Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17057 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 11/08/2016, (ud. 09/03/2016, dep. 11/08/2016), n.17057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20223/2014 proposto da:

T.D., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato SIRO CENTOFANTI, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

FEDERAZIONE REGIONALE COLDIRETTI UMBRIA, C.F. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato VESCI

GERARDO & PARTNERS, rappresentata e difesa dall’avvocato VESCI

GERARDO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

CENTRO REGIONALE UMBRO PER L’ASSISTENZA DI GESTIONE ALLE IMPRESE

AGRICOLE (C.R.U.A.G.A.), C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO &

PARTNERS, rappresentata e difesa dall’avvocato VESCI GERARDO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

e contro

VERDE SVILUPPO – ASSOCIAZIONE REGIONALE PER LA PROMOZIONE DEL SERVIZI

DI SVILUPPO AGRICOLO – IN LIQUIDAZIONE C.F. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato VESCI

GERARDO & PARTNERS, rappresentata e difesa dall’avvocato VESCI

GERARDO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 113/2013 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 17/08/2013 R.G.N. 450/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito l’Avvocato CENTOFANTI SIRO;

udito l’Avvocato LUCISANO CLAUDIO per delega Avvocato VESCI GERARDO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Gederale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per: accoglimento quarto e quinto

motivo del ricorso principale, rigetto per i primi tre, assorbiti

gli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. T.D. adiva il giudice del lavoro esponendo di essere stato assunto dal Centro Regionale Umbro per l’assistenza di gestione alle aziende agricole con mansioni di impiegato; di essere stato licenziato il 31/10/2002, con efficacia dal marzo 2003; di avere diritto ad essere inquadrato, per le mansioni in concreto svolte, nella qualifica superiore di funzionario; di avere prestato attività nell’ambito della Federazione regionale Coldiretti Umbria e che il rapporto di lavoro doveva considerarsi di fatto costituito con tale diverso soggetto; che il licenziamento era illegittimo, poichè le funzioni di competenza del CRUAGA non erano venute meno, ma erano state attribuite all’Associazione Verde Sviluppo, di cui la Federazione regionale era socia; che nel febbraio 2003 l’Associazione Verde Sviluppo gli aveva proposto di assumerlo ed egli aveva accettato, e tuttavia la controparte non aveva mai dato esecuzione al contratto. Chiedeva, quindi, in contraddittorio con i predetti soggetti, l’accertamento del suo diritto all’inquadramento superiore e la condanna del CRUAGA e della Federazione regionale Coldiretti Umbria, nonchè dell’Associazione Verde Sviluppo, in solido, al pagamento delle differenze retributive e al risarcimento dei danni derivanti dall’omessa o inferiore contribuzione previdenziale, nonchè l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento, con ordine ai convenuti di reintegra nel posto di lavoro o, in subordine, la condanna dei medesimi al risarcimento dei danni.

2. Il Tribunale dichiarava l’illegittimità del licenziamento e condannava il Cruaga e la Federazione regionale Coldiretti, quest’ultima come effettivo datore di lavoro, a risarcire il danno, rigettando le altre domande.

3.Con sentenza depositata il 17/8/2013 la Corte d’appello di Perugia, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava che il ricorrente aveva prestato attività di lavoro subordinato alle dipendenze del solo CRUAGA e non anche della Federazione regionale Coldiretti Umbria; dichiarava legittimo il licenziamento intimato e confermava nel resto le statuizioni del giudice di primo grado.

4.La Corte, rilevato preliminarmente che il Centro regionale era stato promosso nella sua istituzione dalla Federazione, ma era un ente autonomo e distinto dotato di propria autonomia patrimoniale, di propria organizzazione e proprio personale, rigettava la domanda concernente l’accertamento di svolgimento di mansioni superiori, sul rilievo che il ricorrente aveva omesso il raffronto tra mansioni svolte e declaratorie contrattuali. Quanto al licenziamento, osservava che difettavano i requisiti per ritenere il Centro regionale e la Federazione unico centro d’imputazione, inquadrandosi l’attività svolta per la Federazione come assimilabile al fenomeno del comando o distacco. In accoglimento dell’appello incidentale proposto dagli enti, riteneva assistito da giustificato motivo oggettivo il licenziamento intimato, riferibile al solo Centro regionale; escludeva la prospettata ipotesi di licenziamento ritorsivo e quella fondata sul ritenuto trasferimento di azienda dal Centro regionale all’Associazione Verde Sviluppo; rigettava, altresì, la tesi della instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato con quest’ultima società.

5. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il T. sulla base di sette motivi. Il Centro regionale, la Federazione Regionale e l’Associazione Verde Sviluppo hanno resistito con controricorso. Tutte le parti hanno illustrato le proprie difese con memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4 e dell’art. 36 Cost., del regolamento del Consiglio delle Comunità europee 6/2/1979 n. 270, della L.R. Umbra 20 ottobre 1983, n. 41, artt. 3, 7, 8, 9 e 10, L.R. Umbra 16 dicembre 1983, n. 46, artt. 23, 24 e 25, degli artt. 3 e 7 e della tabella c del CCNL relativo alla revisione del sistema di classificazione del personale del compatto delle regioni-autonomie locali 31/3/1999 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e dell’art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Osserva che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il ricorrente non aveva sostenuto di avere svolto mansioni diverse da quelle assegnategli, quanto, piuttosto, che queste ultime corrispondevano a un livello di inquadramento diverso da quello applicatogli. In tal modo la Corte aveva violato l’art. 112 c.p.c..

1.2. La censura è infondata. La Corte d’appello, infatti, per un verso ha rilevato che il T. aveva omesso il raffronto tra mansioni svolte e le declaratorie contrattuali, con specifico riferimento a quelle di livello superiore rivendicate; per altro verso ha evidenziato la mancata dimostrazione delle mansioni effettivamente svolte, in ragione dell’omessa articolazione di capitoli di prova ammissibili. A fronte di tali argomentazioni non risultano allegati, nè trascritti gli atti del giudizio di primo grado dai quali trarre l’esatta prospettazione dei termini della domanda e delle difese, nè di tali atti è specificata la collocazione nel fascicolo processuale, mediante puntuale indicazione della loro ubicazione. Va richiamato sul punto il principio enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, in forza del quale “in tema di ricorso per cassazione, ai fini della ammissibilità del motivo con il quale si lamenta un vizio del procedimento (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per erronea individuazione del “chiesto” ex art. 112 c.p.c. (nella specie, l’esistenza di un concorso dei danneggiati nella causazione del danno, ai sensi dell’art. 1227 c.c.), affermandosi che la deduzione della situazione di fatto pertinente alla richiesta è avvenuta sin dalla comparsa di costituzione in primo grado, è necessario che il ricorrente, alla luce del principio di autosufficienza dell’impugnazione, indichi le espressioni con cui detta deduzione è stata formulata nel giudizio di merito” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10605 del 30/04/2010, Rv. 612776). I rilievi del ricorrente pertanto, per la loro genericità, nonchè per difetto delle necessaria allegazioni documentali, non risultano rispettosi delle disposizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 e non consentono di verificare contenuto e limiti della domanda azionata.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4, L. 18 aprile 1962, n. 230, artt. 1 e 2, art. 36 Cost. e della L.R. Umbra 16 dicembre 1983, n. 46, art. 34, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e dell’art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Afferma che nel ricorso introduttivo era stata proposta, in via subordinata, anche una domanda relativa alla mancata percezione “nella sua corretta integralità” del trattamento retributivo del livello riconosciutogli, “anche perchè nei primi anni il GRUAGA procedette a continui rinnovi di presunti contratti di lavoro a tempo determinato”. La domanda non sarebbe stata valutata “con violazione da parte del giudice d’appello (e già prima di quello di primo grado) dell’art. 414 c.p.c., nn. 3 e 4”.

