Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17054 del 05/08/2011

Cassazione civile sez. II, 05/08/2011, (ud. 28/04/2011, dep. 05/08/2011), n.17054

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.C. e M.G., rappresentate e difese, in

forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to COVIELLO

Giambattista del foro di Roma ed elettivamente domiciliate presso lo

studio dello stesso e dell’Avv.to Alessandro Pieri in Roma, viale

Mazzini, n. 41;

– ricorrenti –

contro

L.E. e G., rappresentati e difesi dagli Avv.ti

MARIANI Loredana ed Egidio Lanari, entrambi del foro di Roma, in

virtù di procura speciale a margine del controricorso ed

elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma, via A.

Tebaldi n. 16;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3168/2004

depositata il 7 luglio 2004;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 28

aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SCARDACCIONE Vittorio Eduardo, che – in assenza dei

difensori delle parti – ha concluso per il rigetto dei ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato l’8 febbraio 1990 M.E. evocava, dinanzi al Tribunale di Velletri, E. e G. L. esponendo che i convenuti, per accedere al fondo di loro proprietà dalla via pubblica, esercitavano il passaggio sul suo fondo, assoggettandolo ad una servitù mai costituita, pertanto chiedeva che venisse dichiarata l’inesistenza di tale servitù, inibendo ai L. il passaggio sul suo terreno.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali nel chiedere il rigetto della domanda, spiegano riconvenzionale perchè venisse dichiarata l’esistenza di una servitù di passaggio pedonale e carrabile gravante sul fondo dell’attore a favore del terreno di loro proprietà per intervenuta usucapione ovvero per destinazione del pater familias oppure per inclusione a seguito di divisione, il Tribunale adito, espletata istruttoria, accoglieva la domanda attorea, con rigetto di quelle riconvenzionali, compensate fra le parti le spese processuali. In virtù di rituale appello interposto dai L., con il quale lamentavano la errata interpretazione da parte del giudice di prime cure della norma sul possesso ad usucapionem, i mancato esame delle risultanze testimoniali e la errata interpretazione della scrittura privata del 21.7.1966, la Corte di appello di Roma, nella resistenza degli appellati P.C. e M.G., nella qualità di eredi di M.E., non costituita la coerede M.A., accoglieva il gravame e in riforma dell’impugnata sentenza dichiarava che il fondo di proprietà degli appellati era gravato, per intervenuta usucapione, da servitù pedonale e carrabile in favore del fondo degli appellanti.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale riteneva che la scrittura privata del 21.7.1966 non potesse costituire contratto idoneo a costituire il diritto di usufrutto in favore di A. M. e B.A., trattandosi di dichiarazione proveniente da una sola parte, non accettata nè sottoscritta dai presunti beneficiari dell’usufrutto. Inoltre, affermava che la eventuale costituzione del diritto di usufrutto non costituiva causa ostativa alla possibilità di fatto del nudo proprietario, nella specie Mo.Al. (dante causa degli appellanti), di esercitare di fatto, in favore del fondo materialmente posseduto e coltivato, una servitù di passaggio. Concludeva nel senso che l’istruttoria espletata (in particolare prove testimoniali e c.t.u.) dimostrava che Mo.Al. sin dal 21.7.1966 aveva esercitato, per raggiungere il suo fondo, la servitù di passaggio pedonale e carrabile su un viale che si dipartiva da via (OMISSIS), ricadente, attraversandolo, sul fondo di M.E..

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Roma hanno proposto ricorso per cassazione P.C. e G. M., che risulta articolato su tre motivi, al quale hanno resistito con controricorso i L.. Le ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Nessuna integrazione del contraddittorio deve essere disposta nei confronti di M.A., erede di M.E., non costituita neanche in sede di gravame, in quanto non sussiste ipotesi di litisconsorzio necessario nel lato attivo del diritto di servitù.

