Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17056 del 26/06/2019

Cassazione civile sez. III, 26/06/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 26/06/2019), n.17056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8200/2017 proposto da:

P.B., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO,

13, presso lo studio dell’avvocato DANIELE BERARDI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ SPA, B.R., B.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 830/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/04/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 14640/2009, condannava B.R., B.M. e la RAS Assicurazioni s.p.a. al pagamento della somma di Euro 15.000,00, oltre lucro cessante calcolato in sentenza ed interessi legali dalla sentenza al saldo, a favore di P.B. per il risarcimento dei danni materiali subiti dalla sua autovettura Mercedes a causa di un tamponamento da parte del veicolo Fiat Uno, condotto da B.R., di proprietà di B.M., assicurato dalla RAS Assicurazioni s.p.a.. Avverso tale decisione, P.B. proponeva appello relativamente al maggior quantum debeatur richiesto e alle spese effettivamente anticipate; reiterava, inoltre, la richiesta di CTU, il cui rigetto non era stato oggetto di motivazione da parte del primo giudice che aveva provveduto a rendere una decisione equitativa. Si costituiva la sola impresa assicuratrice, per i convenuti, che proponeva appello incidentale relativamente all’an debeatur.

2. Con sentenza n. 830/2016, pubblicata in data 9/2/2016, la Corte d’Appello di Roma dichiarava inammissibile l’appello incidentale e, in parziale accoglimento dell’appello, condannava gli appellati in solido al pagamento della ulteriore somma di Euro 183,00 per anticipazione di spese oltre interessi, spese di soccorso stradale, nonchè alla rifusione delle spese sostenute in primo grado di Euro 212,00; inoltre compensava per il 50% le spese del grado, condannando gli appellati in solido alla rifusione per la quota parte rimanente, in favore dell’appellante.

3. Con ricorso notificato in data 27/3/2017, P.B. chiede la cassazione della sentenza n. 830/2016 della Corte d’Appello di Roma, affidandosi a cinque motivi di ricorso. Parte resistente non ha notificato difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’Appello omesso di pronunciarsi su un preciso motivo di gravame, relativamente all’omessa nomina del CTU, sì da confermare la liquidazione del danno ex art. 1126 c.c.; con il secondo motivo censura la sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione agli artt. 112 e 115 c.p.c., per avere la Corte d’appello deciso ultra petita, sulla base di nuove – autonome – argomentazioni estranee al petitum devoluto. Con il terzo motivo censura la sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per violazione degli artt. 115,116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, per avere la Corte d’Appello reso una motivazione generica ed apparente che, oltre essere non pertinente all’oggetto del contendere, non espone l’iter logico argomentativo su cui si fonda. Con il quarto motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1123 c.c. e segg., stante il mancato riconoscimento degli interessi e del danno da ritardato pagamento a decorrere dal fatto illecito. Con il quinto motivo il ricorrente censura la sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè nel merito ex artt. 91 e 92 c.p.c. e D.M. n. 55 del 2014, per avere la Corte d’Appello omesso di liquidare le effettive spese anticipate del secondo grado e gli integrali compensi – compensati al 50% – nonostante la declaratoria d’inammissibilità dell’appello incidentale neppure accennata nella regolamentazione delle spese di lite.

2. I primi tre motivi vanno trattati congiuntamente per ragioni di stretta connessione con la motivazione resa riguardo alla liquidazione del danno, operata dai giudici in via equitativa ex art. 1226 c.c., sull’assunto che non vi fosse prova di un maggior danno.

2.1. Il Giudice d’appello, al pari del giudice di primo grado, ha ritenuto

carente la prova relativa all’antieconomicità delle riparazioni dell’autovettura danneggiata, non fornita adeguatamente dal danneggiante. Per altro verso, ha ritenuto in ogni caso congrua la somma di Euro 15.000,00 indicata dal giudice di primo grado, tenendo conto dei danni rilevabili in atti, della mancata produzione delle condizioni di contratto di leasing in corso, del valore del mezzo e del prezzo convenuto per l’utilizzo e per l’opzione d’acquisto, nonchè delle successive determinazioni della società concedente a seguito del sinistro con riguardo alle rate a scadere, e – in via residuale – del fatto che l’autoveicolo fosse stato immatricolato per la prima volta all’estero, circostanza legittimante la presunzione di un prezzo d’acquisto inferiore rispetto a quello praticato sul territorio nazionale.

