Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17048 del 05/08/2011

Cassazione civile sez. II, 05/08/2011, (ud. 05/04/2011, dep. 05/08/2011), n.17048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – rel. Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.A. (OMISSIS), C.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato DI MATTIA SALVATORE,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZUMERLE FRANCO;

– ricorrenti –

contro

M.D., ME.GI.;

– intimati –

e da:

M.D. (OMISSIS), ME.GI.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 110, presso lo studio dell’avvocato MACHETTA MARCO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSA ANTONIO FRANCESCO;

– ricorrenti Incidentali –

contro

G.A. (OMISSIS), C.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato DI MATTIA SALVATORE,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZUMERLE FRANCO;

– controricorrenti all’incidentale –

sul ricorso 8745-2009 proposto da:

D.G. (OMISSIS), D.P.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 110, presso lo studio dell’avvocato MACHIETTA MARCO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MODENA NADIA;

– ricorrenti –

contro

C.G., G.A., ME.GI.,

M.D.;

– intimati –

e da:

C.G. (OMISSIS), G.A.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FEDERICO

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato DI MATTIA SALVATORE,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZUMERLE FRANCO;

– ricorrenti Incidentali –

contro

D.P. (OMISSIS), D.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 110, presso lo studio dell’avvocato MACHIETTA MARCO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MODENA NADIA;

– controricorrenti all’incidentale –

e contro

ME.GI., M.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 514/2008 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 18/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI;

udito l’Avvocato SALVATORE DI MATTIA difensore di G. e

C. che si riporta agli atti;

udito l’Avvocato MARCO MACHIETTA difensore di D.P. E

G. che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

(8702/2009) e dei ricorsi incidentali ME. E D.;

inammissibilità del ricorso incidentale G. + 1.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di riassunzione del 2002, C.G. e G. A. lamentavano che nell’ambito dei lavori di ristrutturazione di una loro casa in (OMISSIS), appaltati a G. e D.P., era stato realizzato un caminetto con la relativa canna fumaria, che attraversava il muro dell’appartamento sovrastante di Me.Gi. e M.D., e sbucava sul tetto, trasformandosi in comignolo; per vari motivi, detto camino venne attivato solo nell’inverno 1998/99, provocando però le proteste dei Me., che lamentavano fumi maleodoranti. Seguiva una fase di tentativi, operati dai D. e poi da altra ditta, con addotto divieto dei Me. ad accedere al loro appartamento, per porre fine all’inconveniente, fino ad un intervento del Comune, che imponeva la non utilizzazione del caminetto fino all’accertamento delle cause dell’occorso.

Su tale base citavano i predetti chiedendo il risarcimento dei danni sofferti e il pagamento della penale dovuta per il ritardo; i D. escludevano la loro responsabilità ex art. 1669 c.c. potendosi configurare solo quella ex artt. 1667 c.c., comma 8 e, nel merito, replicavano alle asserzioni di controparte; i Me.

rilevavano di non essersi mai opposti agli accertamenti opportuni, ma non consentivano che si eseguissero opere all’interno della loro casa.

Espletata una CTU, il tribunale di Trieste, in composizione monocratica, con sentenza in data 21/26.2.2005, condannava i D. a pagare la penale contrattuale in Euro 131.696,50 oltre interessi legali dalla domanda al saldo; condannava i Me. a consentire l’accesso tramite il loro fondo alla testa del camino degli attori, salvo indennità; rigettava ogni altra domanda e regolava le spese.

Avverso tale sentenza proponevano appello i D.; i C., costituitisi, chiedevano il rigetto delle richieste di controparte e, con appello incidentale instavano per l’accertamento del vizio costruttivo denunziato nei confronti dei D. con condanna dei predetti al risarcimento dei danni, per ottenere declaratoria nei confronti dei Me. dell’esistenza di servitù di transito a carico del loro appartamento, con condanna dei predetti al risarcimento dei danni derivati dal loro comportamento; i Me.

chiedevano l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto nei loro confronti e comunque il rigetto dello stesso.

