Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17044 del 26/06/2019

Cassazione civile sez. III, 26/06/2019, (ud. 06/03/2019, dep. 26/06/2019), n.17044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19384-2017 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAVOIA,

33, presso lo studio dell’avvocato ANNA SCIFONI, che lo rappresenta

e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– ricorrente –

contro

INA ASSITALIA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3916/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/03/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato MATILDE COZZOLINO per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2005, C.A. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo del Tribunale di Roma n. 14515/2005, emesso nei propri confronti e nei confronti della sorella C.M.A. su istanza di Assitalia Le Assicurazioni d’Italia S.p.a., quale impresa designata della gestione dei danni a carico del Fondo di Garanzia Vittime della Strada, avente ad oggetto la restituzione delle somme versate dalla compagnia ad M.A., madre degli ingiunti, a seguito della sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2938/1997.

Espose che, con la suddetta sentenza., la Corte d’appello aveva condannato la Sanremo S.p.a. in l.c.a., per conto del Fondo di Garanzia, al pagamento in favore della M. di una somma (ulteriore rispetto a quella liquidata in primo grado) a titolo di risarcimento dei danni riportati a seguito di incidente stradale occorso nel 1977; che nella stessa sentenza, passata in giudicato, si affermava esplicitamente che il commissario liquidatore della Sanremo S.p.a. in l.c.a., in quanto investito dei poteri in deroga al D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, art. 9 conv. con modificazioni nella L. 26 febbraio 1977, n. 36, era attivamente e passivamente legittimato a stare in giudizio anche per conto del Fondo di Garanzia; che poichè l’impresa designata (Assitalia) non aveva adempiuto spontaneamente, la M. aveva promosso esecuzione forzata immobiliare; che, dopo il rigetto dell’istanza di sospensione dell’onerata, era stata rimessa alla creditrice procedente la somma decisa dalla Corte d’appello; che,1ssitalia aveva promosso opposizione all’esecuzione, assumendo che la danneggiata, quando il giudizio era stato interrotto a seguito della messa in liquidazione della Sanremo Assicurazioni, avrebbe dovuto notificare la pendenza dello stesso giudizio, L. n. 990 del 1969, ex art. 25 all’impresa designata per la gestione del Fondo di Garanzia; che il Tribunale di Roma, omettendo di tenere conto del giudicato della Corte d’appello sul punto, nonchè dei U.M. con cui il commissario liquidatore della Sanremo Assicurazioni S.p.a. era stato autorizzato a stare in giudizio in nome e per conto del Fondo di Garanzia, con sentenza n. 17956/2003, aveva accolto l’opposizione, dichiarando, nei confronti della M. (nonostante il giudizio fosse stato nelle more interrotto a causa del decesso della stessa), la nullità dell’atto di precetto e del pignoramento; che la sentenza non fu impugnata siccome coinvolgente la sola de cuius, mentre il ricorrente aveva già rinunciato all’eredità con atto del 22.10.2002; che Assitalia, all’esito del giudizio di opposizione all’esecuzione, aveva agito in sede monitoria, nella sua qualità di impresa designata alla gestione dei danni a carico del Fondo di Garanzia, contro C.M.A. e A., in quanto succeduti alla M.; che il Tribunale aveva pronunciato il decreto ingiuntivo opposto sulla scorta di allegazioni ingiuriose, oltre che inveritiere, poichè la difesa Assitalia si era spinta ad affermare che la M. avesse percepito indebitamente le somme versatele; che Assitalia aveva notificato il medesimo decreto ingiuntivo solo all’opponente, omettendo la notifica all’altra co-ingiunta.

Si costituì in giudizio, alla prima udienza, Ina Assitalia S.p.a. per conto del Fondo di Garanzia, la quale sostenne: la piena efficacia della sentenza n. 17956/2003 del Tribunale di Roma, a prescindere dal fatto che fosse stata testualmente pronunciata verso un soggetto defunto, essendo stato il giudizio riassunto nei confronti degli eredi; la tacita accettazione dell’eredità della M. da parte dell’opponente C.A., avendo lui continuato ad abitare presso lo stesso domicilio della madre, subentrando nel possesso dei beni ivi contenuti, in difetto di inventario nel termine trimestrale di cui all’art. 485 c.c.; l’inopponibilità della successiva rinuncia all’eredità da parte dello stesso C.. Chiese quindi il rigetto dell’opposizione.