2.2. Quanto al primo motivo, il ricorrente assume che sia il primo che il secondo giudice abbiano omesso di pronunciarsi in ordine alla richiesta di esperire una CTU, senza motivare in ordine alla mancata disposizione della stessa, provvedendo invece ad una decisione equitativa che si sarebbe potuto evitare con il ricorso a una valutazione peritale. Il motivo è inammissibile: non rileva, infatti, l’omessa pronuncia sulla istanza di ammissione di CTU laddove nella ratio decidendi si evince che non vi sono sufficienti deduzioni probatorie circa l’entità del danno patrimoniale, soprattutto in rapporto al valore effettivo o residuo dell’auto, che non è stato adeguatamente provato. La consulenza tecnica d’ufficio è uno strumento processuale di valutazione delle prove sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario; la motivazione dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal giudice, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronuncia sul punto (Sez. 3 – sentenza n. 22799 del 29/09/2017; Sez. 1, Sentenza n. 15219 del 05/07/2007).

Quanto al secondo motivo, si censurano come estranee al petitum, ovvero al motivo d’impugnazione, le considerazioni di merito svolte dai Giudici dell’appello in ordine alla mancata prova di un maggior danno in relazione alle caratteristiche del bene concesso in leasing, sull’assunto che l’impugnazione è stata limitata alla valenza probatoria del solo preventivo di riparazione dell’auto, a dimostrazione del carattere antieconomico delle riparazioni. Il terzo motivo, strettamente collegato al secondo, ravvisa poi la violazione di norme processuali in tema di valutazione delle prove che avrebbe condotto a una motivazione apparente in tema di danno patrimoniale, tale da rendere ingiustificata la decurtazione del valore di mercato dell’auto da Euro 30.000 (prospettati) al valore di Euro 15.000.

2.3. Le censure sono per un verso infondate in quanto le valutazioni espresse dalla Corte di merito riguardano l’esercizio di un potere discrezionale nella valutazione della prova del danno patrimoniale effettuata secondo il parametro di ragionevolezza e di “equità giudiziale” indicato nell’art. 1226 c.c., allorchè, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, venga a mancare la prova del suo esatto ammontare. Difatti l’allegazione di fatti di prova non preclude al giudice la facoltà di avvalersi della liquidazione equitativa ove tali elementi siano reputati insufficienti o inaffidabili in ordine alla dimostrazione dell’ammontare del danno. L’esercizio di tale potere, se espressione di un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno nel caso concreto, è insindacabile (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 22272 del 13/09/2018; Sez. 3 -, Sentenza n. 24070 del 13/10/2017).

2.4. Per le stesse ragioni di cui sopra, le censure risultano per altro verso inammissibili perchè non concretizzano una violazione delle norme inerenti alla valutazione delle prove che, come è noto, riguardano il principio del libero convincimento posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., il quale opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità; nè i motivi sono idonei a rappresentare il vizio di omessa valutazione di circostanze decisive, tali da rendere la motivazione apparente od omessa, posto che le circostanze fattuali sono state tutte soppesate per il valore intrinseco che esse avevano a fini probatori (v. Cass. Sez VI – sentenza 27.000-2016; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).

3. Quanto al quarto motivo, si deduce del tutto infondatamente la mancata considerazione del danno da ritardato pagamento e degli interessi da calcolarsi dal “fatto illecito” in relazione a importi che, invece, risultano essere riconducibili a spese vive sostenute prima della lite a causa del sinistro. Detti crediti, anche se come causa remota derivano da un illecito, come causa prossima ineriscono al pagamento di una somma di danaro e, dunque, costituiscono crediti di valuta e non di valore, i cui interessi decorrono dalla domanda, e non dal fatto illecito, in mancanza di indicazione della data degli esborsi (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12671 del 17/10/2001; Cass. Sez. 3 n. 2203/1977; Cass. Sez. 3, 618/1974). Oltretutto, nel caso di ritardato adempimento di un’obbligazione pecuniaria, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, ha funzione risarcitoria e non compensatoria e, in quanto tale, deve essere provato dal creditore. Sicchè, per tali crediti il danno da svalutazione monetaria non è “in re ipsa”, ma deve essere provato dal creditore, quantomeno deducendo e dimostrando che il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato di durata annuale è stato superiore, nelle more, agli interessi legali (Cass. Sez. 1, 20868/2015; Cass. Sez. 1, 1377/2008; Sez. 2, Sentenza n. 1087 del 18/01/2007).

4. Quanto al quinto motivo, ogni considerazione in merito alla operata parziale compensazione delle spese di lite, qui censurata, si pone nell’area di insindacabilità ove non risulti dedotta una violazione del principio di soccombenza, sì da evidenziare che la parte vittoriosa è risultata in una situazione opposta rispetto a quella che le spetterebbe in base all’esito della lite. Il che non attiene alla situazione in esame, ove la parte ricorrente è comunque rimasta soccombente in relazione a buona parte dei motivi di appello e le spese sono state compensate per la metà parte (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 1572 del 23/01/2018; Sez. 1 -, Ordinanza n. 19613 del 04/08/2017).

4.1. Conclusivamente il ricorso è rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, a favore delle parti resistenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2.300,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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