2.2. Anche il predetto motivo è privo di fondamento. Il ricorrente, infatti, nel dedurre una questione che non risulta trattata nella sentenza impugnata, omette di allegare e trascrivere gli atti del giudizio di primo grado dai quali trarre l’esatta prospettazione dei termini della domanda originariamente proposta, nè di tale atto specifica la collocazione nel fascicolo processuale; neppure allega, inoltre, di aver proposto appello in ragione dell’omessa pronuncia in primo grado e anche nell’illustrazione del motivo di ricorso per cassazione tralascia di indicare con chiarezza la causale della pretesa e, specificamente, la riconducibilità della medesima all’impugnazione dei contratti a termine intercorsi tra le parti. Ne discende che la censura va disattesa per le ragioni già indicate sub 1.2.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. e del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 30, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Rileva che vi erano elementi in atti per individuare tra il CRUAGA e la Federazione Regionale Coldiretti Umbria quel coordinamento che consente di ravvisare un unico soggetto datore di lavoro. Osserva che il giudice d’appello aveva omesso l’esame di una serie di fatti decisivi, elencati a pg. 35 ricorso.

3.2. Va rilevato che il motivo, lungi dall’indicare specificamente i profili di asserita violazione di legge e prospettare i fatti dotati del carattere della decisività che si assumono trascurati, ripropone, richiamando una serie di circostanze necessariamente richiedenti un esame integrato, una valutazione in fatto alternativa a quella offerta dai giudici d’appello, in tal modo sottoponendo alla Corte di legittimità questioni di mero fatto atte a indurre a un preteso nuovo giudizio di merito precluso in questa sede (v. Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv., 633335: “Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti”). Va ricordato, altresì, che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), applicabile ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Nel caso in esame il ricorrente non ha dato conto della decisività degli elementi che si assumono trascurati in relazione all’esito della decisione, talchè difettano i presupposti perchè la censura, per come formulata, possa essere ricondotta nell’ambito della nozione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

4. Con ulteriore motivo il ricorrente deduce violazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3 e dell’art. 2112 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Afferma l’illegittimità del licenziamento in ragione della prosecuzione dell’attività già svolta dal CRUAGA da parte dell’ Associazione Verde Sviluppo, e, quindi, della sussistenza di un trasferimento di azienda. Sottolinea, inoltre, che dalla documentazione risultava che l’Associazione Verde Sviluppo aveva riassunto tutti i dipendenti del CRUAGA, ad eccezione di coloro che non avevano sottoscritto verbale di rinuncia, in ciò palesandosi, per un’associazione come il CRUAGA che mancava di propria organizzazione, in quanto operava avvalendosi delle strutture dell’associazione, il trasferimento del complesso aziendale, costituito dalle sole persone.

4.2. Il motivo è infondato e va rigettato. Premesso che, secondo i criteri evidenziati dalla giurisprudenza di legittimità, sulla scorta delle pronunce della Corte di Giustizia CEE sul punto, ai fini della sussistenza di una cessione di azienda rileva in primo luogo il trasferimento dalla cedente alla cessionaria di un’entità economica con propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati in funzione dell’espletamento di un’attività economica (cfr. Sez. L, Sentenza n. 12771 del 23/07/2012, Rv. 624109, Sez. L, Sentenza n. 8262 del 07/04/2010, Rv. 613427), va evidenziato che la prospettazione del ricorrente difetta dell’allegazione di tale essenziale presupposto, ed, anzi, a pg. 43 del ricorso si afferma che sia il CRUAGA che l’associazione Verde sviluppo non sono muniti di “alcuna propria organizzazione”. E’ da considerare, inoltre, che la Corte territoriale ha dato conto delle ragioni in forza delle quali non ha ravvisato gli elementi del suddetto trasferimento, con motivazione che si sottrae al – sindacato di legittimità, in costanza di nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

5.Deduce ancora il ricorrente violazione e falsa applicazione per ulteriori ragioni e profili, della L. 15 luglio 1996, n. 604, art. 3, in relazione all’art. 360 n. 3. Rileva l’incoerenza della sentenza impugnata in relazione alla circostanza della distanza temporale tra la lettera di licenziamento (31/10/2002) e la produzione degli effetti (1/3/2003) sotto 3 profili: 1) poichè il lavoro era proseguito dopo la data prevista del 31/12/2042, la lettera doveva considerarsi caducata o priva di efficacia; 2) poichè, non potendo i presupposti giustificanti il licenziamento essere ipotetici o eventuali, non poteva essere intimato il preavviso il 31/10/2002; 3) perchè alla data del 31/10/2002 era in corso di esame un disegno di legge regionale presentato non per sopprimere, ma per far proseguire i finanziamenti regionali.

