Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17059 del 05/08/2011

Cassazione civile sez. II, 05/08/2011, (ud. 10/06/2011, dep. 05/08/2011), n.17059

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, V.PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO,

che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CENTRO LATERIZI NAZ CLN SPA (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

AGOSTINO DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato BATTAGLIA

EMILIO, Che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati DINA

MASSIMO, BOTTINI PAOLA, DI AMATO ASTOLFO;

MELIORBANCA SPA c.f. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

TRIESTE 87, presso lo studio dell’avvocato ANTONUCCI ARTURO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato TRUFFI ROBERTO;

– controricorrenti –

e contro

FLOSA FORNACE LATERIZI DI ORTE SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del

Liquidatore pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4852/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2011 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito l’Avvocato ROMANELLI Guido, difensore della ricorrente che ha

chiesto di riportarsi agli scritti;

uditi gli Avvocati ANTONUCCI e BATTAGLIA, difensori dei resistenti

che hanno chiesto di riportarsi anche loro agli scritti depositati;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.A. conveniva in giudizio la s.r.l. Flosa Fornace Laterizi in liquidazione esponendo: che, con atto 31/3/1995, aveva venduto alla convenuta alcuni fabbricati siti in (OMISSIS) insistenti in parte su una porzione del tracciato di una strada comunale non più utilizzata e su una porzione di un fosso demaniale interrato; che la vendita era stata sottoposta alle condizioni sospensive della sdemanializzazione ed acquisizione anche del solo diritto di superficie della proprietà demaniale e dell’accatastamento del fabbricato all’Urbano; che essa G. aveva, con atto 30/5/1995, venduto alla società Flosa alcuni terreni in (OMISSIS) compresi quelli non di proprietà di essa venditrice perchè demaniali; che anche tale seconda vendita era stata sottoposta a due condizioni sospensive; che dopo quattro anni dalla conclusione dei contratti le condizioni sospensive non si erano verificate per cui era interesse di essa attrice ottenere la dichiarazione di inefficacia dei due citati negozi giuridici.

La s.r.l. Flosa in liquidazione, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda sostenendone l’infondatezza ed eccependo la carenza di legittimazione attiva della G..

Con sentenza 20/11/2002 l’adito tribunale di Roma, accertato che le condizioni sospensive apposte dalle parti nei contratti in questione non si erano verificate, dichiarava l’inefficacia di tali contratti.

Avverso la detta sentenza proponevano appello la s.r.l. Flosa in liquidazione, in persona dell’amministratore giudiziario, nonchè la s.r.l. Flosa in persona del liquidatore.

La G. resisteva ai gravami eccependo la carenza di legittimazione della società Flosa per inesistenza del potere di impugnazione in capo sia all’amministratore giudiziario, sia al liquidatore.

Interveniva e si costituiva in giudizio la s.p.a. Centro Laterizi Nazionale (CNL) proponendo appello incidentale e chiedendo il rigetto della domanda della G..

Successivamente la s.r.l. Flosa, con due distinti atti, rinunciava agli atti del giudizio e la G. accettava tali rinunzie chiedendo dichiararsi l’estinzione del giudizio.

La s.p.a. CNL contestava la validità delle rinunzie agli atti del giudizio e si opponeva alla richiesta di declaratoria di estinzione del giudizio.

