Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17051 del 05/08/2011

Cassazione civile sez. II, 05/08/2011, (ud. 14/04/2011, dep. 05/08/2011), n.17051

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.O., S.M., G.M., tutti

rappresentati e difesi, per procura speciale a margine del ricorso,

dall’Avvocato Lauri Biagio, elettivamente domiciliati in Roma, via

Properzio n. 29, presso lo studio dell’Avvocato Daniela Allocca;

– ricorrenti –

contro

D.G.G.; M.G.;

– intimate –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 425 del 2005,

depositata il 15 febbraio 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 14

aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha chiesto l’accoglimento

del secondo e del quarto motivo, assorbiti gli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex art. 700 cod. proc. civ., D.G.G. adiva il Pretore di NoLa esponendo che dal locale terraneo sottostante la propria abitazione, adibito a salumeria, provenivano intollerabili immissioni di rumori molesti, causati da apparecchiature refrigeranti. Chiedeva pertanto che venisse ordinato ai proprietari del locale S.O., G.M. e G. M. di rimuovere la causa delle dette immissioni o di ridurre il rumore nei limiti del tollerabile.

L’adito Pretore, con provvedimento inaudita altera parte ordinava l’immediata cessazione delle emissioni rumorose mediante la adozione di cautele – quali la introduzione di materiali fonoassorbenti – e rimetteva le parti dinnanzi al Tribunale di Napoli.

Con citazione notificata il 20 gennaio 1990, l’attrice riassumeva la causa dinnanzi al Tribunale di Napoli, chiedendo la convalida del provvedimento interdittale e la condanna dei convenuti alla eliminazione delle emissioni, nonchè al risarcimento dei danni patiti.

Instauratosi il contraddittorio, si costituiva il solo S., chiedendo il rigetto della domanda e proponendo domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni all’immagine dell’esercizio commerciale.

Espletata una consulenza tecnica d’ufficio, e trasferita la causa all’istituito Tribunale di Nola, la domanda della D.G. veniva rigettata con sentenza depositata il 18 luglio 1996.

La soccombente proponeva appello; all’esito del giudizio, nel quale si costituiva il solo S., ed espletate una consulenza tecnica sulla tollerabilità o no delle immissioni e una medico legale sulla persona dell’appellante, la Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 15 febbraio 2005, in accoglimento del gravame, dichiarava la illegittimità delle immissioni sonore;

dichiarava la cessazione della materia del contendere in ordine alle domande volte ad inibire l’ulteriore protrarsi delle immissioni stesse; condannava gli appellati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni, liquidati in Euro 3.100,00, oltre agli interessi legali come da motivazione, nonchè al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

La Corte d’appello rilevava essere pacifico tra le parti che le immissioni, in corso di causa, erano cessate. Dichiarava, pertanto cessata la materia del contendere in ordine alle domande relative alla permanenza delle immissioni. Rilevava poi che, avendo l’appellante denunciato che le immissioni acustiche le avevano provocato lesioni personali, andava confermata la necessità delle espletate consulenze tecniche d’ufficio, essendo queste finalizzate ad accertare la pregressa legittimità o no delle immissioni acustiche nonchè la soccombenza virtuale.

La Corte d’appello ha quindi rilevato che il Tribunale, pur partendo da corrette premesse, aveva poi condiviso le conclusioni della c.t.u.

