Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17050 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 11/08/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 11/08/2016), n.17050

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPPI Aniello – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1252-2011 proposto da:

C.M., (C.F. (OMISSIS)), S.B. (C.F. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DI PIETRA 26, presso

l’avvocato LIVIA MAGRONI FURLOTTI, rappresentati e difesi

dall’avvocato OSCAR PODDA, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

e contro

FALLIMENTO HYDRO AIR RESEARCH S.R.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3062/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 11/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/06/2016 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato D. JOVENAL LONG, con delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 28/1011/11/2010, ha respinto il reclamo proposto da C.M. e S.B. avverso la sentenza dichiarativa di fallimento della società Hydro Air Research s.r.l.

Nello specifico, la Corte di merito ha respinto il primo motivo, con cui i reclamanti si dolevano della violazione del contraddittorio per l’inesistenza delle notifiche delle istanze di fallimento, avvenuta ai due reclamanti quali presunti legali rappresentanti della società, quando invece erano cessati dalla carica di liquidatori a seguito dell’incorporazione della Hydro in Voda Usa, rilevando che: la società Hydro Air Research s.r.l. era stata posta in liquidazione volontaria a causa della perdita totale del capitale, il 30/4/08;gli amministratori S. e C. erano stati nominati liquidatori; nel maggio 2008, la società aveva stipulato con la società di nuova costituzione Hydro Air Research Italia s.r.l. contratto di affitto d’azienda di tutti i suoi beni materiali ed immateriali, esclusi i debiti ed i crediti; con atto del 26/3/09, i soci avevano ceduto le quote di partecipazione della Hydro Air Research in liquidazione alla Voda Usa LLC in (OMISSIS); nell’aprile 2009, la società Hydro Air Research in liquidazione aveva deliberato il trasferimento nel (OMISSIS) con adozione della forma giuridica limited hability company, in vista della fusione per incorporazione nella Voda Usa, avvenuta nel maggio 2009; a meno di un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese era stato dichiarato il fallimento della Hydro Air Research s.r.l. in liquidazione.

Secondo la Corte d’appello non era alla incorporante Voda che andava indirizzata la notifica, ma alla incorporata Hydro Air Research, e, non andata a buon fine, la notifica correttamente era stata effettuata presso la residenza dei liquidatori; il trasferimento di Hydra Air Research in Usa era fittizio, perchè non era seguito il trasferimento effettivo dell’attività, e in più non era stato terminato il procedimento di “domesticazione”, che presupponeva il soddisfacimento di tutte le condizioni per il trasferimento.

Sussisteva lo stato di insolvenza, considerata l’unica entrata di 30.000,00 euro a fronte dei debiti, che, solo quelli verso l’Erario, ammontavano, come da stato passivo in atti, come da proposta di ammissione del curatore, ad Euro 900.000,00 in privilegio (di cui Euro 248.000,00 per mancato versamento di contributi ai dipendenti) e 550.000,00 in chirografo, e d’altra parte, dal verbale della riunione del CdA di Ainvest s.r.L.(che alla data della messa in liquidazione della società deteneva l’80% delle quote) risultava ben fotografata la situazione della società.

La Corte del merito ha respinto i motivi di carenza di giurisdizione del Giudice italiano, e di impossibilità di dichiarare il fallimento della società una volta incorporata nella società americana, richiamando quanto già rilevato e ritenendo l’applicabilità in via analogica della L. Fall., artt. 10 e 11, e ritenendo non rilevante la rinuncia al ricorso per dichiarazione di fallimento della Knjin Inc depositata il 18/10/2010, dopo la dichiarazione di fallimento.

Ricorrono avverso detta pronuncia C.M. e S.B., sulla base di cinque motivi.

Il Fallimento non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Col primo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 10, 11 e 15, art. 2504 bis c.c., nonchè la nullità della sentenza; deducono che il ricorso per fallimento non è mai stato notificato alla incorporante Voda, e che pertanto non si è mai instaurato il contraddittorio ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 2, essendo prive di effetto le notifiche effettuate agli odierni ricorrenti, cessati da ogni carica dal maggio 2009.

Deducono che la Corte d’appello ha al riguardo confuso l’impresa cancellata a seguito di cessazione con l’impresa cancellata a seguito del trasferimento e/o della fusione, e che solo nel primo caso può esserci la prorogatio della legittimazione degli ex liquidatori o dei legali rappresentanti.

