Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17051 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 11/08/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 11/08/2016), n.17051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2879-2011 proposto da:

FALLIMENTO F.LLI M. DI M.P. & C. S.N.C., nonchè

in proprio di A., P. e ME.PA., in persona del

Curatore dott. D.P.M., elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA SIMONE DE SAINT BON 89, presso l’avvocato FEDERICO GENOVESI,

rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO APUZZO, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SGC S.R.L. SOCIETA’ GESTIONE CREDITI, (P.I. (OMISSIS)), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CLAUDIO MONTEVERDI 20, presso l’avvocato GIANLUIGI LOY,

che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3233/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2016 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.G.C., Società Gestione Crediti s.r.l., nella sua qualità di procuratrice di SPV Venezia s.r.l., chiese l’ammissione allo stato passivo dei Fallimenti personali di A., P. e Me.Pa., soci illimitatamente responsabili della fallita F.lli M. s.n.c., per l’intero credito, di L. 325.737.200 oltre interessi, vantato nei confronti del padre defunto dei falliti, M.G., in forza del contratto di mutuo fondiario da questi sottoscritto unitamente alla moglie, garantito da ipoteca su un immobile di esclusiva proprietà dei de cuius, caduto in successione.

L’adito Tribunale di Napoli accolse la domanda solo parzialmente, rilevando che M.G. rispondeva del debito nella misura del 50% e che, ai sensi dell’art. 1295 c.c. i figli rispondevano solo nei limiti della quota di eredità loro attribuita, pari ai due terzi della metà. Ammise pertanto al passivo, con collocazione ipotecaria, il credito di Euro 64.690 per sorte e di Euro 3.361,24 per interessi convenzionali maturati nelle due annualità anteriori ed in quella successiva al fallimento, oltre agli interessi legali dal compimento di quest’ultima annualità alla vendita.

L’appello proposto da S.G.C., nella qualità, contro la decisione è stato interamente accolto dalla Corte d’appello di Napoli.

La corte del merito – premesso che l’ad. 1295 c.c., che prevede il subentro degli eredi di un condebitore solidale nei limiti della quota loro attribuita, fa espressamente salvi i patti contrari – ha rilevato che l’art. 4 del contratto sottoscritto dai coniugi M. stabiliva che entrambi i mutuatari si obbligavano alla restituzione della somma mutuata in via solidale ed indivisibile per sè e per i loro successori o aventi causa e che pertanto i tre fratelli falliti, che non avevano accettato l’eredità con beneficio d’inventario, rispondevano dell’intera obbligazione, a prescindere dal fatto che erano tenuti ipotecariamente per l’intero anche ai sensi dell’art. 754 c.c.; il giudice d’appello ha inoltre rilevato che, benchè l’appellante avesse prodotto solo nel grado la nota di trascrizione del pignoramento, non era contestato fra le parti che l’immobile fosse stato sottoposto ad esecuzione dalla banca creditrice in data anteriore al fallimento: ha pertanto riconosciuto collocazione ipotecaria agli interessi convenzionali per le due annate anteriori e per quella in corso alla data del pignoramento ed agli interessi legali dal compimento di tale annata a quella della vendita.

La sentenza, pubblicata il 5.10.2010, è stata impugnata dal Fallimento della M. s.n.c. e dei tre fratelli M. con ricorso per cassazione affidato a due motivi ed illustrato da memoria, cui S.G.C. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) E’ infondata l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso sollevata da S.G.C. sul rilievo che l’atto le è stato notificato in proprio e non nella qualità di procuratrice di SPV Venezia s.r.l.

L’omessa indicazione non ha determinato, infatti, alcuna incertezza nell’individuazione della parte nei cui confronti è stata proposta l’impugnazione (cfr. Cass. n. 12899/06), atteso che nelle premesse del ricorso il Fallimento ha specificato che S.G.C. ha chiesto ed ottenuto l’ammissione allo stato passivo quale mandataria dell’effettiva creditrice.