svolta in primo grado, che aveva escluso la illegittimità delle immissioni sulla base dei parametri di cui al D.P.C.M. 1 marzo 1991, e cioè sulla base di una fonte che poteva spiegare efficacia nei rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini, ma non in quelli tra privati, da valutare solo alla stregua del criterio della normale tollerabilità di cui all’art. 844 cod. civ. Osservava poi che i due consulenti tecnici nominati in appello avevano condivisibilmente concluso evidenziando la intollerabilità, e quindi la illegittimità, delle immissioni sonore, tenuto conto, tra l’altro, della continuità delle stesse nell’arco della intera giornata, e ritenendo l’appellante affetta da una nevrosi ansioso depressiva a preminente tendenza somatizzante, valutata in una percentuale di danno biologico del 3 – 4%. In proposito, la Corte osservava che le conclusioni di cui al punto 4 dell’atto di appello, aventi ad oggetto la liquidazione dei danni in separato giudizio, costituivano implicita rinuncia alla domanda, proposta in primo grado, di liquidazione di essi all’esito della causa, ma, posto che tale rinuncia non risultava essere stata accettata dalla controparte, tanto che in sede di conclusioni il procuratore dell’appellante aveva chiesto il risarcimento dei danni da liquidarsi all’esito del giudizio, doveva procedersi alla liquidazione dei danni stessi, nella misura, indicata dal c.t.u., di Euro 2.222,00 per danno biologico, di Euro 555,00 circa per danno morale, nonchè di Euro 323,00 per spese mediche, ancorchè non documentate.

Per la cassazione di questa sentenza S.O., S. M. e G.M. hanno proposto ricorso sulla base di quattro motivi; non hanno svolto attività difensiva le intimate D. G.G. e M.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 844 cod. civ., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonchè vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto che il Tribunale aveva rigettato la domanda facendo applicazione dei parametri di cui al D.P.C.m. del 1991, laddove invece il Tribunale di Nola aveva rigettato la domanda facendo applicazione del criterio comparativo, consistente nel confronto tra il livello medio dei rumori di fondo e quello rilevato nel luogo interessato dalle immissioni, dal quale era emerso che il limite della normale tollerabilità non poteva ritenersi superato in quanto la differenza accertata era di 1,4 decibel, e quindi irrisoria. I ricorrenti rilevano altresì che dalle consulenze tecniche espletate in appello non risultava affatto, contrariamente a quanto affermato in sentenza, che i due consulenti avessero accertato la intollerabilità delle immissioni acustiche e quindi la loro illegittimità.

I ricorrenti censurano poi la sentenza impugnata per avere aderito alle conclusioni del CTU, secondo il quale le immissioni acustiche si protraevano per l’intera giornata, laddove invece vi era in atti la prova, consistente anche nella ammissioni della stessa appellante, che le macchine refrigeratrici venivano spente dalle 23,00 alle ore 7 del mattino successivo.

Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono violazione dell’art. 194 cod. proc. civ. e dell’art. 90 disp. att. cod. proc. civ., nonchè il vizio di omessa motivazione, dolendosi del fatto che entrambe le consulenze tecniche sono state espletate senza che ai propri difensori venisse dato l’avviso di inizio delle operazioni peritali;

nullità, questa, eccepita nell’udienza del 5 dicembre 2002, e cioè nella prima udienza utile dopo il deposito delle relazioni peritali, e sulla quale la Corte d’appello ha omesso qualsiasi motivazione. La nullità delle consulenze tecniche sulle quali la sentenza impugnata si fonda comporta la nullità della sentenza stessa.

Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 345 cod. proc. civ. e vizio di motivazione. Dopo avere ricordato che la Corte d’appello, con una prima ordinanza collegiale, aveva disposto l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio e che l’appellante, sul rilievo che l’esercizio commerciale era stato dismesso, aveva chiesto la fissazione della udienza di precisazione delle conclusioni, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata perchè, in mancanza di istanza di parte, aveva non solo disposto la consulenza tecnica volta ad accertare la tollerabilità delle immissioni, ma anche una consulenza tecnica medicolegale sulla persona dell’appellante, nonostante un simile mezzo non fosse stato sollecitato dalla medesima appellante.

