Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17057 del 05/08/2011

Cassazione civile sez. II, 05/08/2011, (ud. 05/05/2011, dep. 05/08/2011), n.17057

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

INA Assitalia s.p.a., con sede in (OMISSIS), in persona del

procuratore

speciale Avv. M.M. in forza di atto del notaio Teseo

Siroili Mendaro del 10 gennaio 2007, Rep. 713928, Racc. 33420, e

Assicurazioni Generali s.p.a., con sede in (OMISSIS), in persona dei

legali rappresentanti Avv.ti F.M. e M.M.,

rispettivamente, vicedirettore e dirigente del servizio legale,

rappresentate e difese per procura in calce al ricorso dall’Avvocato

IANNOTTA Gregorio, elettivamente domiciliate in Roma, viale Bruno

Buozzi n. 82;

– ricorrenti –

contro

Fallimento della Magnani e Viganò s.n.c. e di M.N. e di

V.T., in persona del curatore Avv. B.A.,

rappresentato e difeso per procura a margine del controricorso dagli

Avvocati Lucchetti Alessandro e Arturo Alfieri, elettivamente

domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via degli

Scipioni n. 191;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 2360 della Corte di appello di Roma,

depositata il 24 maggio 2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5

maggio 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udite le difese delle parti, svolte dall’Avv. Alessandra Iannotta,

per delega dell’Avv. Gregorio Iannotta, per le società ricorrenti

Ina Assitalia e Assicurazioni Generali, e dall’Avv. Alessandro

Lucchetti per il controricorrente e ricorrente incidentale;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Vittorio, che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale e l’inammissibilità di quello incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Fallimento della s.nc. Magnani e Viganò e dei soci M. N. e V.T., premesso che prima i soci e poi la società erano stati nominati agenti generali dell’Ina e che, in data 27 febbraio 1998, la preponente aveva comunicato la cessazione del rapporto senza preavviso e quindi manifestato successivamente, il 2 maggio 1998, recesso per giusta causa, convennero dinanzi ai tribunale di Roma la INA s.p.a. e la Assitalia s.p.a. chiedendo che, previo rendiconto, fossero condannate al pagamento della somma di L. 1.106.126.203 per competenze di fine rapporto, oltre le somme maturate in data successiva, ed all’indennità dovuta per il recesso ad nutum o, in subordine, a quella dovuta per il recesso per giusta causa. Costituitesi in giudizio, le società convenute eccepirono la decadenza dell’indennità di cessazione del rapporto, ex art. 1751 cod. civ., e l’integrale compensazione del loro debito relativo all’indennità del recesso per giusta causa con altre ragioni creditorie, opponendosi altresì alla richiesta di rendiconto.

Il Tribunale respinse la domanda ed accolse in toto le difese delle società convenute, rilevando che la comunicazione della cessazione del rapporto non precludeva alla preponente di far valere ragioni creditorie conseguenti ad inadempienze degli agenti e che, nella specie, questi ultimi non avevano contestato gli addebiti loro mossi indicati nella successiva comunicazione di recesso per giusta causa, addebiti da cui risultava un credito per la preponente di molto superiore a quanto da essa dovuto per l’indennità di recesso.

Interposto gravame, con sentenza non definitiva n. 2360 del 24 maggio 2007, la Corte di appello di Roma riformò la decisione di primo grado, affermando il diritto degli agenti e, per essi, del Fallimento alle indennità previste per il caso di recesso ad nutum dall’Accordo nazionale degli agenti INA, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione dell’istruttoria al fine di determinare, sulla base della documentazione acquisita, in modo definitivo i crediti derivanti dal rapporto di agenzia. A sostegno di tale conclusione, il giudice di appello osservò che l’eccezione di decadenza formulata dalle proponenti era infondata, essendo l’indennità disciplinata dall’accordo nazionale diversa da quella di cui all’art. 1751 cod. civ. e quindi sottratta al regime decadenziale da esso previsto; che la comunicazione dell’intervenuta cessazione del rapporto non impediva alla preponente di far valere irregolarità ed inadempienze della controparte; che, nella specie, tali addebiti erano stati regolarmente sollevati dalla mandante ma anche contestati dagli agenti nella loro sussistenza e nelle loro conseguente e che, a fronte di tali contestazioni, le società preponenti non avevano fornito alcuna prova di tali fatti, limitandosi a sostenere che gravava sulla controparte l’onere di dimostrare l’insussistenza degli inadempimenti posti a base del recesso per giusta causa. Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 10 dicembre 2007, ricorrono l’Ina Assitalia, seguita alla fusione per incorporazione di Ina s.p.a. e Assitalia s.p.a., e le Assicurazioni Generali s.p.a., sulla base di due motivi. Resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo, il Fallimento della s.n.c. Magnani e Viganò e dei soci M.N. e V.T.. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2. Il primo motivo del ricorso principale denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1751 c.c., comma 5, nonchè dell’art. 39 dell’Accordo nazionale Agenti del Gruppo INA, censurando la decisione impugnata per avere respinto l’eccezione di decadenza del diritto degli agenti all’indennità di cessazione del rapporto sulla base dell’erroneo presupposto che la disposizione codicistica non sarebbe applicabile nella fattispecie, avendo l’indennità in questione natura pattizia. Tale conclusione, ad avviso del ricorso, è sbagliata, in quanto non considera che l’art. 39 dell’Accordo sopra menzionato dichiara applicabili al rapporto di agenzia, per quanto da esso non diversamente regolato, le norme del codice civile e quindi anche la previsione di decadenza stabilita dall’art. 1751 c.c., comma 5. Il mezzo è infondato.