Interveniva in giudizio la s.p.a. Meliorbanca aderendo alla domanda della CNL. Con sentenza 8/11/2006 la corte di appello di Roma in riforma dell’impugnata decisione, rigettava la domanda della G. osservando: che era infondata l’eccezione sollevata dalla G. relativa alla carenza di legittimazione della s.r.l. Flosa a proporre impugnazione mediante il suo amministratore giudiziario; che il tribunale di Roma, con provvedimento 30/9/2002, aveva disposto la revoca del liquidatore della predetta società e la nomina dell’amministratore giudiziario con l’incarico di eliminare le irregolarità accertate; che la nomina dell’amministratore giudiziario aveva comportato il trasferimento a detto amministratore dei poteri di amministrazione e rappresentanza della società; che pertanto l’amministratore giudiziario era l’unico soggetto legittimato alla gestione della società ed a lui competeva ogni atto di gestione sia di natura ordinaria che straordinaria; che l’atto di appello, essendo finalizzato a tutelare l’integrità del patrimonio della società andava inquadrato tra gli atti di ordinaria amministrazione riguardando gli atti di straordinaria amministrazione solo quelli aventi una particolare incidenza e potenzialità ad intaccare il patrimonio della società; che restava assorbita l’eccezione in ordine all’appello proposto dal liquidatore della Flosa; che era infondata l’eccezione relativa alla carenza di legittimazione ad intervenire e proporre appello incidentale della s.p.a. CNL; che la CNL, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso, non era terzo ma parte ed il suo intervento nel processo era regolato dall’art. 111 c.p.c. e non era soggetto ai limiti di cui all’art. 344 c.p.c.; che nessuna efficacia avevano le rinunzie agli atti del giudizi, effettuate dalla s.r.l. Flosa ed accettate dalla G., nei confronti della CNL essendo tale società, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso, titolare di un autonomo diritto ex art. 111 c.p.c. ad intervenire ed impugnare; che era fondata la censura che la CNL aveva mosso alla sentenza del tribunale deducendo che le parti, provvedendo ad adempiere al pagamento del prezzo, avevano rinunciato ad avvalersi delle condizioni sospensive dandole per ve-rificate; che inoltre, come risultava dal contesto dei due atti di vendita, il solo soggetto interessato a far valere l’eventuale mancato avveramento delle condizioni sospensive era la società acquirente; che nessun interesse aveva la G. ad avvalersi delle condizioni sospensive avendo incassato il prezzo.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Roma è stata chiesta da G.A. con ricorso affidato a tre motivi. La s.p.a. CLN e la s.p.a. Meliorbanca hanno resistito con separati controricorsi. Il ricorso è stato notificato alla s.r.l. Flosa in persona del suo liquidatore e in persona del suo amministratore giudiziario i quali, nelle rispettive qualità, non hanno svolto attività difensiva in questa sede di legittimità. G.A. e la s.p.a. CLN hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso G.A. denuncia violazione dell’art. 92 disp. att. c.p.c. e art. 75 c.p.c., nonchè vizi di motivazione, deducendo che la corte di appello, nel qualificare l’impugnazione dell’amministratore giudiziario della s.r.l. Flosa come atto di ordinaria amministrazione e non come atto di straordinaria amministrazione, non ha considerato il principio giuridico affermato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui l’impugnativa rientra nella seconda e non nella prima categoria.

Peraltro la motivazione posta dalla corte di merito a sostegno della ritenuta qualificazione giuridica è contraddittoria avendo detta corte ritenuto che debbano considerarsi atti di straordinaria amministrazione “quelli che rivestono una particolare incidenza e potenzialità ad intaccare il patrimonio della società” e poi qualificato come atto di ordinaria amministrazione l’impugnazione proposta dall’amministratore giudiziario in quanto finalizzata “a tutelare l’integrità del patrimonio della società”. La ricorrente ha quindi formulato il seguente quesito di diritto: “L’impugnazione proposta dall’Amministratore Giudiziario deve considerarsi atto di ordinaria amministrazione o atto di straordinaria amministrazione? L’Amministratore Giudiziario nominato all’esito del procedimento ex art 2049 (rectius 2409) c.c., previgente formulazione, è legittimato a proporre appello avverso la sentenza resa dal Tribunale in assenza di apposita autorizzazione dell’autorità giudiziaria che lo ha nominato?” Il motivo è infondato ed al quesito come formulato al termine della censura va data risposta in senso contrario a quello auspicato dalla ricorrente.

Al riguardo va osservato che la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione riposa essenzialmente non su un criterio tecnico giuridico, bensì su un criterio economico riferito alla natura ed intensità degli effetti sul patrimonio amministrato.