1.2.- Col secondo, si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 9, 10 e 11, 2501 e 2505 quater c.c., nonchè del vizio di contraddittoria motivazione, ribadendo la carenza di giurisdizione del Giudice italiano, attesa l’applicabilità della norma speciale di cui alla L. Fall., art.9, u.c., e sostengono che sono contraddittori gli argomenti addotti per la fittizietà, mentre il trasferimento era funzionale alla fusione; che nessuna norma preclude il trasferimento alla società in liquidazione nè questa è d’ostacolo alla fusione, e che l’unico limite previsto dall’art. 2501 c.c., comma 2, è dato dall’inizio della distribuzione dell’attivo, mai avvenuto (limite peraltro non applicabile nei casi di fusione tra s.r.l., ex art. 2505 quater c.c.).

1.3.- Col terzo, i ricorrenti denunciano l’incompetenza territoriale del Tribunale di Milano a favore del Tribunale di Lodi, visto che l’unica attività dell’azienda data dall’incasso degli affitti era svolta a (OMISSIS).

1.3.- Col quarto, si dolgono della violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 6 e del vizio di motivazione, atteso che il creditore istante aveva rinunciato, nè rileva che fosse già stata pronunciata la sentenza di fallimento, vista la non definitività della stessa.

1.5.- Col quinto, si dolgono dei vizi ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione alla ritenuta insolvenza, atteso che la creditrice Kanjin aveva un titolo contestato; che in ogni caso si sarebbe dovuto valutare la solvibilità di Voda USA e non di HAR; che, essendo la società in liquidazione, andavano confrontati l’attivo ed il passivo.

2.1.- Il primo motivo è fondato.

La Corte del merito ha respinto il primo motivo di reclamo (di nullità della sentenza per non essere stato correttamente instaurato il contraddittorio nella fase prefallimentare, essendo stata effettuata la notifica del ricorso per fallimento e del decreto L. Fall., ex art. 15 ai liquidatori della Hydro Air Research, quando questa era stata già trasferita all’estero e fusa per incorporazione nella Voda USA), rilevando che il fallimento della società incorporata era stato correttamente dichiarato a meno di un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, L. Fall., ex artt. 10 e 11, dovendosi ritenere non l’incorporante Voda, ma l’incorporata Hydro, destinataria della notifica, quindi il legittimo contraddittore.

Detta statuizione non può essere condivisa.

La Corte di merito ha confuso i due piani, quello della fallibilità della società entro l’anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, e quello della individuazione del “debitore”, quale soggetto nei cui confronti instaurare il procedimento prefallimentare L. Fall., ex art. 15.

La Corte ha inoltre richiamato, a conforto del proprio assunto, la sentenza 2210/2007, che si è pronunciata in una fattispecie antecedente alla riforma del diritto societario, di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, come esplicitamente dalla stessa puntualizzato, osservando che: “Se è vero che la fusione determina un fenomeno di successione universale – quanto meno nella normativa societaria anteriforma – corrispondente a quella mortis causa e l’incorporante rappresenta il nuovo centro di imputazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti incorporati, con la confusione dei patrimoni delle società preesistenti e con la conseguenza che ogni atto, sostanziale o processuale, deve essere indirizzato al nuovo ente, unico e diretto obbligato per i debiti dei soggetti definitivamente estinti, è altrettanto vero che la legge fallimentare all’evento della cessazione dell’impresa, ovvero a quello del decesso dell’imprenditore, connette effetti da un lato sanzionatori – nella misura in cui il fallimento è sanzione per l’imprenditore insolvente – e dall’altro rafforzativi della garanzia dei creditori insoddisfatti, sia pure nei limiti dell’anno dall’evento. E se, come questa Corte ha affermato con sent. 19.06.1996 n. 5679, alla quale il collegio aderisce, la ipotesi della fusione realizza la fattispecie della L. Fall., artt. 11e 10 – le cui disposizioni – ritenute dalla Corte costituzionale, quanto all’art. 10, (sent. n. 66/1999; 319/2000; 321/2002) applicabili alla società possono trovare applicazione per analogia anche all’imprenditore collettivo, è irrilevante che i debiti siano stati assunti dall’incorporante; che l’atto di fusione non sia stato contrastato; che l’attività della società I.C.I. sia proseguita attraverso l’incorporante, che sia mancato il fallimento di quest’ultima e che siano persino mancate richieste di pagamento, ovvero convocazioni in camera di consiglio nel procedimento prefallimentare”.

Ancora più in modo netto, sempre nella disciplina ante riforma societaria e fallimentare, si è pronunciata la sentenza 210216/06 per la convocazione del legale rappresentante della società incorporata, alla stregua delle conseguenze che a questi possono conseguire dalla dichiarazione di fallimento.