Con la memoria ex art. 180 c.p.c., l’opponente eccepì che, a prescindere dalle difese svolte con l’opposizione, la pretesa restitutoria della compagnia assicuratrice avrebbe potuto essere ottenuta per l’intero solo se proposta nei confronti di tutti gli eredi della M., dovendosi invece limitare alla quota parte se diretta verso uno solo degli aventi causa.

Il Tribunale di Lodi, con la sentenza n. 1832/2009, respinse l’opposizione.

In particolare, il primo giudice affermò l’inefficacia della rinuncia, intervenuta quando il chiamato, che aveva continuato ad abitare nello stesso domicilio della defunta in (OMISSIS), aveva già acquistato la qualità di erede per possesso dei beni ereditari protratto per oltre tre mesi, a fronte del decesso avvenuti il (OMISSIS), in assenza di tempestivo inventario.

Il Tribunale rilevò inoltre che la sentenza da cui derivava l’obbligo restitutorio, pur essendo effettivamente nulla perchè pronunciata verso la parte defunta pur essendo stata la causa interrotta e riassunta verso gli eredi, era comunque efficace verso gli eredi stessi non essendo stata tempestivamente impugnata.

Secondo il giudice di primo grado, poi, il fatto che il decreto fosse stato pronunciato verso l’ingiunto per l’intera somma, seppure in solido con altra erede, pur in contrasto con il principio di cui all’art. 754 c.p.c., non rileverebbe, per non aver il C. eccepito la limitazione di responsabilità nei limiti della quota, legittimando il creditore a chiedere il pagamento dell’intero.

Era infondata anche l’eccezione in ordine al contrasto tra la sentenza che aveva statuito la nullità dell’esecuzione e quella precedente della Corte d’appello di Roma, in quanto tale contrasto avrebbe dovuto essere fatto valere con l’appello o con la revocazione verso la sentenza ritenuta contraria al precedente giudicato.

Il Tribunale respinse infine la richiesta di risarcimento del danno avanzata dall’opponente ai sensi dell’art. 89 c.p.c., non ravvisando contenuto offensivo nelle espressioni denunciate.

2. 1,a pronuncia è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma con la sentenza n. 3916/2017 del 13 giugno 2017.

La Corte territoriale ha ritenuto infondata l’eccezione di difetto di legittimazione processuale sollevata dal C. evidenziando che, con la procura conferita dal Presidente del CdA della società appellata al Dott. L.S. (il quale aveva rilasciato il mandato difensivo al legale della Compagnia a margine del decreto ingiuntivo introduttivo del giudizio di primo grado), era stata attribuita al procuratore la rappresentanza sia sostanziale sia processuale della società.

Il giudice di secondo grado ha poi osservato che la compagnia opposta, aveva tempestivamente eccepito l’inefficacia della rinuncia dell’opponente all’eredità materna nella propria comparsa di costituzione in primo grado, senza che vi fosse necessità di reiterare tale eccezione nel successivo termine ai sensi dell’art. 180 c.p.c., comma 2 nella formulazione allora vigente.

La Corte capitolina ha ancora evidenziato che il Tribunale aveva desunto il fatto che il C. avesse il domicilio nello stesso luogo dove era residente, domiciliata in vita e deceduta la madre, non dal report informativo Selex, documento irritualmente prodotto dalla Assitalia, bensì dal domicilio dichiarato dal C. nell’atto notarile di rinuncia all’eredità prodotto dallo stesso opponente.

Tale dichiarazione costituiva confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c., comma 1, liberamente valutabile dal giudice ex art. 116 c.p.c. e doveva essere apprezzata insieme ad altri elementi da cui emergeva inequivocabilmente che, alla data del decesso della M., il C. viveva con la madre (ovvero il certificato anagrafico del C., da cui risultava che egli fosse residente a quell’indirizzo dal 9.3.2000, nonchè la sentenza del Tribunale di Roma con cui era stata accolta domanda formulata dal C. nei confronti della M. ex art. 2932 c.c. per il trasferimento della proprietà dell’immobile sito al medesimo indirizzo, emessa il 15.5.2000).