Con sentenza in data 28.5/18.12.2008, la Corte di appello di Trieste riduceva ad Euro 65.848,25 la penale dovuta dai D. ai C. e confermava nel resto la sentenza impugnata, regolando le spese.

Ribadita l’infondatezza della eccezione di incompetenza proposta dai D. per le ragioni già esplicitate dal primo giudice, la Corte giuliana osservava che caminetto e canna fumaria hanno funzioni accessorie e non essenziali, donde l’applicabilità dell’art. 1667 c.c..

La data effettiva di consegna dei lavori poi doveva essere fissata al 15.5.1993, donde la constatazione del ritardo e l’applicabilità della penale contrattuale; quanto all’ammontare della stessa, sussistevano validi motivi, tutti esplicitati, per ridurne l’importo alla metà.

Non sussistevano i presupposti per la richiesta declaratoria di sussistenza di una servitù, costituita per destinazione del padre di famiglia, donde anche l’infondatezza delle richiesta risarcitoria relativa, a carico dell’appartamento Me..

Anche la doglianza dei D. circa la regolamentazione delle spese di primo grado doveva considerarsi priva di fondamento, considerato l’esito complessivo della lite.

Avverso tale sentenza proponevano ricorso, basato su sette motivi ed illustrato anche con memoria, i D.; resistono con controricorso i C., che hanno a loro volta proposto ricorso principale basato su quattro motivi, ricorso incidentale, sulla base di sei motivi, illustrati anche con memoria; i Me. resistono con controricorso ed hanno anch’essi proposto ricorso incidentale, basato su di un solo motivo; ai ricorsi incidentali si replica con controricorso. Vi sono memorie, anche reiterate, di tutte le parti.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I vari ricorsi, principali ed incidentali, sono rivolti avverso la medesima sentenza e vanno pertanto riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

Venendo all’esame del ricorso D., devesi rilevare che con il primo motivo si lamenta vizio di motivazione, definita omessa, insufficiente o contraddittoria, o addirittura apparente, relativamente alla fissazione, operata in sentenza, della data di inizio dei lavori in coincidenza con quella della formale comunicazione di tanto al comune o con una operazione di svuotamento, avente carattere preliminare; si pone quindi, in relazione al profilo in esame una doglianza relativa ad un vizio motivazionale che, ratione temporis, doveva concludersi, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., con una esposizione indicante le ragioni per cui la dedotta insufficienza motivazionale la rendeva inidonea a giustificare la decisione.

Detto che dalla sentenza impugnata emerge in modo chiaro che i parametri temporali cui si era fatto riferimento per stabilire la data di inizio dei lavori erano gli unici emergenti in modo obiettivo dalle risultanze processuali, devesi escludere che il quesito come formulato sia idoneo a porre nei termini voluti dalla legge e già specificati, il dedotto vizio motivazionale atteso che non si esplicitano in esso le ragioni che renderebbero priva di adeguata motivazione la decisione adottata al riguardo; il motivo risulta pertanto inammissibile.

Il secondo mezzo attiene anch’esso ad un vizio motivazionale ed attiene alla data di conclusione dei lavori, segnatamente ai fini di determinare la data di decorrenza del termine relativo alla decorrenza della penale, lamentandosi che la stessa non sia stata determinata in base alle prove fornite dal ricorrente, ma ricavata dal giudice in base ad elementi soggettivamente valutati.

Il vizio che viene proposto in esito alla esposizione della doglianza è formulato approssimativamente, ma sostanzialmente negli stessi termini suesposti: appare evidente che un vizio motivazionale non può risolversi con la formulazione di una esposizione che non espliciti le ragioni per cui si ritiene che la data in questione sia stata determinata dal giudice in base a valutazione apoditticamente definita personale, senza la esplicitazione delle ragioni per cui si perviene a tale conclusione; anche in tal caso il motivo risulta inammissibile per assoluta incongruenza del requisito richiesto dall’art. 366 bis c.p.c..

