Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17059 del 13/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/08/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 13/08/2020), n.17059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3618/2013 R.G. proposto da:

Kemon s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via Boezio n. 16, presso lo

studio degli avv.ti Andrea Silla e Flavia Silla, che la

rappresentano e difendono giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Umbria n. 138/04/12, depositata il 10 luglio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2020

dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con la sentenza n. 138/04/12 del 10/07/2012, la Commissione tributaria regionale dell’Umbria (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 117/07/11 della Commissione tributaria provinciale di Perugia (di seguito CTP), che aveva accolto il ricorso proposto da Kemon s.p.a. nei confronti di tre avvisi di accertamento per IRPEG, IRAP e IVA relative agli anni d’imposta 2003-2005;

1.1. come si evince anche dalla sentenza impugnata, gli atti impositivi riguardavano il recupero di costi conseguenti all’emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti, fatture rilasciate dalle società britanniche Euro Promotion Sporting Event (EPSE) Ltd e Sport Event Solutions (SES) Ltd;

1.2. in particolare, secondo la prospettazione dell’Agenzia delle entrate tali ultime società, in realtà prive di struttura e facenti capo a M.D. e R.R., che agivano come una società di fatto, avevano acquistato, per il prezzo simbolico di Euro 1,00, da alcune squadre motociclistiche degli spazi pubblicitari che cedevano a varie aziende italiane, tra cui Kemon s.p.a.;

1.3. la ricorrente aveva corrisposto alle menzionate società britanniche, a titolo di sponsorizzazione, somme di gran lunga superiori all’effettivo valore di mercato del bene offerto, somme che venivano successivamente in gran parte restituite alla Kemon s.p.a. dopo essere passate per conti austriaci e svizzeri nella disponibilità dei predetti M. e R.;

1.4. ne conseguiva che il prezzo effettivo della sponsorizzazione realmente effettuata era pari a circa il sedici per cento dell’importo pagato da Kemon s.p.a., con conseguente disconoscimento della deducibilità dei costi e della detraibilità dell’IVA in ragione all’ottantaquattro per cento degli importi fatturati da EPSE e SES;

1.5. la CTR motivava il rigetto dell’appello di Kemon s.p.a. evidenziando che: a) la realizzazione della frode fiscale prefigurata dall’Agenzia delle entrate nel processo verbale di constatazione era non solo comprovata ma anche incontestata dalla società contribuente, che si era limitata a dichiararsi estranea alla stessa; b) la conoscenza della frode da parte di Kemon s.p.a. era comunque evincibile da una serie di elementi indiziari (la verosimile parziale restituzione delle somme corrisposte alla medesima società; la mancanza di operatività delle società britanniche, nota a Kemon s.p.a.; l’incongruità della somma corrisposta per la sponsorizzazione); c) l’onere dell’Ufficio circa la contestazione di operazioni inesistenti era stato, pertanto, largamente assolto, mentre “le argomentazioni e produzioni offerte dal contribuente nel primo grado di giudizio non sono sufficienti a superare l’impianto probatorio dell’ufficio”, non essendo la società contribuente riuscita a dimostrare l’inconsapevolezza della Kemon s.p.a.; d) l’esistenza di un contratto di sponsorizzazione effettivamente eseguito, nonchè delle fatture e dei pagamenti tracciati non costituivano elementi idonei ad escludere la sussistenza della frode e la partecipazione ad essa da parte della società contribuente;

2. Kemon s.p.a. impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, e depositava, altresì, memoria con allegata sentenza di assoluzione del legale rappresentante della società in sede penale, nonchè memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.;

3. l’Agenzia delle entrate depositava comparsa di costituzione al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione orale.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. va pregiudizialmente dichiarata l’inammissibilità della produzione documentale effettuata da parte ricorrente unitamente alla memoria datata 24/07/2017, costituita dalla sentenza penale di assoluzione di N.G., legale rappresentante di Kemon s.p.a.;

1.1. costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello per il quale “in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione; emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano 91i stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4 e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna; ne consegue che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie, ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio” (Cass. n. 28174 del 24/11/2017; conf. Cass. n. 10578 del 22/05/2015);

1.1.1. in buona sostanza, “la sentenza penale irrevocabile intervenuta per reati attinenti ai medesimi fatti su cui si fonda l’accertamento degli uffici finanziari rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva” (Cass. n. 2938 del 13/02/2015; si veda anche Cass. n. 4924 del 27/02/2013);

1.2. ciò premesso, la sentenza prodotta: a) non può avere alcuna valenza di giudicato nel presente giudizio, sia in quanto non v’è prova del passaggio in giudicato della stessa sia in ragione del principio di diritto sopra menzionato; b) non può avere nemmeno la valenza di elemento di prova, in quanto, non avendo avuto ingresso nel giudizio di merito, non può essere prodotta nel giudizio di cassazione, ostandovi il divieto di cui all’art. 372 c.p.c.;