Secondo la Corte, erano quindi irrilevanti le prove testimoniali articolate (comunque tardivamente solo con l’atto di appello), tendenti a dimostrare che invece la defunta abitava prima del decesso presso la figlia M., perchè ciò non escludeva che si trattasse di una coabitazione provvisoria, derivante dalle condizioni di salute dalla M.. Pertanto, l’identità del domicilio della de cuius e del chiamato – desunta dal fatto che il C. fosse divenuto proprietario dell’abitazione già della madre alcuni giorni prima del decesso, pur essendovi residente da circa due mesi prima – ed il legame parentale fra loro costituirebbero indizi gravi precisi e concordanti del possesso dei beni ereditari, rappresentati da quanto contenuto nell’abitazione della defunta che non fosse di proprietà dell’erede.

Peraltro, la Corte ha evidenziato che il C. aveva contestato tardivamente, solo con l’impugnazione, il fatto di aver avuto il possesso dei beni ereditari, allegato dalla compagnia opposta sin dalla comparsa di costituzione.

Il giudice di secondo grado ha inoltre osservato che nel giudizio di opposizione all’esecuzione promosso dall’Assitalia, il C. era stato ritualmente citato in veste di erede ai fini della riassunzione dopo il decesso della madre; che solo genericamente, nel presente giudizio, aveva dedotto l’illegittimità della pretesa monitoria per l’intera somma, non avendo egli indicato nominativamente gli effettivi eredi della madre, nè se vi era stata devoluzione legittima o testamentaria, non rilevando per l’individuazione della sua quota il solo fatto dell’esistenza di altri fratelli.

Quanto all’esistenza dei due giudicati contrastanti, la Corte d’appello ha rilevato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, in base al criterio temporale, il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo, a meno che la seconda sentenza non sia stata sottoposta a revocazione.

Di conseguenza, secondo la Corte, non rilevava il fatto che il C. avesse avuto notizia della sentenza del Tribunale di Roma del 2003 – che aveva accolto l’opposizione all’esecuzione ribaltando il principio affermato dalla Corte d’appello di Roma con la sentenza del 1997 – solo con la notifica del decreto ingiuntivo da cui è scaturita la presente controversia, e quindi a termini per impugnare o proporre revocazione ormai scaduti.

Non era poi vero che la sentenza del Tribunale 2003 fosse inesistente perchè formalmente emessa nei confronti della M., già deceduta, e quindi in un giudizio estinto. Infatti, il fatto che la sentenza fosse stata intestata alla M. costituiva mero errore materiale, emergendo dai verbali di quel giudizio che il decesso era stato dichiarato ed il giudizio interrotto e poi ritualmente riassunto nei confronti dell’erede C..

1,a Corte di Roma, inoltre, ha ritenuto non offensive le espressioni denunciate dall’opponente. Infatti, secondo il giudice del merito, dire che la M. aveva indebitamente percepito, a seguito dell’esecuzione, la somma di cui alla condanna portata dalla sentenza della Corte d’appello del 1997, a fronte della successiva sentenza del Tribunale 2003, che aveva accolto l’opposizione all’esecuzione di A’ssitalia, significa solo richiamare l’istituto del pagamento dell’indebito, in base al quale è stato azionato il d.i. opposto; dire poi che il C. aveva ritenuto di rimanere contumace nel giudizio ex art. 615 c.p.c. dopo la notifica dell’atto di riasssunzione, evidenzia un fatto obiettivo, privo di portata offensiva.

Secondo la Corte, infine, l’eccezione di compensazione con quanto dovuto da Assitalia in virtù della sentenza della Corte d’appello di Roma del 1997 era inammissibile ex art. 345 c.p.c., comma 2, oltre che infondata, a fronte della sentenza del Tribunale di Roma del 2003, che escludeva l’esistenza di alcun credito verso la compagnia assicurativa.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione, sulla base di tredici motivi, illustrati da memoria, il signor C.A..

3.1. L’intimata Ina Assitalia S.p.a. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti” e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione di legge: art. 81 c.p.c. ed art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla domanda”.

11 C., in appello, aveva contestato la legittimazione ad agire di Assitalia per il recupero di somme di spettanza del Fondo di Garanzia, in quanto, quale impresa designata, non sarebbe titolare delle somme del Fondo stesso, essendo chiamata soltanto a gestire e liquidare i sinistri stradali.

Il motivo sarebbe stato raccolto dalla Corte in sede di discussione dell’istanza inibitoria, tanto che si era onerata Assitalia della produzione in giudizio di documenti atti a verificare la sua legittimazione alla lite (il provvedimento ISVAP di designazione alla gestione del Fondo di Garanzia).

