Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17046 del 05/08/2011

Cassazione civile sez. I, 05/08/2011, (ud. 10/06/2011, dep. 05/08/2011), n.17046

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.G., V.E. e G. quali eredi di

Va.Er. e M.M., elettivamente domiciliati

in Roma, via dei Banchi Nuovi 39, presso gli avv. Jannetti Del Grande

Giuseppe e Renato Mariani, che li rappresentano e difendono giusta

delega in atti;

– ricorrenti –

contro

Enel s.p.a. in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in Roma, via E.Q. Visconti 99, presso gli avv. CONTE

Ernesto ed Ilaria, che la rappresentano e difendono giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4510/05 del

24.10.2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10.6.2011 dal Relatore Cons. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. Mariani per i ricorrenti e Ernesto Conte per la

controricorrente;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 9.5.1991 Er. e V.G. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Roma l’ENEL, chiedendo il risarcimento del danno ovvero l’indennità per la costituzione di servitù, con riferimento all’intervenuta occupazione di un terreno di proprietà di essi attori, finalizzata alla costruzione di un elettrodotto.

L’ENEL, costituitasi in giudizio con richiesta riconvenzionale di costituzione di servitù, veniva condannata al risarcimento del danno da occupazione illegittima (protrattasi fino al 12.1.1993, data in cui era intervenuto il decreto prefettizio di costituzione della detta servitù) e la decisione (emessa il 17.6.1995),. impugnata da entrambe le parti, veniva poi confermata in sede di gravame con due sentenze (una non definitiva, l’altra definitiva), cui faceva seguito un ricorso per cassazione che, con ordinanza del 2.7.2004, veniva dichiarato inammissibile.

Nel corso del giudizio di primo grado, tuttavia, i V. avevano adito la Corte di Appello di Roma per la determinazione dell’indennità di asservimento, giudizio che veniva sospeso in attesa della definizione dell’altra causa iniziata nel 1991, ritenuta pregiudiziale.

A seguito della definizione di quest’ultima gli originari attori, con ricorso del 30.12.2004, chiedevano dunque la fissazione di udienza per la prosecuzione del processo, istanza contrastata dall’ENEL, pregiudizialmente, con eccezione di estinzione e, nel merito, sotto il profilo dell’infondatezza.

La Corte di appello, accogliendo l’eccezione pregiudiziale, dichiarava l’estinzione del giudizio, ritenendo che sul diritto dei V. alla percezione dell’indennità di asservimento (anzichè al risarcimento del danno) si fosse formato il giudicato a far tempo dalla, sentenza del tribunale del 17.6.1995, non impugnata sul punto (l’impugnazione era stata infatti proposta esclusivamente per quanto attinente alla determinazione dell’indennità), e che pertanto il termine semestrale normativamente fissato per la prosecuzione del giudizio fosse ampiamente decorso. Avverso la decisione G. V., V.E. e Ga., queste ultime due quali eredi di Er., proponevano ricorso per cassazione affidato a tre motivi, poi illustrati da memoria, cui resisteva l’ENEL con controricorso. La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 10.6.2011.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i tre motivi di impugnazione i ricorrenti hanno rispettivamente denunciato:

1) violazione dell’art. 307 c.p.c., u.c., art. 87 disp. att. c.p.c., e vizio di motivazione, per il fatto che a torto era stata considerata rituale l’eccezione dell’ENEL di estinzione del processo, e ciò in quanto proposta con memoria depositata in cancelleria il 17.2.2005, e non nell’udienza fissata per la prosecuzione, come si sarebbe dovuto;

2) violazione degli artt. 134, 297, 307 c.p.c. e vizio di motivazione, in quanto era stato notificato il solo dispositivo dell’ordinanza di sospensione, sicchè il termine iniziale di decorrenza del semestre avrebbe dovuto essere individuato in quello in esso indicato, vale a dire nella data del passaggio in giudicato della sentenza del tribunale nella sua interezza;

3) violazione degli artt. 295, 134 c.p.c. e vizio di motivazione, per l’omessa considerazione che nella specie era stata attribuita rilevanza alla motivazione del provvedimento, mentre nelle ordinanze “è il dispositivo ad avere rilevanza determinante”, nonchè per la mancata valutazione della pluralità dei motivi di pregiudizialità esistenti, pur espressamente rappresentati. Le censure sono infondate.