Con il quarto motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 306 e 292 cod. proc. civ., non essendo stata notificata agli appellati contumaci la domanda nuova formulata in sede di conclusioni. I ricorrenti ricordano che con l’atto introduttivo del giudizio la D.G. aveva chiesto la condanna dei convenuti ai danni, da liquidarsi in corso di giudizio; che nell’atto di appello la D.G. aveva invece limitato la domanda, nel senso di rinviare ad un separato giudizio la liquidazione dei danni; che nel corso del giudizio di appello, aveva nuovamente chiesto la condanna dei danni all’esito del giudizio. Tale ultima domanda doveva ritenersi preclusa a seguito della richiesta di condanna generica formulata con l’atto introduttivo del giudizio di appello; nè alla limitazione costituiva ostacolo la mancata accettazione della stessa, atteso che il S. non aveva sollevato alcuna obiezione al riguardo, con ciò accettandola, con l’effetto di rendere nuova la domanda di condanna formulata all’esito del giudizio di appello. Inoltre, trattandosi di domanda nuova, diversa da quella formulata nell’atto di appello, la stessa a-vrebbe dovuto essere notificata agli appellati contumaci; il che nella specie non si era verificato.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

La Corte d’appello ha ritenuto che il Tribunale, pur avendo correttamente esordito riconoscendo l’applicabilità, nel caso di specie, dell’art. 844 cod. civ. e del “limite della normale tollerabilità” ivi disposto, avesse poi, del tutto incoerentemente, finito per aderire alle conclusioni del c.t.u. di primo grado, il quale aveva escluso la illegittimità delle lamentate immissioni sonore sulla base dei parametri di cui al D.P.C.M. 1 marzo 1991. Ha quindi ritenuto tale motivazione erronea in diritto, dal momento che il richiamato D.P.C.M. ha determinato i limiti di tollerabilità sonora ai soli fini della quiete pubblica e non certo a quelli delle immissioni acustiche tra proprietà private vicine; limiti che invece sono regolati dal citato art. 844 cod. civ., nel senso che anche se le immissioni non superano i limiti fissati dalle norme di interesse pubblico sull’inquinamento, nei rapporti tra privati va effettuato ugualmente il giudizio sulla loro tollerabilità, con riferimento alla situazione concreta.

Orbene, come dedotto dal ricorrente, il Tribunale, lungi dal fare diretta applicazione dei limiti stabiliti dal D.P.C.M. del 1991, ha posto a fondamento della sua decisione il c.d. criterio comparativo, consistente nel confrontare il livello medio dei rumori di fondo con quello del rumore rilevato nel luogo interessato dalle immissioni, in base al quale è pervenuto alla conclusione che, nella specie, non poteva ritenersi superato il limite della normale tollerabilità in quanto la differenza accertata di 1,4 decibel era lieve e quindi trascurabile. Il Tribunale ha quindi fatto applicazione del criterio, affermato dalla giurisprudenza di merito, secondo cui il limite della normale tollerabilità deve ritenersi superato per quelle immissioni che comportino un incremento di rumorosità, che diviene apprezzabile, e significativo ai fini dell’art. 844 cod. civ., allorquando superi di 3 decibel il rumore di fondo.

Si deve qui evidenziare come, così argomentando, il Tribunale si sia attenuto all’indirizzo di questa Corte, secondo cui “il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi, sicchè la valutazione ex art. 844 cod. civ., diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell’uomo medio e, dall’altro, alla situazione locale.

Spetta al giudice del merito accertare in concreto gli accorgimenti idonei a ricondurre tali immissioni nell’ambito della normale tollerabilità” (Cass. n. 5157 del 1983).

In proposito è altresì utile ricordare che nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che:

– in materia di immissioni, mentre è senz’altro illecito il superamento dei livelli di accettabilità stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell’interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità, l’eventuale rispetto degli stessi non può fare considerare senz’altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi a stregua dei principi di cui all’art. 844 cod. civ. (sent. n. 1418 del 2006);

– alla materia delle immissioni sonore o da vibrazioni o scuotimenti atte a turbare il bene della tranquillità nel godimento degli immobili adibiti ad abitazione non è applicabile la L. 26 ottobre 1995, n. 477, sull’inquinamento acustico, poichè tale normativa, come quella contenuta nei regolamenti locali, persegue interessi pubblici, disciplinando, in via generale ed assoluta, e nei rapporti c.d. verticali fra privati e la p.a., i livelli di accettabilità delle immissioni sonore al fine di assicurare alla collettività il rispetto di livelli minimi di quiete. La disciplina delle immissioni moleste in alienino. nei rapporti fra privati va rinvenuta, infatti, nell’art. 844 cod. civ., alla stregua delle cui disposizioni, quand’anche dette immissioni non superino i limiti fissati dalle norme di interesse generale, il giudizio in ordine alla loro tollerabilità va compiuto secondo il prudente apprezzamento del giudice che tenga conto delle particolarità della situazione concreta (Cass. n. 1151 del 2003);