La sentenza impugnata, invece, avrebbe motivato con riferimento ad una diversa eccezione, attinente solo alla procura ad litem rilasciata dal legale rappresentante di Assitalia ai difensori.

Assitalia avrebbe agito in sede monitoria sine titolo, in quanto non si sarebbe trattato della gestione di un sinistro, bensì del recupero di somme di cui però la stessa compagnia non era titolare, spettando esse al Fondo, costituente distinto portafoglio presso la Consap.

Il giudice del merito, inoltre, avrebbe omesso di considerare la circostanza dell’avvenuta refusione, da parte del Fondo di Garanzia, delle somme pagate da Assitalia in forza della sentenza della Corte d’appello di Roma del 1997. Tale circostanza confermerebbe la carenza di legittimazione attiva di Assitalia, la sua mancanza d’interesse e il venir meno del contendere con l’impresa designata.

Il pagamento da parte del Fondo, estraneo rispetto al giudizio di opposizione all’esecuzione, avrebbe posto nel nulla l’azione monitoria. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, poichè il ricorrente omette di riportare i termini esatti in cui aveva sottoposto al giudice di appello la questione della legittimazione attiva di Assitalia, nonchè di trascrivere il contenuto della comparsa in appello di Assitalia, nella quale si darebbe conto dell’avvenuta:refusione da parte del Fondo delle somme pagate dalla compagnia assicuratrice.

In ogni caso, il motivo è anche infondato.

Al riguardo, è utile richiamare alcuni principi fondamentali in tema di assicurazione della r.c.a., recentemente sintetizzati da Cass. civ. Sez. III, 13-01-2015, n. 274.

L’impresa designata di cui alla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 19 (oggi abrogato e trasfuso nell’art. 286 Cod. Ass..) non è un rappresentante del Fondo di garanzia (che del resto non ha personalità giuridica), nè dell’ente che lo gestisce (Consap s.p.a.).

Sebbene il Fondo di garanzia per le vittime della strada sopporti il peso finale dei risarcimenti pagati agli aventi diritto, salvo casi eccezionali esso non assume alcuna obbligazione diretta nei confronti di questi ultimi. L’impresa designata è il vero soggetto passivo del rapporto sostanziale con il danneggiato. Per effetto dell’atto di designazione e del verificarsi del sinistro, essa acquista la qualità di soggetto passivo sia dell’azione risarcitoria, sia dell’azione esecutiva (Cass. civ., Sez. 3, 20/06/2008 n. 16798).

L’impresa designata non è quindi un rappresentante del Fondo, nè quando risarcisce la vittima adempie una obbligazione altrui: essa paga in nome proprio il debito proprio, sebbene tale pagamento avvenga nell’interesse del Fondo, il quale pertanto è tenuto a rifonderne l’importo all’impresa designata (art. 286, comma 2, Cod. Ass.).

Da ciò deriva che l’Assitalia, correttamente individuata quale unico soggetto passivo nella procedura esecutiva., era sicuramente legittimata a proporre opposizione avverso la stessa procedura, all’esito positivo dell’opposizione, agire per il recupero delle somme forzosamente corrisposte.

4.2. Con il secondo motivo, il ricorrenti si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della “violazione art. 116 c.p.c.per omessa valutazione del provvedimento ISVAP”.

La Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare il provvedimento ISVAP del 28 dicembre 2006, con il quale Assitalia era stata designata per il Lazio alla liquidazione dei danni per i sinistri a carico del Fondo avvenuti nel triennio 2007/2009.

Con detto provvedimento, peraltro relativo ad un periodo successivo all’introduzione del procedimento monitorio, risalente al 2005, nonchè al sinistro, avvenuto nel 1979, non sarebbe stato conferito alcun potere dispositivo o gestorio delle somme appartenenti al Fondo, nè sarebbe stata conferita procura al recupero giudiziale di somme verso terzi, in nome e per conto del Fondo stesso.

Pertanto, dall’esame di tale provvedimento, e in mancanza di documenti giustificativi della legittimazione all’azione restitutoria in capo ad Assitalia, la Corte avrebbe dovuto dichiarare la nullità insanabile della sentenza impugnata.

Il motivo è infondato.

Risulta infatti incontestato che:1ssitalia fosse l’impresa designata quando la società assicuratrice del veicolo responsabile (la Sanremo S.p.a.) fu posta in liquidazione coatta amministrativa.