L’argomentazione della Corte di appello, secondo cui l’indennità di scioglimento del rapporto prevista dall’Accordo economico collettivo è diversa da quella disciplinata dall’art. 1751 cod. civ. e non è pertanto soggetta, in mancanza di specifica disposizione in tal senso, al termine di decadenza di un anno, appare infatti condivisibile. A tale conclusione spinge la considerazione che l’ipotesi della decadenza è espressamente circoscritta dalla norma alla “indennità prevista dal presente articolo”, locuzione che di per sè esclude l’estensione della previsione della decadenza – che, atteso il suo contenuto limitativo, è di stretta interpretazione – ad indennità di cessazione del rapporto disciplinate da fonti negoziali. Il penultimo comma del medesimo art. 1751, del resto, stabilisce che la disciplina ivi prevista può essere derogata ad opera della contrattazione individuale o collettiva in senso più favorevole per l’agente. Sulla base di tali rilievi, il richiamo fatto dalle società ricorrenti alla disposizione dell’Accordo collettivo che dichiara applicabili, al rapporto di agenzia, per quanto da esso non diversamente regolato, le norme del codice civile, non è affatto persuasivo. Intanto perchè si tratta di deduzione formulata in modo generico, non riproducendo il motivo, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n. 3004 del 2004), la disposizione contrattuale di cui chiede l’applicazione. In secondo luogo, in quanto il rinvio fatto dall’Accordo collettivo alle disposizioni del codice civile va chiaramente inteso come diretto a colmare eventuali lacune della relativa regolamentazione e quindi riferito ai soli aspetti del rapporto non disciplinati dalla fonte contrattuale. Nel caso di specie, non è invece dubbio che l’indennità di cessazione del rapporto sia regolata dall’Accordo collettivo. E’ la stessa presenza di una disciplina negoziale diversa da quella legale, che come si è visto è, relativamente all’indennità in discussione, derogabile in favore dell’agente, ad escludere pertanto l’applicazione di quest’ultima, che deve ritenersi sostituita da quella pattizia.

Il secondo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., dell’art. 345 cod. proc. civ., dell’art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 12 , 24, 25, 26, 27 e 28 dell’Accordo Nazionale Agenti del Gruppo Ina, investe il capo della decisione che ha riconosciuto il diritto del Fallimento alle indennità previste dall’Accordo nazionale per il recesso ad nutum.

Con una prima censura le società ricorrenti assumono che tale pronuncia era preclusa al giudice di appello, considerato che la sussistenza delle condizioni legittimanti il recesso per giusta causa non era mai stata contestata dal Fallimento, il quale si era limitato ad eccepire l’inefficacia di tale comunicazione per essere stata essa preceduta dal recesso ad nutum, argomentazione disattesa da entrambi i giudici di merito. D’altra parte l’affermazione del giudice di merito in ordine al fatto che gli addebiti non erano stati contestati dall’agente non aveva formato oggetto di specifico motivo di gravame.

Ne deriva che l’accertamento in positivo degli addebiti indicati dalla preponente a sostegno del recesso per giusta causa era ormai coperto dal giudicato interno e non poteva più essere posto in discussione nè dall’appellante nè dal giudice di secondo grado.

Con una seconda censura si sostiene che la Corte territoriale, nel riesaminare tale punto della decisione e quindi nell’ammettere la tardiva contestazione al riguardo, ha anche violato la regola che vieta la proposizione di domande ed eccezioni nuove in appello e comunque l’art. 112 cod. proc. civ., avendo deciso su una questione sulla quale l’attrice non aveva mai proposto domanda, non avendo il Fallimento mai chiesto che fosse dichiarata l’illegittimità del recesso per giusta causa per insussistenza degli addebiti.