5.2. Anche la suddetta censura non può essere accolta. Va rilevato preliminarmente che il motivo di licenziamento rappresentato concerne la cessazione dell’attività dell’ente, verificatasi tra la fine del 2001 e l’inizio del 2003. Tale causale integra giustificato motivo oggettivo, connesso all’insindacabile scelta imprenditoriale, concretamente realizzatasi, costituente espressione della libertà di iniziativa economica costituzionalmente tutelata (cfr. Sez. L, Sentenza n. 20232 del 24/09/2010, Rv. 614990, “nel caso in cui sia accertata la totale cessazione dell’attività imprenditoriale da parte del datore di lavoro, la legittimità del licenziamento intimato ai lavoratori per giustificato motivo oggettivo non è esclusa nè dal fatto che lo stabilimento sede dell’impresa non sia stato immediatamente alienato o altrimenti dismesso, rimanendo però nella disponibilità dell’imprenditore come mera entità non funzionante, nè dal fatto che uno o pochi altri dipendenti siano stati mantenuti in servizio per il compimento delle pratiche relative alla suddetta cessazione dell’attività non essendo sindacabile nel quadro della libertà d’iniziativa economica riconosciuta dall’art. 41 Cost., le ragioni dei licenziamenti dovuti a cessazione dell’attività”). A fronte di tale causale nessun rilievo può assumere la circostanza che i finanziamenti regionali non fossero stati soppressi, nè che la legge regionale al riguardo non fosse stata ancora promulgata. Neppure hanno rilevanza le circostanze temporali evidenziate, posto che non si discute dell’effettività dell’avvenuta cessazione.

6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1324 e 1345 c.c. e dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Rileva che la Corte d’appello, nell’affermare che nessuna ritorsione poteva configurarsi, essendo la costituzione dell’associazione successiva al preavviso di licenziamento, non aveva tenuto conto che l’attuazione del licenziamento era stata effettuata con lettera 1/3/2003, successiva al frapposto rifiuto del T. di firmare il verbale di rinuncia.

6.2. La doglianza è infondata. In primo luogo va rilevato che non risulta prodotta la lettera di licenziamento cui il ricorrente fa riferimento, nè è specificata la collocazione della medesima nel fascicolo processuale. In secondo luogo, si osserva che l’argomentazione della Corte territoriale è logica nell’evidenziare la formazione della volontà dell’ente di procedere al licenziamento in epoca antecedente al fatto che si assume essere causa della condotta ritorsiva, con valutazione in fatto insuscettibile di sindacato in sede di legittimità. Nè la circostanza attinente alla successiva attuazione del preannunciato licenziamento mediante lettera del 1/3/2003 costituisce fatto trascurato dalla stessa Corte, la quale volutamente ha preso in considerazione il momento in cui, con il preavviso, è stata manifestata la volontà del recesso, il tutto in un contesto motivazionale regolato dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

7. Il ricorrente deduce, infine, violazione e falsa applicazione dell’art. 1326 e degli artt. 1362 e 1366 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostanzialmente lamenta l’erroneità della sentenza laddove ha considerato come non perfezionato il contratto di lavoro tra l’Associazione Verde Sviluppo e il T., sulla base dell’interpretazione della volontà negoziale di cui alle missive intercorse con l’Associazione Verde Sviluppo.

7.2. Anche tale ultimo motivo è privo di fondamento. A parte la mancata produzione integrale delle missive e l’insussistenza di indicazioni atte al reperimento delle medesime, deve rilevarsi che la Corte Territoriale, in conformità alle regole che presidiano all’interpretazione della volontà negoziale, ha evidenziato come alla proposta di assunzione dell’associazione era seguita una disponibilità il lavoratore condizionata al riconoscimento di un trattamento retributivo corrispondente a quello riconosciutogli dal Cruaga, condizione integrante nuova proposta non seguita da accettazione da parte dell’associazione. Conseguentemente la decisione sul punto deve ritenersi conforme a diritto.

6. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese dei giudizio di legittimità in favore delle controparti, liquidate per ciascuna in Euro 3.500,00, di cui Euro 3.400,00 per compensi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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