Tanto è vero che proprio contro tale compagnia assicuratrice la vittima del sinistro agì in esecuzione della sentenza di condanna al risarcimento.

4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione art. 166 c.p.c. in coordinamento con l’art. 167 c.p.c.”.

La Corte avrebbe violato il combinato disposto delle suddette norme per aver ritenuto ammissibile l’eccezione di nullità/inopponibilità della rinuncia all’eredità da parte del C., sollevata da Assitalia con comparsa depositata alla prima udienza di comparizione, oltre il termine di cui all’art. 163 c.p.c., n. 7 e non reiterata nel termine di cui alla comparsa ex art. 180 c.p.c..

Secondo la giurisprudenza, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., nella formulazione applicabile ratione temporis, il convenuto che si costituisce tardivamente decadrebbe dalla facoltà di proporre domande riconvenzionali ma non le eccezioni. Tuttavia, quelle processuali e di merito non rilevabili d’ufficio dovrebbero essere proposte, al più tardi, nell’intervallo tra l’udienza di prima comparizione ex art. 180 e quella di trattazione ex art. 183 c.p.c., ovvero nel termine appositamente stabilito dal giudice istruttore (non inferiore a venti giorni prima dell’udienza di trattazione).

Il motivo è infondato.

Come riconosce lo stesso ricorrente, l’eccezione di inopponibilità della rinuncia era stata sollevata da Assitalia con la comparsa di costituzione depositata alla prima udienza di comparizione, quindi anteriormente allo spirare del termine previsto per le eccezioni non rilevabili d’ufficio. Nè, contrariamente a quanto sembra volersi intendere con il ricorso, sussiste un obbligo di reiterare simili eccezioni nella memoria di cui all’art. 180 c.p.c., comma 2, nella formulazione anteriore alla L. 14 maggio 2005, n. 80.

4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione e falsa applicazione art. 2735 c.c., art. 112 c.p.c., art. 115, comma 1 e art. 116 c.p.c.”.

I,a motivazione della sentenza impugnata, laddove afferma l’esistenza della prova dell’identità di domicilio del C. e della di lui madre – e quindi della loro coabitazione al momento del decesso di quest’ultima, quale presupposto della tacita accettazione dell’eredità – sarebbe incongrua ed errata.

L’atto di rinuncia all’eredità, da cui i giudici del merito avrebbero tratto il domicilio del C. risalirebbe a due anni e mezzo dopo il decesso della M..

Inoltre, agli atti risulterebbe che la madre del C. avrebbe avuto il proprio domicilio presso la figlia M. in (OMISSIS), sin dal 4.11.1994 (data di notifica dell’atto introduttivo dell’azione ex art. 2932 c.c. per la retrocessione dell’immobile di (OMISSIS) che la M. avrebbe acquistato per conto del figlio e con provvista di quest’ultimo). La residenza anagrafica della defunta avrebbe risposto solo ad esigenze di natura fiscale.

La Corte, inoltre, avrebbe ignorato gli ulteriori documenti da cui si evinceva che l’effettivo domicilio della M. all’epoca della morte era presso l’abitazione della figlia M. (cartella clinica presso l’Ospedale dove era stata ricoverata, dichiarazione del medico di base).

Il giudice di secondo grado, quindi, non solo non avrebbe posto a fondamento della decisione tutti i fatti e gli elementi disponibili prodotti dalle parti, ma avrebbe aprioristicamente operato una selezione degli stessi, conferendo al cerificato di residenza prodotto da Assitalia il valore di prova presuntiva fino a prova contraria della coabitazione, per poi escludere la rilevanza della prova contraria della stessa, sulla base di un fatto (che la coabitazione con la figlia M. fosse solo provvisoria e legata alle cattive condizioni di salute della M.) nemmeno allegato da Assitalia.

4.5. Con il quinto motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della “violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c.”, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 dell’omesso esame fatto decisivo, discusso in causa; violazione e falsa applicazione art. 2932 c.c., in riferimento all’art. 1706 c.c., comma 2 e art. 2652 c.c., comma 1, nn. 2 e 3″.

Erroneamente la Corte d’appello avrebbe dedotto il possesso dei beni ereditari dalla circostanza, invece irrilevante perchè non univoca, che l’immobile di (OMISSIS) era passato di proprietà al C. dalla M. alcuni giorni prima del decesso di quest’ultima. Una simile presunzione sarebbe stata effettuata sulla base di fatti contestati. Mancava infatti la prova che la M. avesse mai effettivamente abitato nel suddetto immobile, a lei solo simulatamente intestato.

