Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17057 del 11/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 11/07/2017, (ud. 09/03/2017, dep.11/07/2017),  n. 17057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina L. – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12915-2015 proposto da:

SOCIETA’ ITALIANA STUDI DELLA MEDICINA DELLA RIPRODUZIONE SRL in

persona del legale rappresentante pro tempore G.D.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LOVANIO, 16, presso lo

studio dell’avvocato FRANCESCA TOPPETTI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIORGIO MUCCIO giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.G., GRUPPO EDITORIALE L’ESPRESSO in persona

dell’amministratore delegato e legale rappresentante dott.ssa

M.M., MA.EZ., elettivamente domiciliati in ROMA, P.ZA DEI

CAPRETTARI 70, presso lo studio dell’avvocato VIRGINIA RIPA DI

MEANA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO

MARTINETTI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4009/2013 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

22/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/03/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

a seguito di ordinanza, pubblicata il 3 marzo 2015, con la quale la Corte di Appello di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter cod. proc. civ., vengono qui impugnate la stessa ordinanza e la sentenza di primo grado;

– con quest’ultima, pubblicata il 22 febbraio 2013, il Tribunale di Roma aveva rigettato la domanda avanzata dal dott. G.L. e dalla società S.I.S.Me.R S.r.l. nei confronti del giornalista F.G., del direttore responsabile Ma.Ez. e del Gruppo Editoriale L’Espresso, quale società editrice del quotidiano “La Repubblica”, nonchè nei confronti dei coniugi P.S. e G.S., per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni (oltre che alla cancellazione di contenuti dal sito internet ed alla pubblicazione della sentenza), a seguito della pubblicazione sul quotidiano, edizioni 19 e 20 settembre 2004 e sul sito la.Repubblica.it (dal 19 settembre 2004 sino al 2007) di una serie di articoli contenenti interviste ai predetti P. e G., reputati offensivi della reputazione, dell’immagine e dell’identità degli attori;

– il ricorso è proposto dalla Società Italiana Studi della Medicina della Riproduzione Srl – S.I.S.Me.R Srl e dal dott. G.L. con cinque motivi;

– resistono con unico controricorso il Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.a., il dott. Ma.Ez., il dott. F.G.;

– fissata la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi dall’art. 375 c.p.c., comma 2, il pubblico ministero non ha depositato conclusioni scritte; i ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– questa Corte ha ripetutamente affermato che, nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proponibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, l’atto d’appello, dichiarato inammissibile, e la relativa ordinanza, pronunciata ai sensi dell’art. 348 bis cod. proc. civ., costituiscono requisiti processuali speciali di ammissibilità, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3, è necessario che nel suddetto ricorso per cassazione sia fatta espressa menzione dei motivi di appello e della motivazione dell’ordinanza ex art. 348 bis cod. proc. civ., al fine di evidenziare l’insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame (così Cass. ord. n. 10722/14 e ord. n. 26936/16, tra le altre);

– invero, il ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4, ha natura di ricorso ordinario, regolato dall’art. 366 cod. proc. civ. quanto ai requisiti di contenuto forma, e deve contenere, in relazione al n. 3 di detta norma, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, da intendersi come fatti sostanziali e processuali relativi sia al giudizio di primo grado che a quello di appello;

– ne consegue che nel ricorso la parte è tenuta ad esporre gli elementi che evidenziano la tempestività dell’appello e i motivi su cui esso era fondato, trovando applicazione, rispetto al giudizio per cassazione instaurato ai sensi dell’art. 348 ter cod. proc. civ., le previsioni di cui agli artt. 329 e 346 c.p.c., nella misura in cui esse avevano inciso sull’oggetto della devoluzione al giudice di appello (così Cass. ord. n. 8942/14; cfr. anche Cass. ord. n. 2784/15, n. 18623/16 e numerose altre);

– nel caso di specie, i ricorrenti non solo non hanno riportato il contenuto dell’ordinanza della Corte d’Appello (comunque richiamandola in premessa come allegato 2 bis al ricorso e facendovi cenni nell’illustrazione del quarto motivo e nella parte finale del ricorso, che precede le conclusioni), ma soprattutto non hanno indicato, nemmeno per sintesi, i motivi di gravame;

– all’atto di appello – che non risulta nemmeno allegato al ricorso – è infatti riferito soltanto il punto di cui al n. 8) della premessa del ricorso, contenente esclusivamente le indicazioni sui soggetti contro i quali l’impugnazione era stata rivolta, senza alcun cenno alle ragioni relative;

– seguono, quindi, i motivi del ricorso per cassazione, dai quali nulla è possibile desumere in merito al contenuto dell’atto di appello;

– su quest’ultimo peraltro si intrattengono i controricorrenti sia al fine di sostenere già l’inammissibilità dell’appello per genericità o novità dei motivi e comunque l’esistenza di un giudicato interno favorevole alla società editrice, al direttore responsabile Ma.Ez. e al giornalista F.; sia al fine di supportare l’eccezione di inammissibilità del ricorso, di cui sopra, nonchè quella di improcedibilità, per non essere stato l’atto di appello nemmeno depositato ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ.;

– giova aggiungere che, sebbene l’ordinanza della Corte d’appello non venga espressamente indicata – come richiesto dall’art. 366 c.p.c., n. 2 – quale atto oggetto di impugnazione (cfr. pag. 2, dove è menzionata solo la sentenza di primo grado), essa risulta censurata sia col quarto motivo che con la parte finale del ricorso, cui devono intendersi riferite le conclusioni con le quali si chiede, tra l’altro, la cassazione dell’ordinanza;

– come eccepito dai controricorrenti, quest’ultima è atto non autonomamente impugnabile atteso che l’art. 348 ter cod. proc. civ. prevede che, quando è pronunciata l’inammissibilità ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter cod. proc. civ., l’impugnazione si propone contro il provvedimento di primo grado;

– questa Corte ha già affermato che l’ordinanza d’inammissibilità dell’appello ex art. 348 ter cod. proc. civ., emessa nei casi in cui ne è consentita l’adozione, cioè per manifesta infondatezza nel merito del gravame, non è ricorribile per cassazione, neppure ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento carente del carattere della definitività (così Cass. ord. n. 19944/14; cfr. anche Cass. ord. n. 7273/14 e ord. n. 8940/14 ed altre);

– il principio è stato ribadito dalle Sezioni Unite con la recente sentenza n. 1914/2016, con la quale si è affermato che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348 ter c.p.c. è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2 e art. 348 ter c.p.c., comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso, ma resta non impugnabile per profili attinenti alla pronuncia di merito;

– nella specie, il provvedimento è stato emesso per infondatezza nel merito del gravame e l’impugnazione concerne appunto il merito della decisione, sicchè non avrebbe potuto essere rivolta contro l’ordinanza d’appello;

– dato tutto quanto sin qui esposto, in applicazione dei principi giurisprudenziali richiamati, il ricorso va dichiarato inammissibile, con le statuizioni consequenziali di cui al dispositivo;

– tra queste anche la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, poichè il controricorso non presenta affatto profili di inammissibilità, così come infondatamente eccepito con la memoria di parte ricorrente (dato che le dimensioni dell’atto risultano proporzionate rispetto al contenuto e quest’ultimo è, a sua volta, pertinente e conforme a legge).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in Euro 9.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, in favore dei controricorrenti, in solido tra loro.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2017

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