Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17055 del 05/08/2011

Cassazione civile sez. II, 05/08/2011, (ud. 03/05/2011, dep. 05/08/2011), n.17055

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.M.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIALE DI TRASTEVERE 301, presso lo studio dell’avvocato

CIOFFI LUCIA, rappresentato e difeso dall’avvocato CIOFFI PASQUALE;

– ricorrente –

contro

D.M.A. (OMISSIS), D.M.A.

(OMISSIS), D.M.G. (OMISSIS), D.

M. (OMISSIS), D.M.M.

(OMISSIS), DE.MA.FE. tutti n.q. di eredi di

D.M.

S. elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LUDOVISI 35, presso

lo studio dell’avvocato LAURO MASSIMO, rappresentati e difesi

dall’avvocato DILENGITE GIUSEPPE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3801/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito l’Avvocato Cioffi Pasquale difensore del ricorrente che si

riporta agli atti ed insiste sull’accoglimento delle proprie

conclusioni già assunte in atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 1997, i fratelli F. ed D.M.A. esponevano che con sentenza n 6843 del 18.6.1990, passata in giudicato, il tribunale di Napoli aveva disposto lo scioglimento della comunione ereditaria dei beni relitti da De.Fe.

M., dichiarando esecutivo il progetto di divisione predisposto dal CTU; con atto del 1993, essi avevano intimato al fratello S. di rilasciare i beni in suo possesso e a loro spettanti, tra cui il vano cucina di un fabbricato adiacente alla dispensa di costui, ma egli si era rifiutato di consegnare le chiavi, assumendo che egli godeva di un diritto di servitù di passaggio su quel vano per accedere alla sua dispensa.

Malgrado la pronuncia del tribunale di Torre Annunziata, che in sede esecutiva, aveva escluso la sussistenza della detta servitù di transito. S. aveva continuato a transitare per la cucina, senza consegnare le chiavi.

Essi esponenti pertanto lo citavano di fronte al tribunale di Torre Annunziata per ottenere declaratoria di negatoria servitutis, con ordine al predetto di consegna delle chiavi.

Si costituiva il convenuto il quale deduceva che il proprio diritto di entrare dalla cucina e di attraversarla discendeva dalla sentenza di scioglimento della comunione, posto che dai due vani in questione si accedeva dall’esterno dall’unica porta di ingresso, e che una diversa soluzione era contrastata dalla conformazione stessa dei luoghi; chiedeva in via riconvenzionale declaratoria di sussistenza di servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia.

Con sentenza del 2001, l’adito Tribunale rigettava la domanda attorea e accoglieva la riconvenzionale, compensando le spese. Avverso tale decisione proponeva appello S. in ordine ala compensazione delle spese; proponeva altresì appello incidentale Francesco in proprio e quale erede di A. volto ad accertare l’inesistenza della indicata servitù di passaggio.

Con sentenza in data 7/30.12.2005, la Corte di appello di Napoli rigettava la domanda attorea e accoglieva la riconvenzionale, compensando le spese.

Osservava la Corte partenopea che il progetto di divisione recepito dalla sentenza del tribunale di Napoli surricordata non contemplava alcuna servitù di passaggio; non era però possibile alcuna interpretazione volta a negare l’esistenza della servitù, stante che non sussisteva alcun elemento che inducesse a ritenere che il CTU avesse anche implicitamente ipotizzato un diverso modo di accedere alla dispensa, precisando che si era voluto evitare la costituzione di grosse servitù di passaggio, cosa questa che consentiva di non escludere quella in esame, di modesto contenuto.

Poichè poi la dispensa era priva di altro accesso, la contraria tesi appariva inaccettabile sul piano logico.

Le servitù potevano poi essere costituite anche tra appartamenti e conseguentemente tra vani di un appartamento.