2. con il primo motivo di ricorso Kemon s.p.a. deduce la violazione o la falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo unico delle imposte sui redditi – TUIR), art. 108, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando di avere dato piena prova documentale delle spese dedotte, producendo i contratti e le fatture, nonchè documentando l’effettivo versamento delle somme ivi previste, sicchè la CTR non avrebbe potuto disconoscere la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA in misura pari all’ottantaquattro per cento;

3. il motivo è inammissibile;

3.1. la sentenza impugnata ha accertato che: a) M.D. e R.R. hanno architettato una complessa frode fiscale, alla quale ha consapevolmente partecipato Kemon s.p.a.; b) la società contribuente ha beneficiato della frode pagando una somma incongrua per la sponsorizzazione (con conseguente deduzione di costi e detrazione di IVA), somma poi parzialmente restituita in contanti; c) conseguentemente, Kemon s.p.a. ha diritto alla deduzione e alla detrazione nei limiti del prezzo effettivamente pagato per la sponsorizzazione, detratto quanto successivamente restituitole;

3.2. posto il menzionato accertamento in fatto della CTR, che non può essere messo in contestazione in sede di legittimità con il vizio di violazione di legge, è del tutto corretta la conclusione cui è giunta la sentenza impugnata, posto che i costi dedotti e la conseguente IVA detratta non sono effettivi ma sovradimensionati e, dunque, i contratti e le fatture non indicano il prezzo effettivamente corrisposto per la sponsorizzazione;

4. con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che l’Amministrazione finanziaria, che ne ha il relativo onere, non avrebbe fornito la prova dell’inesistenza oggettiva e soggettiva dell’operazione attenzionata, essendo prive di valenza probatoria le presunzioni su cui poggia l’accertamento;

5. il motivo è inammissibile;

5.1. la società contribuente non denuncia una violazione di legge, nemmeno sotto il profilo della violazione delle regole di ripartizione dell’onere della prova, ma la correttezza nel merito della sentenza impugnata, contestandone la fondatezza dell’impianto motivazionale;

5.2. trattasi, pertanto, di vizio di motivazione non denunciabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

6. con il terzo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza o del procedimento per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 18,36 e 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto l’appello dell’Agenzia delle entrate sarebbe privo di causa petendi, non avendo precisato se l’operazione sia soggettivamente o oggettivamente esistente, e tale vizio riverbererebbe sulla motivazione della CTR;

7. il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato;

7.1. il motivo è inammissibile nella parte in cui si denuncia un vizio dell’atto di appello mai denunciato in sede di gravame, risolvendosi, pertanto, in una nuova contestazione;

7.2. il motivo è infondato nella parte in cui si contesta la mancanza o l’apparenza della motivazione della sentenza impugnata, che, come rappresentato con riferimento al primo motivo è non solo esistente, ma niente affatto priva di una sua logica coerenza;

8. con il quarto motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio, oggetto di discussione tra le parti, atteso che la sentenza impugnata, senza distinguere tra operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, avrebbe adottato una motivazione non fondata su valide presunzioni e comunque contrastante con la realtà fattuale;

9. il motivo è inammissibile e, comunque, infondato;

9.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass. S.U. n. 24148 del 25/10/2013);

9.2. nel caso di specie, è vero che la CTR si limita a definire (parzialmente) inesistenti le operazioni di sponsorizzazione poste in essere da Kemon s.p.a. senza espressamente qualificarle in senso soggettivo o oggettivo, tuttavia, dalla stessa indicazione degli elementi fattuali contenuti in ricorso, si evince che nella prospettazione del giudice di appello dette operazioni sono: a) soggettivamente inesistenti, in quanto non riferibili alle società britanniche, prive di operatività, ma alla società di fatto tra i sig.ri M. e R.; b) oggettivamente inesistenti, in misura parziale, nella parte in cui prevedono il pagamento di un prezzo maggiorato;

9.3. in ogni caso, indipendentemente dalla concreta qualificazione delle operazioni e dalla sua effettiva correttezza, la CTR ha seguito un processo argomentativo perfettamente logico e niente affatto contraddittorio (si veda quanto dedotto con riferimento al primo motivo), valorizzando gli elementi addotti dall’Agenzia delle entrate e spiegando le ragioni per le quali le fatture e i contratti di sponsorizzazione indicano un prezzo maggiore rispetto a quello effettivamente pagato, con conseguente disconoscimento della deduzione dei costi e della detrazione dell’IVA;

9.4. la ricorrente non adduce fatti decisivi, la cui valutazione sia stata omessa dalla CTR, ma chiede, sostanzialmente, una integrale rivalutazione nel merito della decisione di appello, rivalutazione inammissibile in sede di legittimità;

10. in conclusione, il ricorso va rigettato;

10.1. nulla per le spese in ragione della mancata costituzione dell’Agenzia delle entrate;

10.2. poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2020

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