Peraltro, la stessa M. non avrebbe mai abito il possesso dell’immobile in questione in quanto il vero proprietario e possessore sarebbe stato il ricorrente, fin dalla data dell’acquisto, avvenuto per suo conto.

4.6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione e falsa applicazione art. 115 c.p.c..

La corte d’appello avrebbe dato per scontata, in assenza di qualsiasi prova, l’esistenza di beni ereditari nell’immobile di (OMISSIS).

Inoltre, non vi sarebbe alcuna prova in atti che indichi che all’indirizzo dove madre e figlio avrebbero avuto il domicilio vi fosse un unico interno.

I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono tutti inammissibili per difetto di interesse.

La sentenza impugnata, infatti, ha confermato la sentenza di primo grado in ordine alla ritenuta inefficacia della rinuncia all’eredità da parte del C., per il possesso dei beni ereditari protratto oltre i termini di cui all’art. 485 c.c., sulla base di una duplice argomentazione: – da un lato, dalla documentazione in atti emergeva l’identità di domicilio del ricorrente e della madre al momento del decesso di quest’ultima e negli anni successivi, con la conseguenza che si poteva presumere che, all’apertura della successione, egli fosse entrato in possesso dei beni ereditari, costituiti quanto meno da quelli contenuti nell’abitazione comune che non fossero di proprietà del C.;

– dall’altro lato, il C. aveva contestato tardivamente, solo con l’impugnazione, il fatto, allegato dalla compagnia opposta sin dalla comparsa di costituzione, di aver avuto possesso dei beni ereditari.

Con i motivi sopra illustrati, il ricorrente ha censurato la prima delle suddette argomentazioni, ma non la seconda.

Trova quindi applicazione il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. civ. Sez. U., 20-12-2017, n. 30589; Cass., Sez. U, 29 marzo 2013, n. 7931; Cass., 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass., 2 novembre 2011, n. 3386).

4.7. Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo” e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione art. 754 c.p.c. e art. 115 c.p.c.”.

Erroneamente la Corte territoriale avrebbe addebitato al C. la mancata indicazione degli altri coeredi della M..

Infatti, i nominativi delle coeredi sarebbero stati noti ad Assitalia, avendo questa chiesto ed ottenuto l’ingiunzione anche a carico di C.M.A., ed emergendo anche da altri documenti agli atti il nominativo della terza erede, M. C., quale effettiva convivente della defunta, nonchè dell’altro fratello (premorto) V..

Sarebbe il creditore a dover agire contro tutti i coeredi allorchè gli siano stati indicati, o siano altrimenti noti, ancor più se l’erede ingiunto abbia prontamente eccepito la limitazione di responsabilità entro la quota ereditaria.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’onere di indicare al creditore il nominativo del coerede sussisterebbe quando gli altri coeredi non siano stati colpiti dall’azione del creditore, mentre nel caso di specie, Assitalia aveva agito in sede monitoria anche contro la sorella del C..

Il motivo è fondato.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la norma di cui all’art. 754 c.c. deve però essere interpretata nel senso che il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha l’onere di indicare al creditore la sua condizione di coobbligato passivo entro i limiti della propria quota, con la conseguenza che, integrando tale dichiarazione gli estremi dell’istituto processuale della eccezione propria, la sua mancata proposizione consente al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l’intero (cfr., tra le più recenti, Cass. civ. Sez. III, 31-032015, n. 6431).

E nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto che una simile eccezione non fosse stata validamente dal C., il quale aveva solo sostenuto genericamente l’illegittimità della pretesa monitoria per l’intera somma, non fornendo però alcuna indicazione per l’individuazione della propria quota. Ma tale principio, in realtà, non poteva essere applicato perchè la controparte era a conoscenza dell’esistenza dell’altra coerede rilevando, per l’appunto, il fatto che la compagnia assicuratrice fosse a conoscenza dell’esistenza di altri figli della M. oltre ad C.A..

4.8. Con l’ottavo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione art. 2909 c.c.; art. 474 c.p.c. e art. 615 c.p.c.; violazione D.L. n. 857 del 1976, artt. 9 e 13”.

