Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17052 del 05/08/2011

Cassazione civile sez. II, 05/08/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 05/08/2011), n.17052

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLE FRATTE DI TRASTEVERE 44/A, presso lo studio

dell’avvocato CANEVARI CLAUDIA, rappresentato e difeso dall’avvocato

GERBINO ANTONINO;

– ricorrente –

contro

R.R. (OMISSIS), F.R.

(OMISSIS), G.I. (OMISSIS), N.P.

P. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

OFANTO 18, presso lo studio dell’avvocato LIUZZI GUIDO, rappresentati

e difesi dall’avvocato RICCIARDO TONINO MAURO;

– controricorrenti –

e contro

M.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 21/2005 del TRIBUNALE di MISTRETTA, depositata

il 09/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2011 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito l’Avvocato ATTANASIO Marco, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato RICCIARDO Tonino, difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per manifesta infondatezza del

ricorso con condanna alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il giudice di pace di S. Stefano di Calastra ha deciso con anomala pronuncia interlocutoria del 12 aprile 2002 la controversia concernente la collocazione di un serbatoio supplementare per la raccolta di acqua potabile, posto dal ricorrente C.G. sul tetto del fabbricato condominiale sito in (OMISSIS).

Accogliendo l’appello incidentale proposto dai comproprietari R.R., G.I., N.P.P., R. F. e M.F., il tribunale di Mistretta ha ritenuto che dalla relazione del consulente d’ufficio si evince che l’installazione costituisce modifica che compromette un analogo sfruttamento del tetto a parte degli altri condomini, pregiudicando il rispetto dei canoni di cui all’art. 1120 c.c.. Con sentenza 9 aprile 2005 ha pertanto disposto la rimozione del recipiente d’acqua.

C.G. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 20 ottobre 2005, con unico complesso motivo. Gli appellanti incidentali hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

E’ utile premettere che i giudici di merito hanno ritenuto che legittimamente il C. aveva apposto sul tetto dell’edificio un primo autoclave, al pari degli altri condomini, giacchè non aveva arrecato diminuzione di flusso di acqua corrente, nè altre sperequazioni nell’approvvigionamento.

Il tribunale, sulla scorta della consulenza acquisita, ha invece considerato illegittima la installazione di un secondo serbatoio di 500 litri, trattandosi di modifica che comprometteva un analogo sfruttamento del tetto da parte degli altri proprietari.

Il C. si scaglia contro questo giudizio, lamentando violazione dell’art. 1120 c.c. e vizi di motivazione.

Deduce che si era limitato a realizzare una modificazione della cosa comune, da considerare legittima. Sostiene: a) che il serbatoio aggiunto non poteva incidere sulla stabilità del tetto, in relazione al carico che solitamente i solai possono sopportare, pari a 400 kg per metro quadrato; b) che il consulente aveva ammesso la possibilità di installare sette serbatoi sia pure rispettando determinate condizioni.

Parte controricorrente ha rilevato che il ctu aveva subordinato le eventuali nuove installazioni all’esecuzione di opere che il condominio avrebbe dovuto preventivamente valutare e adottare, previ accertamenti sulla struttura, senza i quali era inammissibile imporre al tetto un carico ulteriore.

Ha quindi ricordato che un pari uso della cosa sarebbe stato impedito a ciascuno degli altri condomini, se ciascuno avesse inteso giovarsi di un serbatoio aggiuntivo.

Molto opportunamente il controricorso ha osservato anche che la valutazione circa l’alterazione dell’equilibrio tra il pari uso della cosa comune da parte dei comproprietarì è rimessa al giudice di merito.

La Corte deve osservare, in consonanza con questo rilievo, che il ricorso del C. si risolve inammissibilmente in una critica generica, mirante ad una rivisitazione delle circostanze di fatto, che è preclusa alla Corte di legittimità. Esso richiama genericamente (violando il principio di autosufficienza, omettendo cioè di riportare i passi della relazione asseritamente malvalutati dal giudice di merito) la consulenza tecnica, per confutare le valutazioni del tribunale. In proposito però non offre elementi per inficiare, nei limiti consentiti in questa sede, la tesi fatta propria dal tribunale sulla scorta della ctu, tesi che non presenta vizi logici o carenze, alla quale invano parte opponente contrappone la propria lettura delle risultanze di perizia.

Va pertanto ricordato ancora una volta che i vizi della motivazione non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass 6064/08; 18709/07).

Resta da ribadire che non emergono per tal via profili di erroneità nell’inquadramento giuridico della fattispecie, posto che il tribunale, alla luce dei presupposti di fatto esposti, rimasti confermati dalle deduzioni delle parti, ha correttamente fatto applicazione dell’art 1120 c.c., deducendo dall’impossibilità di un pari uso della cosa comune, l’illegittimità della modifica apportata dal ricorrente. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 1.200,00 per onorari, 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2011

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