cui uno dei litisconsorti necessari, sia rimasto contumace, atteso il fatto che la cessione del credito in blocco non aveva attinenza con la costituzione del fondo patrimoniale e quindi faceva difetto il presupposto della comunanza del fatto non contestato al soggetto rimasto contumace, non è stata a sua volta, efficacemente censurata dal ricorrente: infatti, il motivo di ricorso si limita a sollecitare l’applicazione del principio di non contestazione al giudizio contumaciale, sulla scorta dell’argomento che la prova della cessione del credito fosse essenziale e che la mancata contestazione non potesse pregiudicare la posizione della contumace; esso non contiene una specifica censura alla premessa che ha costituito la base di riferimento per la statuizione impugnata e cioè che la cessione non fosse un fatto comune al litisconsorte necessario, essendo il credito fatto valere esclusivo di T.A..

Trova, dunque, applicazione il principio di diritto, secondo cui qualora la sentenza di merito impugnata si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione secondo l’iter logico-giuridico seguito sul punto in questione nella sentenza impugnata, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, di taluna (o anche di una soltanto) di tali ragioni determina l’inammissibilità, per difetto di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulle rationes decidendi non censurate (o sulla ratio decidendi non censurata), con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe pur sempre fondata su di esse (cfr., di recente, Cass. 31/08/2020, n. 18119).

4. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

5. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2021

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