I giudici del merito, ritenendo prevalente il secondo giudicato (sentenza del Tribunale di Roma del 2003) rispetto al primo (sentenza della Corte d’appello di Roma del 1997) avrebbero obliterato il significato dell’art. 2909 c.c., ammettendo la possibilità che un secondo giudice si pronunci sulla stessa questione, in contrasto con il primo.

Peraltro, nel giudizio di opposizione all’esecuzione, non sarebbe stato possibile contestare il contenuto decisorio del titolo esecutivo giudiziale.

In ogni caso, la sentenza del Tribunale di Roma del 2003, passata in giudicato nei confronti della M., sarebbe inefficace nei confronti del C., che non sarebbe mai stato erede della defunta madre perchè rinunciante all’eredità.

Il motivo è infondato.

I7. Il principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, ove sulla medesima questione si siano formati due giudicati contrastanti, al fine di stabilire quale dei due debba prevalere occorre fare riferimento al criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo, sempre che la seconda sentenza contraria ad altra precedente non sia stata sottoposta a revocazione, impugnazione questa che è consentita soltanto ove tale seconda sentenza non abbia pronunciato sulla relativa eccezione di giudicato (Cass. civ. Sez. Unite, 18-11-2015, n. 23538; Cass. 08 maggio 2009, n. 10623; Cass. 19 novembre 2010, n. 23515).

La sentenza impugnata si e conformata al suddetto principio.

Nè e vero che il secondo giudicato (portato dalla sentenza del Tribunale di Roma del 2003) non fosse opponibile al ricorrente per non essere questo divenuto erede della M..

Alla luce del rigetto dei motivi di ricorso dal quarto al sesto, risulta infatti definitivamente accertato che il C., prima della rinuncia all’eredità, avvenuta oltre un anno e mezzo dopo l’apertura della successione, aveva avuto il possesso di beni ereditari della M., protrattosi oltre i termini di cui all’art. 485 c.c.. Pertanto, ai sensi della stessa norma, egli doveva essere considerato erede puro e semplice, con conseguente inefficacia della successiva rinuncia.

4.9. Con il nono motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione L. n. 990 del 1969, art. 20, comma 1 ora D.Lgs. n. 209 del 2005Codice delle assicurazioni Private, art. 28, commi 2 e 5 ora art. 285, commi 1 e 2, art. 286, commi 1 e 2”.

La sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto sussistente e validamente esercitato una legittimazione ed un potere di Assitalia, in realtà non previsti nè dalla normativa vigente al momento della richiesta e della pronuncia del decreto ingiuntivo opposto, nè dalla normativa ora vigente, contenuta nel Codice delle assicurazioni private.

In base ad entrambe le normative, le imprese designate alla liquidazione delle somme dovute per i sinistri coinvolgenti il Fondo di Garanzia non avrebbero alcun potere di amministrazione, gestione o disposizione sulle somme del Fondo, ma si limiterebbero ad eseguire i pagamenti, che poi sarebbero rimborsati dalla Consap, gestore del Fondo.

In ogni caso, sarebbe incontestabile l’esistenza del titolo risarcitorio in favore della M. (ovvero la sentenza della Corte d’appello di Roma del 2003), nonchè l’opponibilità dello stesso all’impresa designata.

Il motivo è infondato.

Come si è visto in relazione al primo motivo di ricorso, Assitalia, quale impresa designata dal Fondo di Garanzia, era stata correttamente individuata quale soggetto passivo dell’azione esecutiva promossa dalla M.. Pertanto, la stessa risultava pienamente legittimata a proporre opposizione avverso l’esecuzione e, all’esito della stessa, ad agire per la restituzione delle somme forzosamente corrisposte alla vittima dell’incidente.

Occorre poi rilevare che, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, in forza della sentenza del Tribunale di Roma del 2003 che ha deciso sull’opposizione all’esecuzione promossa dalla stessa compagnia assicuratrice, non è opponibile all’Assitalia, nella qualità di impresa designata, il titolo risarcitorio originariamente vantato dalla M. (portato dalla sentenza della Corte di appello di Roma del 1997).

4.10. Con il decimo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione e falsa applicazione art. 476 c.c..

Al momento della notifica del ricorso in riassunzione del giudizio di opposizione all’esecuzione, il C. aveva già rinunciato all’eredità della madre e quindi non sarebbe stato legittimato a costituirsi ad impugnare il titolo ottenuto da Assitalia verso la M.. Erroneamente, quindi, la Corte d’appello avrebbe fatto discendere effetti negativi dalla scelta del ricorrente di non costituirsi in quel giudizio.

