Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17040 del 05/08/2011

Cassazione civile sez. I, 01/09/2011, (ud. 12/05/2011, dep. 01/09/2011), n.18002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13592/2005 proposto da:

S.A.C.E.D. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. POLLAIOLO 3, presso

l’avvocato BARBERIS Riccardo, che la rappresenta e difende, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1768/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato F. PIROCCHI, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Saced s.r.l. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma l’A.N.A.S., Ente Nazionale per le Strade, esponendo: a) che aveva stipulato il 27.2.1996 con detto Ente il contratto per il completamento di (OMISSIS) della Variante (OMISSIS) e che i lavori erano stati consegnati in data 1.2.1996; b) che già in tale sede aveva dovuto esprimere una riserva, in quanto la progettazione risultava inadeguata ” non contenendo con esattezza le necessarie indicazioni di carattere planoaltometrico e geometrico nè i necessari presupposti progettuali in ordine al sistema di fondazione relativo ai pali di diametro 1000″; c) che in particolare le sottofondazioni originariamente indicate nei grafici come pali di piccolo diametro identici a quelli già utilizzati per tutti i lotti adiacenti erano state precariamente corrette a mano con pali di grande diametro (1000) e lunghezza (m. 18) in numero variabile da pila a pila; d) la geometria dei plinti di fondazione era risultata del tutto incompatibile con il diametro ed il numero dei pali di sottofondazione indicati nel progetto; e) che il capitolato speciale di appalto prevedeva che l’appaltatore procedesse alle verifiche di stabilità di tutte le opere incluse nell’appalto, elaborandone i particolari esecutivi, e procedesse per le opere di fondazione alla esecuzione di indagini geognostiche di controllo e verifiche; f) che con nota del 23.2.1996 aveva chiesto all’A.N.A.S. di risolvere i problemi evidenziati dai quali discendeva la ineseguibilità del progetto, ma questa non aveva dato alcun riscontro ed anzi, con ordine di servizio n. 1 del 20.2.1996, aveva ordinato di eseguire le verifiche di stabilità e, con ordine di servizio n. 2 del 27.2.96, aveva richiesto di dare comunque corso alla esecuzione delle pile n. 13 e 14; g) che conseguentemente, il 15.5.96 aveva trasmesso le verifiche di stabilità effettuate in ordine a tali pile, conformemente alla tipologia di fondazione indicata in sede di progetto; h) che solo al momento di procedere al getto del palo era emerso che l’A.N.A.S. non aveva proceduto al deposito al Genio Civile delle suddette verifiche di stabilità, per cui aveva dovuto reinterrare il palo perforato non potendosi lasciare il foro aperto per motivi di sicurezza; i) che con ordine di servizio n. 3 dell’8.7.1996 era stata richiesta la redazione del progetto esecutivo delle opere, in violazione degli accordi che non demandavano siffatti obblighi all’appaltatore, sebbene i lavori fossero stati affidati sulla base di un progetto esecutivo; 1) che comunque il 24.9.96 aveva consegnato il progetto esecutivo modificato, in cui erano state apportate le necessarie variazioni ed integrazioni per rendere eseguibile il progetto; m) che con nota del 24.9.96, non avendo ricevuto alcun riscontro, aveva rappresentato alla stazione appaltante la situazione di incertezza venutasi a creare e la situazione di fermo dei lavori, e, con ordine di servizio n. 4 del 2.11.1996, il committente aveva richiesto l’invio di nuova progettazione esecutiva secondo le previsioni del progetto iniziale (pali di cemento 1000 al posto di quelli di diametro 300 previsti dall’impresa); n) che aveva realizzato il nuovo progetto, comportante necessariamente un aumento dei costi (del 50% circa) e dei tempi di realizzazione, dichiarandosi disponibile all’esecuzione solo dopo specifico ordine di servizio; o) con nota del 7.1.97 la direzione dei lavori aveva chiesto l’esecuzione di prova di carico su un piano pilota e con nota del 17.1.97 l’A.N.A.S. aveva ordinato l’esecuzione della prova entro il termine impossibile di sette giorni; p) con atto di messa in mora del febbraio 1997 essa attrice aveva diffidato il committente a prendere i necessari provvedimenti per l’approvazione del progetto redatto a seguito delle carenze rilevate, per la ridefinizione dei tempi di appalto e per il riconoscimento dei maggiori oneri subiti, come indicato nelle riserve già formulate o in corso di formulazione.