Limitandoci in questa sede, visto il vizio denunciato nel primo motivo, alla questione della individuazione del soggetto nei cui confronti va instaurata la procedura prefallimentare, appaiono evidenti i limiti del richiamo alla pronuncia 2210/2007, visto che dal nuovo art. 2504 bis c.c., che ha natura innovativa e non interpretativa, si desume il principio per cui la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo (ma per la giurisprudenza delle S.U., di cui alle sentenze nn. 19698/2010 e 19509/2010, anche le fusioni anteriori all’entrata in vigore della nuova disciplina, 1 gennaio 2004, pur dando luogo ad un fenomeno successorio, si diversificano dalla successione “mortis causa” perchè la modificazione dell’organizzazione societaria dipende esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti, con la conseguenza che quella che viene meno non è pregiudicata dalla continuazione di un processo del quale era perfettamente a conoscenza, così come nessun pregiudizio subisce la incorporante, o risultante dalla fusione, che può intervenire nel processo ed impugnare la decisione sfavorevole, da cui la non applicazione della disciplina dell’interruzione di cui agli artt. 299 c.p.c. e segg.).

Anche se con tale ultimo principio si sono volute sostanzialmente equiparare, sul piano processuale, la disciplina ante riforma e quella successiva, in ogni caso peraltro avendo riguardo al processo già instaurato, è bene tener presente che la nuova formulazione dell’art. 2504 bis c.c., comma 1 reitera il precedente disposto (“La società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione”), ma aggiunge “proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione”.

E tale prosecuzione, anche processuale, non può non spiegare effetti ai fini della individuazione del “debitore” nel procedimento prefallimentare che qui interessa.

Ora, è pur vero che 1′ ordinanza 24498/2014, dal rilievo che la fusione comporta un mutamento formale di un’organizzazione societaria già esistente, ma non la creazione di un nuovo ente, che si distingua dal vecchio, per cui la società incorporata sopravvive in tutti i suoi rapporti, anche processuali, alla vicenda modificativa nella società incorporante, ha fatto conseguire l’ammissibilità dell’appello proposto dalla società già incorporata (contra, sia pure nel caso specifico in cui la società si era prima cancellata e poi aveva proposto appello venendo così contra factum proprium, e per la specifica disciplina del reclamo nel fallimento L. Fall., ex art. 18, la sentenza 2281/2012), ma v’è da rilevare che in tal caso il fenomeno della fusione si era realizzato in corso di procedimento, tanto da ritenerne sostanzialmente la non incidenza nel processo ai fini dell’impugnazione.

Nel caso che qui interessa, invece, la fusione ha preceduto il procedimento prefallimentare, da ciò conseguendo la individuazione del soggetto “debitore” nella società incorporante, ai fini della instaurazione del contraddittorio, L. Fall., ex art. 15.

Resta impregiudicata ogni ulteriore questione sulla applicabilità della L. Fall., artt. 10 e 11 alla fattispecie, e restano pertanto assorbiti tutti gli ulteriori motivi dì ricorso, che postulano in ogni caso la previa regolare instaurazione del contraddittorio.

Va pertanto formulato il seguente principio di diritto:

“Ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio L. Fall., ex art. 15, il ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il decreto di convocazione vanno notificati alla società incorporante, che ai sensi dell’art. 2504 bis c.c. assume i diritti e gli obblighi della società partecipante alla fusione, proseguendo in tutti i rapporti della stessa, anche processuali, anteriori alla fusione, pur conservando la propria identità la società incorporata ai fini della eventuale dichiarazione di fallimento”.

Il riscontrato vizio processuale determina la nullità del giudizio e della sentenza emessa all’esito dello stesso e da ciò consegue la cassazione della pronuncia impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio al giudice di merito di primo grado, per l’eliminazione del vizio, ex art. 383 c.p.c., comma 3.

Ed infatti, ricorre nella specie il caso in cui il Giudice del reclamo avrebbe dovuto rimettere le parti al primo giudice, ex art. 354 c.p.c., ed in tal senso si è pronunciata, tra le ultime, l’ordinanza 18339/2015 (in senso conforme alla sentenza 25218/2013), affermando che in ogni ipotesi di revoca del fallimento che non precluda la rinnovazione della dichiarazione medesima (nella specie, per violazione del principio del contraddittorio in ragione dell’omessa notificazione della istanza di fallimento al debitore), il giudice del reclamo, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., deve rimettere la causa al primo giudice che, rinnovati gli atti nulli, provvede nuovamente al riguardo. Al giudice del rinvio spetterà anche decidere sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso,assorbiti gli altri, cassa la pronuncia impugnata e la sentenza dichiarativa di fallimento e rinvia al Tribunale di Milano in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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