Il terzo mezzo è intestato a violazione dell’art. 1372 c.c., si riferisce anch’esso alla data di inizio lavori e si conclude con il seguente quesito: ” ….se il mancato adempimento di una formalità contrattualmente prevista al fine della determinazione di un elemento del contratto sia indifferente ai fini della regolamentazione contrattuale relativa a tale elemento e priva di conseguenze o abbia conseguenze per la parte inadempiente”.

Ci si riferisce al verbale della consegna dei lavori come unico atto utile a determinarne la data di inizio; a parte le considerazioni già svolte a proposito del primo motivo, risulta evidente, stante che in atti non si rinviene tale documento, come la risposta al quesito come formulato sia assolutamente inidonea a risolvere il profilo di diritto in esame, atteso che manca ogni riferimento alla fattispecie concreta, cosa questa che rende assolutamente astratta la tematica così prospettata. Anche tale mezzo risulta perciò inammissibile.

Analoga è la conclusione cui deve pervenirsi a proposito del quarto motivo, afferente al se sussista violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.; invero, il profilo in esame, attinente all’interpretazione del contratto e si basa su di una lettura di esso secondo cui solo la mancata ultimazione dei lavori compresi nelle lettere a) e b) avrebbe comportato la prevista penale.

Premessa la assorbente e condivisa considerazione che attribuisce al giudice del merito la discrezionalità nell’interpretazione del contratto, il quesito di diritto avrebbe dovuto essere formulato in modo tale da evidenziare eventuali incongruenze logiche o tecniche, con precisa individuazione dei canoni ermeneutici violati nella interpretazione in concreto adottata e non limitarsi ad una teorica ed astratta problematica circa i criteri da adottare nella interpretazione di un contratto: in base alla semplice lettura del quesito, il mezzo risulta pertanto inammissibile, siccome inidoneo a fornire risposta alla fattispecie concreta.

Il quinto motivo attiene a violazione dell’art. 1218 c.c. e si basa sulla efficacia, ai fini della decorrenza del termine per la ultimazione dei lavori, della richiesta da parte del committente di varianti in corso d’opera, prospettandosi che ove ciò fosse avvenuto, il termine avrebbe dovuto essere posposto; premesso che nella sentenza impugnata si evidenzia che non era stata in alcun modo prospettata una diversa decorrenza del termine di decorrenza della penale in dipendenza di ciò, anche in tal caso si rendeva necessario un quesito di diritto, che proponesse la doglianza come articolata, in termini concreti, specificando di quali varianti si fosse trattato, del tempo ulteriore necessario a porle in essere e ad eventuali accordi intercorsi al riguardo. Si ha invece ancora una volta un quesito assolutamente teorico ed astratto, tale da comportare una risposta del tutto priva di efficacia decisionale nel caso di specie; anche tale mezzo risulta, per le ragioni dette, inammissibile.

Con il sesto motivo si lamenta che, pur essendo quattro i committenti, la sentenza impugnata ha riconosciuto soltanto ad uno di essi la somma dovuta a titolo di penale; la questione risulta assolutamente nuova, mai proposta in precedenza e deve pertanto, per ciò solo, essere dichiarata inammissibile, atteso che investe una tematica che dovrebbe essere esaminata alla luce di risultanze di fatto, il cui esame non è consentito in questa sede di legittimità.

Il settimo motivo, con cui si lamenta violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., e quindi relativo alle spese, è corredato da un quesito di diritto con cui ci si chiede se il giudice, nella regolamentazione delle stesse, possa valutare solo la soccombenza in merito alla statuizione economicamente più rilevante o debba tener conto del complesso delle decisioni assunte.

Il motivo è infondato, atteso che la decisione sulle spese è censurabile in sede di legittimità unicamente in relazione alla violazione del criterio della soccombenza, nel senso che le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.

Il motivo è pertanto infondato e deve essere respinto e, con esso, il ricorso.

Venendo al ricorso principale G. – C., i primi due motivi sono privi dei requisiti previsti dall’art. 366 bis c.p.c. e devono essere pertanto dichiarati inammissibili.