Va in proposito richiamato il principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’autorizzazione del giudice tutelare è richiesta, a norma dell’art. 374 c.c., n. 5, nell’ipotesi in cui il rappresentante legale intenda rendersi attore, per far pretesa ricollegabile alla sfera patrimoniale dell’incapace, e non già per la diversa ipotesi – ricorrente appunto nella specie – in cui il rappresentante stesso debba resistere all’altrui iniziativa giudiziaria, in vista della conservazione degli interessi del rappresentato. In questa seconda ipotesi, egli ben può, senza autorizzazione, proporre le eventuali impugnazioni, le quali costituiscono fasi di un unico ed unitario procedimento e non comportano il promovimento di un autonomo giudizio bensì hanno lo scopo di conseguire la rimozione di provvedimenti sfavorevoli per l’incapace (tra le tante, sentenze 10/2/1998 n. 1345; 6/2/1989 n. 722). Inoltre, in considerazione del tenore letterale e della “ratio” di cui all’art. 374 c.c., al tutore è fatto divieto – senza autorizzazione del giudice tutelare – di iniziare “ex novo” giudizi a nome della persona tutelata, ma non di proseguire quelli che la stessa abbia personalmente promosso in epoca antecedente al provvedimento di interdizione, non ricorrendo in tale ipotesi la necessità di compiere la preventiva valutazione in ordine all’interesse e al rischio economico per il tutelato, in quanto già compiuta dall’interessato prima della perdita della capacità.

Pertanto, poichè l’appello si atteggia come prosecuzione del giudizio per la realizzazione dello stesso interesse perseguito dal tutelato con l’atto introduttivo del giudizio, il tutore è legittimato a proporre la relativa impugnazione senza autorizzazione (sentenza 21/12/2004 n. 23647).

Va quindi affermato che l’impugnazione proposta dall’Amministratore Giudiziario – nominato all’esito del procedimento ex art. 2409 c.c. previgente formulazione ed investito della gestione della società con conseguente legittimazione a stare in giudizio nella controversie relative a tale gestione – deve essere considerato atto di ordinaria amministrazione.

Nella specie l’atto di appello – come rilevato dalla corte territoriale – è destinato a tutelare l’integrità del patrimonio della società per cui va inquadrato tra gli atti di ordinaria amministrazione. Da ciò la sussistenza della legittimazione a proporre gravame, avverso la sentenza resa dal Tribunale, in assenza di apposita autorizzazione dell’autorità giudiziaria che lo ha nominato.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 111, 325 e 334 c.p.c., nonchè vizi di motivazione, sostenendo che anche a voler considerare l’intervento della s.p.a. CNL nell’ambito dell’istituto di cui all’art. 111 c.p.c., l’impugnazione proposta dall’interveniente – successore doveva essere formulata entro il termine di cui all’art. 325 c.p.c., ossia entro il 28/4/2003 stante la notifica della sentenza del tribunale ai difensori della Flosa s.r.l. avvenuta il 28/3/2003. La CNL ha invece proposto appello incidentale solo nel settembre 2003 per cui tale impugnazione va qualificata come incidentale “tardiva” ex art. 334 c.p.c. Da tale qualificazione discende che l’impugnazione in questione andava dichiarata inammissibile ex art. 334 c.p.c., comma 2 per sopravvenuta inammissibilità dell’impugnazione principale a seguito della rinuncia al gravame da parte della appellante principale s.r.l. Flosa ed all’accettazione di tale rinuncia ad opera di essa appellata G.. Quest’ultima, dopo aver dedotto che sui detti punti la corte di appello ha omesso di motivare adeguatamente, ha formulato i connessi e collegati quesiti di diritto. Il motivo non è meritevole di accoglimento in quanto:

a) la notifica della sentenza del tribunale alla s.r.l. Flosa non può ritenersi idonea a far decorrere il termine breve per impugnare da parte dell’amministratore giudiziario della società nominato con provvedimento del tribunale del 16/10/2002, ossia ben prima della detta notifica non rivolta all’amministratore giudiziario;

b) L’amministratore giudiziario della Flosa ha tempestivamente impugnato la sentenza di primo grado e non ha rinunciato al gravame nè nei suoi confronti può essere ritenuta valida la rinuncia all’appello da parte del liquidatore della Flosa privo di tale potere appartenente solo all’amministratore giudiziario unico soggetto legittimato alla gestione della società al momento della detta rinuncia;

c) in assenza di rinuncia da parte dell’amministratore giudiziario della Flosa l’impugnazione dallo stesso proposta è rimasta valida con conseguente permanenza della validità della impugnazione spiegata dalla società CNL intervenuta nel processo ex art. 111 c.p.c. quale successore a titolo particolare del diritto controverso.