– il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 1 marzo 1991, il quale, nel determinare le modalità di rilevamento dei rumori ed i limiti di tollerabilità in materia di immissioni rumorose, al pari dei regolamenti comunali limitativi dell’attività rumorosa, fissa, quale misura da non superare per le zone non industriali, una differenza rispetto al rumore ambientale pari a 3 db in periodo notturno e in 5 db in periodo diurno, persegue finalità di carattere pubblico ed opera nei rapporti fra i privati e la p.a.

Le disposizioni in esso contenute, perciò, non escludono l’applicabilità dell’art. 844 cod. civ. nei rapporti tra i privati proprietari di fondi vicini (Cass. n. 10735 del 2001, con la quale, alla stregua del principio di cui alla massima, è stata ritenuta correttamente motivata la decisione della Corte di merito che, in riforma della sentenza di primo grado, aveva fissato in 3 db il limite accettabile di incremento del rumore anche nelle ore diurne, superato dal suono proveniente dai pianoforti utilizzati dal ricorrente per ragioni di studio e di insegnamento, avuto anche riguardo alla circostanza che l’ambiente interessato alle immissioni rumorose, dapprima utilizzato come magazzino, era stata poi adibite a camera da letto);

– un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma codicistica sulle immissioni impone al giudice di considerare prevalente la tutela della qualità della vita e della salute, nel contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, indipendentemente dalla priorità di un determinato uso (Cass. n. 8420 del 2006);

– non avendo il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose carattere assoluto, ma essendo esso relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, spetta al giudice del merito sia accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità e l’individuazione degli accorgimenti idonei a ricondurre le immissioni nell’ambito della normale tollerabilità (Cass. n. 3438 del 2010).

La Corte d’appello ha quindi errato nell’affermare che il Tribunale abbia fatto applicazione diretta, nei rapporti tra privati, del D.P.C.M. del 1991. Sulla base di tale errore ha poi disposto una nuova consulenza tecnica d’ufficio, la quale, tuttavia, secondo quanto puntualmente riportato in ricorso – in ossequio al principio di autosufficienza -, non risulta fondata su un accertamento tecnico documentato e scientificamente rilevabile. Il consulente tecnico incaricato dalla Corte d’appello, invero, ha formulato le seguenti conclusioni: “1) Si può senz’altro ammettere che i rilievi eseguiti durante l’espletamento della CTU di primo grado sono senza dubbio precisi ma riferiti ai limiti di accettabilità di cui al D.P.C.M 1/3/1991. 2) Dalla lettura delle conclusioni del CTU medico legale al punto 2 si legge”… è concretamente postulabile che l’affezione nevrotica enunciata sub 1 sia in parte dipendente da detto stimolo”.

3) Le considerazioni esposte nella 3^ parte dal sottoscritto, inducono ad affermare che le immissioni sonore siano state considerate intollerabili per l’appellante nel periodo in cui la stessa è stata sottoposta a tali immissioni e pertanto sono divenute patogene per l’individuo.

Dalle conclusioni del consulente del grado di appello, invero, il superamento del limite di tollerabilità, più che scaturire da una rilevazione condotta secondo il richiamato procedimento, appare desunto dalla valutazione soggettiva della interessata, la quale avrebbe considerato le immissioni sonore intollerabili.

Sussiste, dunque, il denunciato vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria sul punto decisivo della controversia, consistente nell’accertamento del superamento o no del limite della normale tollerabilità delle immissioni per cui è causa.

Il primo motivo di ricorso va quindi accolto, con assorbimento delle ulteriori censure proposte dal ricorrente.

La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli per una nuova valutazione sull’indicato punto decisivo.

Al giudice del rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri;

cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 14 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2011

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