Il terzo motivo è intestato a violazione del combinato disposto degli artt. 1051 e 1062, in relazione all’art. 843 c.c. e si conclude con il seguente quesito di diritto: “se sia ragione di infondatezza della domanda di accertamento della servitù di transito (proposta come principale) – sul presupposto del già avvenuto accoglimento della domanda (proposta come subordinataci condanna alla concessione dell’accesso o del passaggio per le finalità di cui all’art. 843 c.c. – la circostanza che la necessità di accesso si assuma determinata da mere esigenze di riparazione”.

I ricorrenti chiariscono, riportando testualmente espressioni usate nei propri atti difensivi, che loro intento era quello di ottenere una declaratoria di servitù di transito nell’appartamento dei Me., a prescindere dalla circostanza contingente legata al cattivo funzionamento della canna fumaria.

Va ricordato che l’interpretazione della domanda è compito istituzionalmente affidato alla discrezionale valutazione del giudice del merito, il quale nella specie, ha inquadrato la domanda dei G. – C., come volta ad ottenere l’accesso nell’appartamento dei Me. per poter effettuare le operazioni di riparazione della canna fumaria.

Se questo era il senso da attribuire alla domanda dei ricorrenti, che avevano / / prospettato, seppure in via subordinata l’applicazione dell’art. 843 c.c., così rafforzando la tesi dell’occasionalità del transito, e nel motivo in esame non si adduce alcun elemento atto ad invalidare tecnicamente o logicamente il metro di lettura fatto proprio dal giudice del merito, l’accoglimento della subordinata, che comportava il soddisfacimento delle esigenze prospettate, rendeva certamente recessiva la diversa domanda, pur se proposta in via principale, anche in ragione della evidente insussistenza dei requisiti utili per potersi parlare nella specie di servitù costituita per destinazione del padre di famiglia; il motivo non può pertanto trovare accoglimento.

Il quarto motivo è intestato violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.; omessa pronuncia e difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato; esso si conclude con il seguente quesito di diritto: “se realizzi violazione del dovere di pronunciare su tutta la domanda in ipotesi in cui è stata chiesta la condanna al risarcimento per lesione del diritto di servitù di transito o per lesione del diritto sancito dall’art. 843 c.c. la pronuncia del giudice che rigetti la domanda risarcitoria sul presupposto della insussistenza della servitù di transito”.

Il motivo pecca per violazione del principio di autosufficienza, atteso che non vengono riportati gli elementi processuali comprovanti i danni che sarebbero derivati ai ricorrenti dal preteso diniego di accesso all’appartamento Me.; sarebbe infatti stato necessario riportare sia i documenti che le testimonianze comprovanti l’esistenza di tali danni, onde dimostrarne la effettiva sussistenza, atteso che la richiesta risarcitoria avanzata nei confronti e dei Me. e dei D. dimostra chiaramente il collegamento tra il fatto legato al cattivo funzionamento della canna fumaria e il preteso divieto di accesso, donde la necessità di dimostrare l’esistenza di un danno, non potendosi ritenere che lo stesso potesse essere considerato in re ipsa. Anche tale motivo deve essere pertanto respinto e, con esso, il ricorso principale. Venendo al ricorso incidentale dei G. – C., con il primo motivo si lamenta violazione dell’art. 1669 c.c. e si formula il seguente quesito di diritto: “…se le deficienze costruttive (per inidoneità dei materiali e contrarietà alla regola dell’arte) afferenti ad una canna fumaria posta a servizio di un camino a legna e tali da impedire del tutto il funzionamento dell’impianto (causa il rischio dell’incolumità dei residenti nello stabile abitativo all’interno delle cui murature portanti la canna fumaria transita) costituisce “grave difetto” secondo la previsione dell’art. 1669 c.c. e restino perciò soggette ai termini di prescrizione e decadenza previsti dalla menzionata norma”.