Per quanto concerne il primo motivo si osserva che ai sensi dell’art. 307 c.c., u.c. l’estinzione del processo, che opera di diritto, deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa, sicchè la relativa eccezione contenuta nella memoria depositata in data 17.2.2005, e cioè in data antecedente a quella dell’1.3.2005 fissata per la prosecuzione del processo, appare tempestivamente proposta.

Nè ha pregio, in senso contrario, il rilievo formulato dai ricorrenti, secondo cui l’eccezione avrebbe dovuto essere considerata come non proposta per essere stata formulata in modo irrituale (e cioè con memoria di costituzione) e per non essere stata reiterata nella sede propria, individuabile nell’udienza collegiale dell’1.3.2005. In proposito si rileva, infatti, che la sopra richiamata disposizione impone la prioritaria formulazione dell’eccezione (prima di ogni altra difesa), senza alcuna ulteriore prescrizione in ordine alle modalità della relativa proposizione, circostanza che induce a ritenere arbitraria ogni eventuale ulteriore limitazione; inoltre nel merito la deduzione appare errata, perchè non risponde al vero che la memoria di costituzione sarebbe irrituale, essendo al contrario espressamente prevista dall’art. 125 disp. att. c.p.c., n. 5 che disciplina la riassunzione della causa.

E’ ugualmente infondato il secondo motivo di impugnazione, con il quale è stata lamentata sia l’irregolare notificazione della comunicazione dell’ordinanza di sospensione del processo (che aveva avuto ad oggetto solo il dispositivo del detto provvedimento), che il mancato apprezzamento del fatto che sarebbe stato adempiuto quanto prescritto con la comunicazione in questione, atteso che il processo era stato riassunto entro il termine semestrale previsto, se valutato in relazione alla definitiva conclusione del primo giudizio.

Al riguardo occorre fare innanzitutto riferimento all’art. 134 c.p.c., comma 2, che impone al cancelliere di comunicare alle parti l’ordinanza pronunciata fuori udienza.

Quanto alle modalità di attuazione della comunicazione, soccorre l’art. 136 c.p.c., comma 1, che prevede che il cancelliere, con biglietto di cancelleria fa le comunicazioni prescritte da legge, giudice e pubblico ministero, e da notizia di quei provvedimenti (fra i quali quello in oggetto) “per i quali è disposta dalla legge tale forma abbreviata di comunicazione”. Ne consegue dunque che nel caso di ordinanza pronunciata fuori udienza (fra i quali rientra quello in esame) il legislatore ha previsto il semplice obbligo di comunicazione del provvedimento, addebitando pertanto alla parte l’onere di attivarsi per averne piena conoscenza, e che nella specie la notifica è stata effettuata ritualmente, essendo addebitabile esclusivamente alla parte interessata la mancata cognizione integrale del provvedimento di sospensione del processo.

Resta infine il terzo motivo di ricorso, rispetto al quale è sufficiente rilevare: per quanto concerne gli ulteriori profili di pregiudizialità che sarebbero stati rappresentati, che la doglianza è viziata sul piano dell’autosufficienza, stante la mancata indicazione dei detti profili e dei termini della relativa allegazione; per quanto riguarda il fatto che a torto sarebbe stata data prevalenza alla motivazione rispetto al dispositivo, che la censura è generica (non sono stati indicati elementi a sostegno della pretesa erroneità della decisione, denunciata essenzialmente per la non condivisa valutazione compiuta dal giudice del merito), infondata (atteso che l’ordinanza va interpretata ed eseguita nella sua globalità), sostanzialmente legata alla pretesa irritualità della comunicazione dell’ordinanza di sospensione, e quindi di fatto assorbita dall’affermata infondatezza di quest’ultima censura.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna solidale dei ricorrenti, soccombenti, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2011

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