La Corte, infine, ha violato le disposizioni dell’Accordo collettivo, dal momento che ha riconosciuto alla controparte il diritto alle indennità previste per il recesso ad nutum nonostante che il recesso fosse stato intimato per giusta causa. Il mezzo è infondato.

La statuizione della sentenza impugnata si basa su due considerazioni in fatto: la prima è che il Fallimento, nel proprio atto di gravame, aveva avanzato specifico motivo di censura nei confronti della statuizione di primo grado che aveva respinto la sua domanda di riconoscimento delle indennità spettanti per il recesso ad nutum in ragione del fatto che gli addebiti posti a base del recesso per giusta causa, non essendo stati contestati dall’agente, dovevano ritenersi dimostrati; la seconda che l’accertamento così compiuto dal giudice di primo grado era errato, avendo il Fallimento, in risposta alle contestazioni fatte dalla mandante con la propria lettera di recesso per giusta causa, negato, fin dall’atto introduttivo, la fondatezza degli addebiti e le pretese creditorie della convenuta. Da tale ultima osservazione, la Corte, in particolare, ha tratto la conseguenza che tali addebiti, risultando contestati e non essendo stati provati dalla mandante, non potevano ritenersi dimostrati.

Le suddette affermazioni, che integrano apprezzamenti di fatto, in quanto risultato della valutazione, la prima, dell’atto di appello, la seconda, dell’atto di citazione in giudizio, non risultano efficacemente contrastati dal ricorso, che non deduce alcun elemento o risultanza processuale contraria. In particolare, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la ricorrente avrebbe dovuto riprodurre, adempimento che invece non ha osservato, il testo dell’atto di appello e di quello introduttivo del giudizio avanzati dalla controparte, al fine di dimostrare, in un caso, che l’impugnazione da essa proposta non aveva investito il capo della decisione oggetto di riesame da parte del giudice di secondo grado, e, nell’altro, che, diversamente da quanto ritenuto da quest’ultimo, nessuna contestazione era stata dal Fallimento sollevata in ordine agli addebiti mossi dalla società mandante all’agente. Costituisce diritto vivente di questa Corte il principio che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 del 2006).

Va esclusa, infine, la dedotta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato dettato dall’art. 112 cod. proc. civ. Il riconoscimento da parte della Corte territoriale del diritto dell’agente alla corresponsione delle indennità previste dall’Accordo nazionale per il recesso ad nutum corrisponde esattamente alla domanda avanzata dalla parte nel proprio atto di citazione e poi riproposta in appello, così come riportata nello svolgimento del fatto dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso. L’assunto secondo cui la parte non avrebbe mai proposto domanda diretta a far dichiarare l’illegittimità del recesso per giusta causa non è d’altra parte condivisibile, trattandosi di richiesta non necessaria e comunque da ritenersi implicita nella tesi difensiva con cui la parte aveva sostenuto l’inefficacia del secondo recesso, motivato da giusta causa, e chiesto le indennità per il recesso ad nutum.

L’ultima censura, che lamenta, per le ragioni sopra esposte, la liquidazione dell’indennità prevista dall’Accordo collettivo per il recesso ad nutum, va dichiarata assorbita.

Il ricorso principale va pertanto respinto.

3. L’unico motivo del ricorso incidentale denunzia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; censurando la sentenza impugnata per avere omesso di pronunciarsi sulla domanda del Fallimento diretta al riconoscimento dei crediti “per le somme e i titoli indicati in narrativa”, come meglio elencati nell’atto di appello, attinenti ai conguagli per sopraprovvigioni ordinarie e provvigioni supplementari varie.

Il mezzo è inammissibile.

La censura sollevata trascura di considerare che la Corte di appello ha adottato una sentenza non definitiva, disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio proprio per l’accertamento e la liquidazione dei crediti degli agenti. Le domande relative non sono state esaminate per il semplice fatto che la Corte territoriale non si è pronunciato al riguardo. Il motivo è pertanto inammissibile per difetto di interesse.

4. Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico delle società ricorrenti in via principale, la cui soccombenza è del tutto prevalente rispetto a quella del Fallimento, ricorrente incidentale.

P.Q.M.

riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale; condanna le società Ina Assitalia e Assicurazioni Generali al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 9.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge. Così deciso in Roma, il 5 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2011

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