Ciò precisato, con il primo motivo le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 978, 1333 e 1335 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Più specificamente, assumono le ricorrenti che prevedendo l’art. 938 c.c. che l’ususfrutto è stabilito dalla volontà dell’uomo, la corte di merito avrebbe adottato la soluzione di cui alla decisione impugnata ignorando l’applicazione dell’art. 1333 c.c. con il quale, al di là delle tassative ipotesi di negozi unilaterali che incidono sulla sfera altrui, sarebbe stato introdotto il principio generale secondo il quale un negozio unilaterale, salvo che non intervenga un rifiuto, può incrementare l’altrui patrimonio. Con la conseguenza che l’art. 1333 c.c. prevede uno speciale modo di conclusione di una fattispecie negoziale: di ciò la corte distrettuale non avrebbe tenuto conto.

Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 796, 982, 1140 c.c. e art. 1141 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per non avere il giudice del gravame riconosciuto dal collegamento dell’atto pubblico di donazione con la scrittura privata del 21.7.1966 un unitario negozio di donazione con riserva di usufrutto regolato ai sensi dell’art. 796 c.c., con tutto ciò che ne conseguirebbe in termini di onere della prova circa il trasferimento de possesso dei beni oggetto di detti atti.

Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 e 1141 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la carenza ed insufficienza della motivazione ai sensi dello stesso art. 360 c.p.c., n. 5 in particolare, la sentenza impugnata presenterebbe, da un lato, un errore di giudizio consistente nella falsa applicazione delle norme in materia di acquisto del possesso e, dall’altro, una carenza o quanto meno insufficienza della motivazione concernente l’opzione di fatto accolta. In altri termini, le ricorrenti assumono che la scrittura privata rivesta una importanza fondamentale in ordine al problema del trasferimento del possesso, con riguardo alla qualificazione dell’animus del donatario e quindi alle caratteristiche del possesso, soprattutto se il documento, come nel caso di specie, si inserisce nel quadro di altri elementi acquisiti nel giudizio di merito, che il giudice del gravame parrebbe avere esaminato in maniera parziale ed insoddisfacente.

Le doglianze di cui ai motivi uno e tre vanno esaminate congiuntamente, stante la loro stretta connessione, in quanto attengono alla determinazione circa la esistenza del diritto di usufrutto sul fondo in contestazione da parte dei donanti.

Giova innanzi tutto precisare, con riguardo al tema relativo ai modi di costituzione del diritto di usufrutto, che, per quanto la formula contenuta nell’art. 978 cod. civ., che si limita a fare riferimento alla “volontà dell’uomo”, sia sul punto generica, non si dubita, in dottrina come in giurisprudenza (cfr. Cass. 21 maggio 1990 n. 4562), che la tipologia negoziale idonea a costituire un usufrutto debba essere individuata nel testamento e nel contratto, come indicato, a proposito della costituzione delle servitù, dall’art. 1058 c.c. Per quanto riguarda invece i negozi unilaterali, nei limiti in cui sono ritenuti vincolanti dall’ordinamento, la possibilità che tramite essi si possa costituire l’usufrutto deve ritenersi limitata alle sole figure della promessa al pubblico (art. 1989 c.c.) e della donazione c.d. obnuziale (art. 785 c.c.), ipotesi che pacificamente non ricorrono, nè sono state anche solo evocate, nel caso concreto.

Ciò precisato, si osserva che nel caso di specie, essendo la scrittura privata del 21.7.1966, invocata dalle ricorrenti, sottoscritta soltanto dai germani M.E. ed Mo.Al., e non anche, almeno per accettazione, dai genitori Mo.Au. e B.A., per cui ad essa non può essere attribuito l’effetto reale proprio dell’atto di costituzione dell’usufrutto.

Merita, pertanto, condivisione l’affermazione della sentenza impugnata, che, sulla base della menzionata circostanza, ha negato a tale atto valore ed efficacia contrattuale. La conclusione del giudice di merito deve inoltre essere confermata anche con riguardo alla decisione che ha escluso la possibilità che l’accordo contrattuale potesse rinvenirsi, in una forma equipollente a quella richiesta, nel comportamento delle parti secondo gli elementi acquisiti in giudizio. E’ del tutto pacifico, infatti, che nel caso di contratti per cui la legge richiede a pena di nullità la forma scritta, come prescritto dall’art. 1350 c.c., n. 2 per i contratti che costituiscono il diritto di usufrutto, il consenso deve essere manifestato ed espresso per iscritto. Nè, infine, è possibile ricondurre in qualche modo l’effetto voluto dalle odierne ricorrenti alla produzione in giudizio della documentazione riguardante la posizione di coltivatore diretto del donante Mo.Au., esercitata fino alla sua morte sull’intero fondo donato.