La Corte giuliana ha ritenuto che il cattivo funzionamento di una canna fumaria utile solo per un camino a legna, avente natura chiaramente ornamentale, posto all’interno di un appartamento munito di impianto di riscaldamento tale da poter certamente prescindere dal calore sprigionato dal camino non integrasse quel grave difetto di cui parla la norma citata, così compiendo una operazione valutativa basata su elementi oggettivi; orbene, tale valutazione, attinente al merito della vicenda, implica accertamenti di carattere discrezionale, tali da essere riservati all’apprezzamento del giudice del merito e insindacabili in sede di legittimità se plausibili e non contrari a canoni di logica o tecnici.

Nella specie non ricorrono tali estremi e pertanto il motivo, attinente al merito, non può trovare accoglimento.

Con il secondo mezzo si lamenta violazione del combinato disposto degli artt. 101, 112, 182, 183 e359 c.p.c., in relazione agli artt. 24 e 111 Cost.; violazione del contraddittorio e del diritto di difesa; lo stesso si conclude con il seguente quesito di diritto:

“…se violi il diritto alla difesa, sotto la visuale del principio del contraddittorio nel processo, il giudice di appello che – senza previamente rilevare e sottoporre alle parti la questione, prima di allora mai considerata e dibattuta – riduca l’ammontare della condanna adottata dal giudice di primo grado, facendo applicazione dell’art. 1384 c.c., sul presupposto che quest’ultima fosse sproporzionata nel suo complessivo importo”.

La doglianza appare sfornita di fondamento; la difesa delle controparti aveva addirittura escluso di dover corrispondere la penale nella misura determinata dal primo giudice, se non altro in ragione del contestato computo del ritardo e, comunque, in ragione di variazioni richieste in corso d’opera; il complesso di tali profili, pur se non accolti nelle rispettive articolazioni, aveva in ogni modo posto in discussione l’entità della condanna quale risultante dal pieno accoglimento della domanda attorea.

La norma di cui all’art. 1384 c.c. poi prevede un potere officioso del giudice, che può pertanto esercitarlo proprio in ragione degli elementi processuali che le parti hanno offerto al suo giudizio e quindi comporta una valutazione che deve essere compiuta in esito al vaglio della situazione processuale nel suo complesso.

La censura comporta ovviamente un riferimento alla disposizione di cui all’art. 384 c.p.c., ma quella norma trova applicazione se e ove sia la Corte di cassazione a applicare una questione rilevabile di ufficio e non concerne invece il giudizio di merito, nel cui corso le parti, nella specie avevano affrontato la questione dell’ammontare della condanna sotto aspetti diversi, ma non collidenti con l’applicazione dell’art. 1384 c.c.; il motivo non può pertanto trovare accoglimento.

Il terzo mezzo (violazione del combinato disposto degli artt. 112 e 115, in relazione agli artt. 163 e 184 c.p.c.) è concluso con il seguente quesito: “…se viola il principio della disponibilità della prova e perciò il combinato disposto degli artt. 112 e 115 c.p.c. il giudice di appello che senza che ciò sia stato oggetto delle allegazioni e delle prove di parte e senza il previo rilievo della questione ed a termini di preclusione già scaduti disponga la riduzione della penale contrattuale ritenendola sproporzionata alla luce del materiale istruttorio che le parti avevano prodotto al fine di supportare domande e questioni del tutto diverse”.

In qualche modo, tale doglianza ripropone la stessa tematica affrontata a proposito del motivo precedente, atteso che, ancora una volta, si vorrebbe che la questione della sproporzione della penale fosse stata expressis verbis affrontata direttamente. La previsione normativa prevede un potere anche officioso del giudice al riguardo, potere che non può esplicitarsi se non in ragione del materiale probatorio raccolto; che sul profilo in esame non vi sia stato espresso dibattito non preclude l’esplicitazione del potere officioso del giudice e pertanto che il materiale probatorio, nell’intento delle parti potesse essere volto ad altri fini non può esercitare rilevo circa la correttezza nell’utilizzazione dello stesso.