Il passaggio in giudicato della sentenza del tribunale di Napoli non consentiva alcuna modifica del progetto di divisione, che la sentenza stessa aveva fatto proprio. Sussistevano poi la oggettiva subordinazione tra le due stanze, dovendosi necessariamente accedere alla dispensa attraverso la cucina e segni manifesti ed univoci del peso gravante sul fondo servente, atteso che esisteva un vano di accesso dalla cucina alla cantina.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre D.M.F., sulla base di due motivi, illustrati anche con memoria; resistono gli eredi di D.M.S., Fe., A., M., G. ed De.Ma.As. e D’.Ma..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta vizio di motivazione in ordine alla ritenuta interpretazione secondo cui non era possibile negare l’avvenuta costituzione della servitù di che trattasi, atteso che il CTU non aveva ipotizzato alcun altro modo di accedere alla dispensa.

Il fatto poi che lo stesso CTU avesse precisato che il progetto di divisione era volto ad evitare grosse servitù di passaggio non contrastava con la creazione di quella in esame, atteso che il modesto contenuto della stessa non attingeva al livello escluso dal progetto.

Sta di fatto che nel progetto non era prevista alcuna servitù che interessasse una cucina per dare accesso ad una dispensa; nè appare calzante l’osservazione secondo cui non era stato previsto altro accesso alla dispensa, nè quella afferente alla ipotizzata costituzione della servitù de qua per destinazione del padre di famiglia. Invero, è ben possibile ipotizzare, atteso lo stato dei luoghi, comportante l’attiguità della dispensa ad altri locali assegnati al condividente titolare delle dispensa stessa, la possibilità di creare diverso accesso a tale locale, anche dall’esterno, senza imporre un peso gravoso su di un immobile destinato ad un tipo di esercizio che appare di per sè tale da escludere l’asservimento ad un passaggio da parte di estranei.

Sussiste pertanto la illogicità della motivazione che ritiene implicita (alcuna servitù era infatti stata espressamente prevista in loco nel progetto) la implicita previsione di una servitù tale da imporre un peso ben più gravoso dell’apertura di una comunicazione con l’esterno da parte dell’assegnatario di una dispensa su di un locale destinato a cucina, che per la sua destinazione non sopporta intrusioni altrui.

Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 c.c.; a parte la considerazione relativa al se la costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia richieda o meno l’esistenza previa di due fondi distinti, assorbente appare il profilo afferente al fatto che, non essendosi proceduto ad alcuna divisione della casa colonica de qua in due distinte porzioni (necessità insorta solo in morte dell’unico proprietario), non era ipotizzarle la creazione post mortem di una servitù da parte dell’originario unico proprietario, cosa questa che rende inipotizzabile l’avvenuta costituzione della servitù de qua come avvenuta per destinazione del padre di famiglia( cfr. Cass. 4.6.2001, n 7476; 17.6.2004, nl 1348). Considerato conclusivamente per un verso che questa Corte ha condivisibilmente affermato che la divisione giudiziale non opera come strumento di costituzione di servitù prediali, bensì come fatto giuridico di una situazione dei luoghi (cfr. Cass. n 12950 del 2000), e che il CTU, nel formare le quote ha assegnato alla cucina il valore di L. 9.400.000 ed alla dispensa quello di L. 3.400.000, specificando che il valore determinato rappresentava un valore in piena proprietà e che non era stata prevista alcuna servitù di un locale rispetto all’altro, devesi affermare che non risulta costituita alcuna servitù di passaggio dalla cucina alla dispensa e che pertanto il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata in parte qua, senza rinvio, atteso che sussistono sufficienti elementi di fatto per giudicare nel merito, con accoglimento della domanda di negatoria servitutis, in ragione, in base alle argomentazioni sin qui ampiamente svolte, della insussistenza di elementi che ne dimostrino l’avvenuta costituzione.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa e, pronunziando nel merito, accoglie la domanda di negatoria servitutis e condanna i resistenti in solido al pagamento delle spese, che, ferma la compensazione operata in grado di appello, liquida, relativamente al presente procedimento per cassazione, in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2011

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