L’orientamento della giurisprudenza che riconosce alla produzione in giudizio della scrittura contrattuale non firmata effetto equivalente alla sottoscrizione (Cass. 12 giugno 2006 n. 13548; 23 maggio 2006 n. 12120; 16 maggio 2006 n. 11409; 25 febbraio 2004 n. 3810) trova, infatti, applicazione soltanto nei casi in cui la produzione avvenga ad opera di colui che non l’ha sottoscritta ed a fine di invocarne l’adempimento e sempre che la controparte non abbia nel frattempo revocato il consenso prestato, condizioni tutte che, come si è visto, non ricorrono nella fattispecie. La soluzione adottata dalla Corte territoriale, che ha escluso nel caso concreto l’esistenza dell’accordo negoziale e, quindi, la presenza di un atto valido per la costituzione dell’usufrutto, si sottrae, pertanto, alle censure sollevate.

Dalla impostazione assunta sul primo motivo discende l’assorbimento della doglianza di cui terzo motivo, essendo pregiudiziale all’accertamento sul trasferimento del possesso alla luce della scrittura privata del 21.7.1966.

Passando all’esame del secondo motivo, occorre rilevare che per il principio di preclusione, nel giudizio di legittimità, di temi nuovi di dibattito non precedentemente affrontati nella fase di merito, le contestazioni alla sentenza impugnata sono ammissibili in sede di ricorso per cassazione sempre che ne risulti la tempestiva prospettazione innanzi al giudice di quella fase e che la tempestività di tale prospettazione risulti, a sua volta, dalla sentenza impugnata o, in difetto, da adeguata indicazione contenuta nel ricorso, con la specificazione dell’atto del procedimento di merito in cui le contestazioni predette erano state formulate, onde consentire al giudice di legittimità di controllare ex actis la veridicità dell’asserzione prima di esaminare nel merito la questione proposta, ovvio essendo come una censura che si sostanzi, di fatto, in un’istanza d’ulteriore diversa interpretazione della vicenda, della quale non si deduca nè dimostri aver già formato oggetto di specifica adeguata richiesta in sede di merito, non possa formare oggetto d’esame in sede di legittimità neppure sotto i profilo del mancato suo esame o della sua reiezione (v. in tal senso Cass. 26 gennaio 2001 n. 1100; Cass. 31 gennaio 2006 n. 2140).

Orbene, esaminando il caso di specie, si deve rilevare come, anzitutto, nelle deduzioni delle ricorrenti non risulti adeguatamente esplicitato se, in quali termini, in quali occasioni e con quali atti, alla corte di merito fosse stato prospettato il collegamento fra il contratto di donazione e la dichiarazione unilaterale del 21.7.1966, così come neppure risulta se, in quali esatti termini e con quali precise finalità, alla corte stessa fosse stato richiesto l’espletamento di attività istruttoria nel senso sopra illustrato, tanto più necessaria atteso che la prospettazione della parti configurerebbe ipotesi di contratto di donazione simulato con riserva di usufrutto. Le ricorrenti si limitano a generici riferimenti di collegamento negoziale e a trame le proprie personali conclusioni per dimostrare l’assunta violazione e falsa applicazione degli artt. 796, 982, 1140 c.c. e art. 1141 c.c., comma 2, in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, così traducendosi il motivo non in una specifica censura ma in una semplice prospettazione di tesi difformi da quelle recepite dal giudice a quo del tutto irrilevante in questa sede, attenendo all’ambito della discrezionalità del giudice del merito nella valutazione dei fatti e nella formazione del proprio convincimento, dei quali si finisce per chiedere una revisione, e non ai vizi del convincimento stesso rilevanti ex art. 360 c.p.c., attraverso l’introduzione di un nuovo tema di indagine. Per il che il motivo risulta inammissibile, in quanto oltre ad essere privo della dovuta specificità, introduce un nuovo tema di contestazione non trattato nella fase di merito. Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna delle ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, assorbito il terzo motivo, inammissibile il secondo; condanna le ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2A Sezione Civile, il 28 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2011

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