Anche tale mezzo pertanto non può trovare accoglimento.

Il quarto motivo lamenta violazione del combinato disposto degli artt. 1382, 1384 e 2697 c.c. e si conclude con il seguente quesito:

….se il giudice che disponga la riduzione dell’ammontare della condanna – adottata in ragione della penale prevista per il ritardato adempimento del contratto di appalto – dando rilevanza alla circostanza che la parte creditrice non ha indicato quali pregiudizi siano concretamente derivati dal ritardo violi o meno il succitato disposto”.

La questione non tiene in alcun conto la circostanza secondo cui se è vero che la sentenza impugnata accenna anche a tale profilo, pure basa la sua decisione adottata officiosamente anche e principalmente sui rilievi attinenti alla sproporzione dell’ammontare della penale rispetto all’oggettiva consistenza dell’opera ed al prezzo contrattuale, elementi di per sè soli sufficienti a dar conto della riduzione operata e non contestati assolutamente in ricorsoli motivo non può pertanto trovare accoglimento.

Con il quinto mezzo, si lamenta contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia; sempre con riferimento all’ammontare della condanna si lamenta vizio motivazionale in relazione ai criteri adottati per giudicare la sproporzione già ricordata nel motivo che precede evidenziando le incongruenze che sarebbero riscontrabili sia in relazione ai parametri utilizzati, sia alla funzione della penale ed alla relativa indipendenza dell’ammontare della stessa in relazione all’importo che ne risulta.

Premesso che nella specie la questione finisce per lamentare una questione di merito, in buona sostanza contestandosi il criterio ritenuto dal giudice del merito confacente a dar conto di una riscontrata sproporzione, obiettivamente esistente, tra il prezzo dell’opera e l’ammontare della penale quale risultante dall’integrale applicazione dei criteri previsti in contratto, non si ravvisa la lamentata contraddittorietà, atteso che i parametri utilizzati appaiono del tutto congrui, al di là di qualche espressione forse imprecisa, di cui si è fatto uso, cosa questa che non vale a togliere valenza all’argomentare nel suo complesso.

Il sesto motivo, anch’esso, lamentante vizio motivazionale, investe ancora questione dell’ammontare della condanna, esprimendo in particolare la doglianza secondo cui la sentenza impugnata non chiarirebbe quale sia il materiale probatorio da cui i ricordati elementi di giudizio sarebbero stati verificati. A commento delle due doglianze da ultime esposte, devesi rilevare che a proposito della questione sollevata, sussiste discrezionalità del giudice del merito nel valutare la eccessività dell’importo della penale, che non risulta certo mal spesa utilizzando elementi probatori comunque acquisiti al processo, atteso che sarebbe piuttosto censurabile la contraria operazione, attuata senza il conforto di dati obiettivi, salva la ricordata discrezionalità del giudice del merito nella valutazione degli stessi (cfr. Cass. 16.3.2007, n 6158).

Anche tali motivi non possono quindi trovare accoglimento, cosa questa che comporta la reiezione del ricorso incidentale.

Venendo al ricorso incidentale dei Me., l’unico motivo in cui lo stesso si articola lamenta per un verso erronea motivazione circa la disposta compensazione delle spese processuali e, per altro verso, carenza di motivazione sullo stesso punto, evidenziando come i Me. non siano risultati soccombenti.

La motivazione adottata dalla Corte giuliana sul punto non fa esplicito riferimento alla posizione dei Me., limitandosi a parlare di reciproche soccombenze, peraltro effettivamente verificatesi tra le altre parti, e inoltre non ha violato il principio che vieta la condanna nelle spese nei confronti della parte totalmente vittoriosa, essendosi limitata ad una compensazione che rientra comunque nei poteri discrezionali del giudice.

In ragione di tanto il ricorso non può trovare accoglimento.

Sussistono validi argomenti, in ragione dell’esito complessivo del presente procedimento per cassazione, per compensare interamente tra le parti le spese relative.

P.Q.M.

riuniti i ricorsi, la Corte li rigetta e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2011

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