Con il terzo motivo la G. denuncia: violazione degli artt. 1353, 1362, 2697, 2719 c.c., degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.; vizi di motivazione e omessa rilevazione di un giudicato interno. Ad avviso della ricorrente la corte di appello ha errato sia nel ritenere “verificate e rinunciate” dalle parti le condizioni sospensive poste negli atti di vendita in questione, sia nel ritenere la carenza di interesse ad agire in capo ad essa G.. Al riguardo la corte di merito ha ritenuto sussistente – senza motivare sul punto – una circostanza che non risultava essere stata in alcun modo riscontrata, ossia l’intervenuto pagamento del prezzo di vendita degli immobili. Tale circostanza era stata dedotta in primo grado dalla Flosa la quale aveva in proposito prodotto copie informi di quietanze presuntivamente sottoscritte da essa ricorrente che, con memoria 31/1/2001, aveva contestato la conformità agli originali di dette quietanze. A tali contestazioni non era seguita la produzione degli originali rendendo così privi di valore i documenti prodotti.

La questione è stata implicitamente esaminata dal tribunale il quale nella sentenza di primo grado ha dato atto che “le circostanze esposte nell’atto di citazione sono risultate integralmente comprovate dalla documentazione in atti”: tra tali circostanze rientra quella inerente il mancato pagamento del prezzo di vendita.

Il detto capo della sentenza di primo grado non ha formato oggetto di specifica censura in sede di appello con conseguente raggiungimento del “giudicato interno” sul punto. Malgrado siffatto giudicato interno e l’inesistenza di valida prova – stante il disconoscimento delle copie informi della prodotte quietanze – la corte di appello ha inammissibilmente ritenuto verificato e provato l’asserito pagamento.

Sulla base di tale presupposto la corte di merito ha ritenuto: che le parti avessero “inteso per raggiunte tutte le condizioni sospensive” o che le stesse fossero state “rinunciate”; che essa G. fosse carente di interesse ad agire per far valere l’inefficacia degli atti di vendita immobiliare. Peraltro il giudice di appello ha contraddittoriamente qualificato le condizioni sospensive ora come bilaterali ed ora come unilaterali. Il ragionamento della corte di appello al riguardo è lacunoso e superficiale oltre che contrastante con quanto disposto dagli artt. 1353 e 1362 c.c. non avendo il giudice di secondo grado considerato che l’apposizione delle condizioni sospensive era avvenuta per concorde scelta delle parti e nel reciproco interesse e che essa G. era portatrice di un interesse qualificato a non procrastinare ulteriormente un rapporto giuridico “sospensivamente condizionato” e, quindi, a richiedere la declaratoria di inefficacia degli atti in questione.

Al termine dell’articolato motivo di ricorso la G. ha formulato i connessi e coerenti quesiti di diritto.

La Corte rileva l’infondatezza e, in parte, l’inammissibilità delle dette censure.

Occorre innanzitutto rilevare che – come sopra riportato nella parte narrativa che precede – la corte di appello, in accoglimento dei motivi 2 e 4 sviluppati nella comparsa di costituzione e di intervento della s.p.a. CNL, ha affermato che:

a) il momento del pagamento del prezzo era stato contrattualmente fissato dalle parti in quello del verificarsi delle condizioni sospensive per cui, poichè era stata pagata la somma pattuita, le parti avevano “inteso per verificate tutte le condizioni sospensive” e, comunque, in ogni caso avevano “inteso rinunciare alle condizioni predette dando attuazione al contratto con il pagamento e l’accettazione del prezzo pattuito” (pagina 8 della sentenza impugnata);

b) la società acquirente Flosa – come risultava evidente dal contesto dei due atti di vendita in questione – era il solo soggetto interessato a far valere “l’eventuale mancato avveramento delle condizioni sospensive” e ciò “in quanto ovviamente interessata a che i beni da essa acquistati fossero sdemanializzati ed accatastati” (pagina 9 della menzionata sentenza).

Si tratta, come è palese, di due distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali idonea a sorreggere la pronuncia sul punto in esame: la seconda ragione giuridica è fondata – sottraendo si alle critiche mosse dalla ricorrente – il che rende superfluo l’esame della prima ragione non potendo la sua eventuale fondatezza portare alla cassazione della sentenza impugnata che rimarrebbe ferma sulla base dell’argomento riconosciuto esatto.