Il motivo è infondato, alla luce del definitivo accertamento dell’inefficacia della rinuncia all’eredità, per le ragioni indicate in relazione ai motivi dal quarto al sesto.

4.11. Con l’undicesimo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 89 c.p.c., art. 52 Codice Deontologico Forense, ex L. 31 dicembre 2012, n. 247; art. 2, comma 4 e art. 3 Ordinamento Forense.

La pronuncia impugnata, nella parte in cui nega l’offensività delle espressioni utilizzate dal difensore di Assitalia ritenendo che effettivamente la M. aveva indebitamente percepito le somme dalla stessa compagnia, sarebbe contrastante con il giudicato portato dalla sentenza della Corte d’appello del 1997, con la quale alla M. era stato riconosciuto il maggior danno per il sinistro stradale del 1977.

La Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che l’avvocato, nell’esercizio della propria attività, è soggetto alla legge, nonchè alle regole deontologiche, che vietano l’utilizzo di espressioni sconvenienti o offensive.

Le espressioni lesive dell’onorabilità della M. e della libertà di agire in giudizio dell’appellante non sarebbero state in alcun modo strumentali alla difesa dell’Assistalia e non sarebbero fondate su fatti inoppugnabili, ma denoterebbero un intento dispregiativo e quindi un abuso del diritto di difesa e di critica.

Il motivo è inammissibile, sia perchè il ricorrente non trascrive le espressioni asseritamente lesive della propria onorabilità e di quella della madre, sia perchè, comunque, riguarda valutazioni di merito, non censurabili in sede di legittimità.

4.12. Con il dodicesimo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione art. 2909 c.c. e falsa applicazione 115 c.p.c.”.

La Corte avrebbe errato nell’escludere l’esistenza del credito del ricorrente verso il Fondo di Garanzia a causa del sinistro della defunta madre, pur riconoscendolo come erede della stessa.

La sentenza del Tribunale di Roma del 2003 non avrebbe riformato la precedente sentenza della Corte di appello di Roma del 1997, avendo riguardato soltanto la pretesa inopponibilità della stessa al Fondo di Garanzia e non la causa o la misura del credito vantato dalla M..

Se si pretendesse la restituzione di quanto versato alla danneggiata, gli eredi sarebbero comunque creditori delle somme oggetto di liquidazione con la sentenza della Corte d’appello di Roma del 1997. Tale sentenza sarebbe opponibile ad Assitalia in quanto costituita nella veste di impresa designata alla liquidazione dei sinistri del fondo.

L’eccezione di compensazione sarebbe ammissibile anche se formulata per la prima volta in secondo grado, perchè tende esclusivamente a paralizzare, in tutto o in parte la domanda avversaria.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, perchè il ricorrente omette di trascrivere la sentenza del Tribunale di Roma del 2003.

In ogni caso, il motivo è infondato, perchè come si è visto, alla luce del passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Roma del 2003, non è opponibile all’Assitalia, quale impresa designata alla liquidazione dei sinistri del Fondo, la precedente sentenza della Corte di appello di Roma del 1997.

4.13. Con il tredicesimo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 91 e 112 c.p. e art. 132 c.p., comma 2, n. 4.

La sentenza impugnata non indicherebbe le voci specifiche di liquidazione delle spese del grado di appello (spese, compensi ed onorari per singola fase e scaglione di riferimento), con conseguente impossibilità di riscontrare l’applicazione corretta delle tabelle di cui al D.M. n. 55 del 2014.

Il motivo è inammissibile.

Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite (tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi), sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. civ. Sez. I, 11/05/2017, n. 11538).

Nel caso di specie, peraltro, la Corte d’appello ha applicato correttamente le tabelle di cui al D.M. n. 55 del 2014, avendo essa liquidato le spese di lite in un importo complessivo esattamente corrispondente al valore medio indicato nelle stesse tabelle per lo scaglione di riferimento (da Euro 26.001 ad Euro 52.000) ed avendo correttamente giustificato l’applicazione della misura media in relazione alla complessità, alla natura e al valore della controversia.

5. Pertanto la Corte accoglie il settimo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Roma, diversa sezione.

P.Q.M.

Pertanto la Corte accoglie il settimo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata come in motivazione e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Roma, diversa sezione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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