Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17056 del 05/08/2011

Cassazione civile sez. II, 05/08/2011, (ud. 04/05/2011, dep. 05/08/2011), n.17056

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Z.L. rappresentata e difesa dall’avv. Campanelli Francesco

ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Cristina di

Loreto in Roma, via Val Gardena n. 35, giusta procura in calce al

ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

– C.G.; C.F.; C.B., parti

rappresentate e difese dall’avv. PANARITI Benito, in unione con

l’avv. Morandi Marinella ed elettivamente domiciliate presso lo

studio del primo in Roma, via Celimontana n.38, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

C.S.; + ALTRI OMESSI

;

– parti intimate –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari, n. 378/04,

pubblicata il 20/10/2004;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

04/05/2011 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

Udito il procuratore della parte ricorrente avv. Cristiana di Loreto,

in forza di procura prodotta in udienza, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

Udito il procuratore delle parti controricorrenti avv. Benito

Panariti, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Z.L., con atto notificato nell’ottobre 1997, citò innanzi al Pretore – poi trasformatosi in giudice unico presso il Tribunale – di Oristano, sezione distaccata di Sorgono, C.G., + ALTRI OMESSI assumendo che questi, a partire dal 1996, avrebbero avanzato pretese su un piccolo castagneto, posto a confine con altri di proprietà di essi convenuti, sul quale l’esponente sin dal 1956 aveva esercitato in modo pacifico ed ininterrotto il possesso. Chiese pertanto che fosse pronunziata sentenza che eliminasse ogni incertezza sulla legittimità del suo potere di fatto sull’immobile, quale corrispondente al diritto dominicale, dichiarando nel contempo l’inesistenza di diritti dei convenuti sul predio in contestazione. I convenuti si costituirono, ad eccezione di Ca.Ma., sostenendo l’esistenza di un proprio diritto di proprietà sul fondo, per averlo ricevuto dalla defunta madre Z.B., alla quale era stato attribuito a seguito di divisione dei beni del proprio genitore Z.S., deceduto nel (OMISSIS); oltre a ciò sostennero che da sempre G., S. e St.

avevano fatto pascolare gli ovini in quel terreno. Conclusero dunque affinchè fosse respinta la domanda e fosse annullato il frazionamento interessante l’immobile che arbitrariamente la Z. aveva ottenuto.

Il Tribunale, pronunziando sentenza del febbraio 2002, respinse le domande della Z.;

la Corte di Appello di Cagliari, decidendo sul gravame di quest’ultima, lo rigettò, ritenendo infondate le eccezioni pregiudiziali dell’appellante e giudicando che l’istruttoria compiuta in primo grado non avesse dimostrato che la Z. avesse usucapito il terreno.

Quest’ultima ha ricorso per la cassazione di detta sentenza sulla base di due motivi; si sono costituiti C.G., F. e B. resistendo con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – La ricorrente lamenta la “nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4” assumendo che la Corte di Appello non avrebbe correttamente interpretato il tenore della propria domanda che non era diretta a far accertare l’avvenuto acquisto per usucapione quanto piuttosto a far dichiarare l’inesistenza delle pretese illegittimamente avanzate dalle controparti, estrinsecatesi nell’opposizione a che recingesse il fondo e nella richiesta di annullamento del frazionamento catastale del medesimo.

2 – Con il secondo motivo la ricorrente fa valere la “nullità della sentenza per violazione degli artt. 949 e 2697 cod. civ. e dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio” lamentando che l’erronea qualificazione della domanda avrebbe determinato anche un’alterazione dell’onere della prova, atteso che la dimostrazione del proprio titolo si sarebbe posta non come condizione dell’azione – e quindi dell’accoglimento della domanda – bensì solo come prova della legittimazione attiva alla proposizione della negatoria servitutis, rimanendo pur sempre a carico dei C. l’onere di dimostrare l’esistenza del loro poziore diritto sul fondo; si duole altresì la Z. che la Corte distrettuale non abbia comunque ritenuto che le emergenze probatorie avessero dimostrato un possesso utile all’usucapione da parte di essa ricorrente e che abbia altresì omesso di valutare che la dante causa delle controparti, C.B., sarebbe stata solo cointestataria per metà del fondo.

3- I due motivi vanno esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione logica: entrambi sono infondati.

3/a – Erronea è innanzi tutto l’identificazione delle mende dalle quali sarebbe risultata affetta la sentenza con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4: quanto al secondo mezzo, il denunziato vitium in procedendo in realtà – pur seguendo la prospettazione della ricorrente – si concretizzava in un error in judicando, sindacandosi genericamente la non condivisibilità dell’interpretazione della domanda operata dal primo giudice; quanto al primo motivo la Corte non vede motivo di deflettere dal consolidato indirizzo interpretativo (vedi, ex multis: Cass. 15499/04; Cass. 16312/05, Cass. 10127/06; Cass. 4178/07; Cass. 7394/2010) secondo il quale il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

3/b – In secondo luogo, a fronte del potere – dovere del giudice di merito di interpretare la pretesa agita, non è stata articolata una specifica critica che desse ragione del dedotto errore ermeneutico, limitandosi la ricorrente a riportarsi alla “chiarezza” del contenuto delle proprie richieste (cfr. fol quarto del ricorso); conferma l’assunto anche il principio, applicabile alla fattispecie, secondo il quale la domanda giudiziale, per esser correttamente interpretata, deve esser considerata non solo nella sua formulazione letterale, ma anche nel suo contenuto sostanziale, avendo riguardo alle finalità perseguite dalla parte, sì che un’ istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il petitum e la causa petendi, – a condizione di non estenderne l’ambito di riferimento (così Cass. 15.907/2000), ipotesi non ricorrente nella fattispecie. Ne deriva allora che la interpretazione della Corte cagliaritana è stata immune dal vizio lamentato, atteso che nella narrativa di fatto del ricorso in esame, la stessa Z., riportando il contenuto dell’originaria citazione, ha ricordato di aver posto a base della domanda di “accertamento” negativo dell’altrui pretesa, il possesso “ultraventennale, pubblico, pacifico ed ininterrotto” del predio in contestazione.

3/c – Risultano pertanto assorbiti i profili di censura che sono direttamente connessi alla qui negata erronea qualificazione della domanda; quanto infine alla pur contraddittoriamente sostenuta difettosa motivazione circa l’assenza dei presupposti per l’usucapione, va dichiarata l’inammissibilità del relativo motivo in quanto, a fronte di una motivazione congrua e non viziata nei suoi passaggi logici, la censura in esame si traduce nella non consentita sollecitazione ad una delibazione degli elementi di fatto diversa da quella operata dal giudice dell’appello.

4^ – Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in favore delle parti contro ricorrenti.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento di Euro 1.400,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2A Sezione Civile della Corte di Cassazione, il 4 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2011

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