Con riferimento alla detta seconda argomentazione vanno richiamati i seguenti principi che questa Corte ha avuto modo di affermare e che il Collegio condivide e ribadisce:

– in virtù dell’autonomia contrattuale, le parti possono apporre una determinata condizione al contratto nell’esclusivo interesse di uno solo dei contraenti, nella quale ipotesi, il cui accertamento è rimesso al giudice del merito, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e correttamente motivato, tale contraente può ben rinunziare ad avvalersi della condizione, sia prima che dopo il non avveramento della stessa, senza che la controparte possa, comunque, ostacolarne la volontà (sentenza 15/2/1982 n. 934);

– la cosiddetta condizione unilaterale, cioè la condizione convenuta nell’interesse esclusivo di uno solo dei contraenti, anche se non stipulata espressamente, può emergere per implicito, come corollario indefettibile dello scopo che le parti si propongono, allorquando la sua determinazione nell’interesse di un unico contraente, chiamato a sopportare un preciso onere economico, promani da una corretta valutazione dell’intero rapporto negoziale (sentenza 17/8/1999 n. 8685);

– per il principio dell’autonomia contrattuale, la condizione sospensiva o risolutiva può essere convenuta ad interesse esclusivo di uno solo dei contraenti, il quale resta di conseguenza libero di avvalersene o di rinunciarvi, senza possibilità per la controparte di ostacolarne la volontà (tra le tante, sentenze 15/11/2006 n. 24299; 4/2/1942 n. 1194; 20/12/1989 n. 5757; 15/11/1986 n. 6742).

Nella specie la corte di appello ha ineccepibilmente interpretato i due atti di vendita in questione nel senso che le condizioni sospensive erano state previste nell’interesse della società acquirente (ossia della s.r.l. Flosa) dando al riguardo adeguata e coerente motivazione ponendo in evidenza che la detta società era il soggetto interessato “a che i beni da essa acquistati fossero sdemanializzati ed accatastati”.

In proposito è sufficiente il richiamo al principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui l’interpretazione degli atti di autonomia privata si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice del merito: tale accertamento è incensurabile in cassazione se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici o da errori di diritto e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle norme di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e segg. L’identificazione della volontà contrattuale – che, avendo ad oggetto una realtà fenomenica ed obiettiva, concreta un accertamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito – è censurabile non già quando le ragioni poste a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì quando siano insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica.

Nella specie la corte di appello ha proceduto all’interpretazione dei contratti in questione e sul punto il procedimento logico-giuridico sviluppato nell’impugnata decisione è ineccepibile, in quanto coerente e razionale oltre che immune da contraddizioni, nonchè da vizi logici e da errori di diritto.

A fronte delle coerenti argomentazioni poste a base della conclusione cui è pervenuto il giudice di appello, è evidente che le censure in proposito mosse dalla ricorrente devono ritenersi rivolte non alla base del convincimento del giudice, ma, inammissibilmente, al convincimento stesso e, cioè, all’interpretazione dei contratti in modo difforme da quello auspicato.

Peraltro la ricorrente lamenta la violazione dei principi relativi all’interpretazione degli atti negoziali svolgendo al riguardo generiche argomentazioni (peraltro senza riportare le clausole contenute nei contratti in esame) ed è noto che la parte che denunci in cassazione l’erronea determinazione, in sede di merito, della volontà negoziale è tenuta ad indicare quali canoni o criteri interpretativi siano stati violati.

Deve quindi concludersi che correttamente la corte di appello ha affermato che la G. non aveva nessun interesse “ad avvalersi delle condizioni sospensive” previste contrattualmente nel solo interesse della società acquirente. Quest’ultima, costituendosi nel giudizio di primo grado, aveva contestato la domanda della G. volta alla pronuncia di inefficacia dei contratti in questione per la mancata verificazione delle condizioni sospensive ivi previste.

Con il descritto comportamento processuale la società Flosa ha in modo inequivoco dimostrato – indipendentemente dalla circostanza dell’avvenuto pagamento del prezzo – di non volersi avvalere di dette condizioni sospensive e di sostenere l’efficacia dei detti contratti dovendosi ritenere come avverate tali condizioni.

In definitiva il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate, in favore di ciascuna parte resistente, nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida:

a) in favore della s.p.a. CNL in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 4.000,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge;

b) in favore della s.p.a. Meliorbanca in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 3.000,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2011

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