2)Con il primo motivo il ricorrente contesta che la clausola negoziale di cui all’art. 4 del contratto di mutuo integrasse un patto contrario alla regola generale posta dall’art. 1295 c.c., secondo la quale i tre figli di M.G. erano tenuti a rispondere dell’obbligazione paterna solo nei limiti della quota ereditaria loro attribuita, pari, per ciascuno, ai due sesti della metà riferibile al defunto. Sostiene in proposito che la clausola in questione era di mero stile e di generico contenuto e che, comunque, avrebbe dovuto essere approvata espressamente per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c., comma 2, pena la sua inefficacia.

Il motivo non merita accoglimento.

Va intanto rilevato che, ai sensi dell’art. 1294 c.c., i condebitori rispondono del debito in via solidale, salvo che dalla legge o dal titolo non risulti diversamente, e che pertanto M.G. era obbligato per l’intero, e non nei limiti del 50%, al pagamento della somma ancora a credito della mutuante.

La censura con la quale il ricorrente denuncia la genericità (e, deve supporsi, la conseguente nullità ai sensi dell’art. 1346 c.c.) della clausola contrattuale – non trascritta in ricorso e neppure indirettamente richiamata, attraverso l’allegazione del contratto o lo specifico rinvio alla sede processuale in cui questo risulta prodotto – è palesemente inammissibile.

La censura con la quale si deduce la natura vessatoria della clausola, che dovrebbe ritenersi inefficace, ex art. 1341 c.c., comma 2, perchè non approvata specificamente per iscritto, è invece infondata.

La pattuizione con la quale le parti stabiliscono che per le obbligazioni derivanti dal contratto sono solidalmente responsabili gli eredi del debitore non rientra, infatti, fra quelle tassativamente indicate dall’art. 1341 c.c., comma 2; va inoltre rilevato, da un lato, che la deroga a un principio di diritto non costituisce parametro di configurazione delle clausole vessatorie, e, dall’altro, che l’art. 1295 c.c., nella parte in cui fa salvo il patto contrario alla regola in esso stabilita, trova corrispondenza nell’art. 752 c.c., a norma del quale i coeredi contribuiscono al pagamento dei debiti e dei pesi ereditari ìn proporzione delle rispettive quote “salvo che il testatore non abbia diversamente disposto”: ogni debitore può infatti apporre ai suoi beni i pesi che più gli aggradano, mentre resta in facoltà degli eredi sottrarsene o rinunciando all’eredità od accettandola col beneficio d’inventario (Cass. nn. 7281/05, 6345/88).

2) Col secondo motivo il ricorrente lamenta che la corte del merito abbia riformato la decisione anche in punto di decorrenza degli interessi da collocare al privilegio, sulla scorta di un documento (l’atto di pignoramento) che la creditrice aveva inammissibilmente prodotto solo in sede d’appello.

Il motivo è infondato.

Il giudice d’appello non ha mancato di rilevare che la pendenza, alla data del fallimento, di una procedura esecutiva promossa dalla creditrice sull’immobile ipotecato era circostanza incontestata fra le parti, ed anzi espressamente riconosciuta dal curatore nella fase precontenziosa.

Ne consegue, per un verso, che la creditrice istante aveva correttamente ritenuto che il principio di non contestazione la sollevasse dall’onere di produrre l’atto di pignoramento e, per l’altro, che, a fronte della pronuncia del giudice di primo grado – che aveva invece ritenuto inapplicabile il principio ed escluso, pertanto, che vi fosse prova del pignoramento – la produzione dell’atto in sede di gravame doveva ritenersi ammissibile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 2, (nel testo, applicabile ratione temporis, novellato dalla L. n. 353 del 1990), trattandosi di documento la cui indispensabilità ai fini della decisione era emersa solo dalla sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 5013/016).

Il ricorso deve, in conclusione, essere integralmente respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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