Chiedeva, pertanto, che venisse dichiarata la risoluzione del contratto per fatto e colpa della committente, con condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni ed al ristoro dei maggiori oneri sopportati.

Costituitasi in giudizio, parte convenuta chiedeva il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna della controparte al risarcimento dei danni derivanti dai maggiori oneri per la stipula di un nuovo contratto di appalto e per la realizzazione dei lavori.

Il Tribunale adito, rilevata la nullità della pattuizione per impossibilità dell’oggetto, rigettava tutte le domande delle parti.

Detta sentenza veniva impugnata dalla S.A.C.E.D. s.r.l. dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, che rigettava il gravame.

Avverso detta sentenza la S.A.C.E.D. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. L’A.N.A.S. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 5, e della L. n. 109 del 1994, art. 25, nonchè delle norme e regole in materia di adempimento dei contratti con prestazioni corrispettive, omessa motivazione sulle conseguenze in tema di risoluzione contrattuale della accertata carenza della progettazione a base di appalto.

Deduce la ricorrente che la ricostruzione del fatto operata dal giudice a quo evidenzierebbe la responsabilità della stazione appaltante per avere affidato un appalto sulla base di un progetto gravemente carente sia in ordine alla indicazione delle opere da eseguire, sia in ordine alla verifica delle condizioni di eseguibilità delle stesse alle condizioni previste. Tale ricostruzione dei fatti avrebbe dovuto portare il giudice di merito a pronunciare la risoluzione del contratto per inadempimento e condannare la stazione appaltante al risarcimento del danno e non, come fatto, ad una pronuncia di nullità, rappresentando la progettazione corretta ed esauriente preciso obbligo gravante sulla stazione appaltante per effetto del contratto stipulato con la S.A.C.E.D..

Detta carenza progettuale era stata rilevata soltanto dopo la consegna dei lavori ed avrebbe obbligato l’A.N.A.S. a redigere, come richiesto, le necessarie varianti della L. n. 109 del 1994, ex art. 25, comma 1, lett. d), per rendere il progetto realmente esecutivo e non completamente irrealizzabile quale esso era in sede di consegna dei lavori.

L’A.N.A.S., pur consapevole delle carenze progettuali, anzichè predisporre le necessarie varianti, aveva ripetutamente intimato alla impresa appaltatrice di effettuare la sua prestazione, procedendo alla esecuzione dei lavori.

Pertanto nel caso di specie l’impedimento alle prestazioni contrattuali invalidante il contratto non sarebbe indipendente dal comportamento delle parti, dipendendo invece esclusivamente dal comportamento gravemente negligente del committente.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza per mancata statuizione sulle domande di risoluzione per colpa conseguenti alla accertata colpa grave e inadempimento contrattuale dell’A.N.A.S..

Deduce la ricorrente che la ricostruzione operata in fatto mostrerebbe chiaramente come sussista responsabilità dell’A.N.A.S. nell’avere affidato un appalto sulla base di un progetto carente, come accertato dalla CTU effettuata in primo grado, secondo la quale il progetto A.N.A.S. presenterebbe carenze ed omissioni relativamente al sistema di fondazione con riguardo alla non consigliabile esecuzione dei pali di grande diametro.

Detta responsabilità deriverebbe dall’inadempimento contrattuale, essendo la progettazione esecutiva, ai sensi della L. n. 109 del 1994, art. 19, obbligo della stazione appaltante preliminare alla gara. Gli impedimenti al corretto ed organico sviluppo della attività di cantiere sarebbero, pertanto, una conseguenza della mancata cooperazione da parte del committente nella predisposizione delle condizioni necessarie per l’adempimento del progetto, che costituirebbe parte integrante del contratto e che identifica l’obbligazione posta a carico dell’appaltatore.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza per mancata statuizione sull’accertato inadempimento dell’A.N.A.S. per mancata approvazione delle varianti necessarie e obbligatorie.

Nullità della sentenza per mancata decisione sulle domande della impresa attrice i cui presupposti erano stati accertati dalla CTU. Deduce la ricorrente che l’A.N.A.S. avrebbe illegittimamente imposto una impossibile esecuzione del contratto, tenendola in sospensione dei lavori e procurando alla stessa,

PQM

per tale motivo

fermo di macchinari, attrezzature, personale improduttivamente pagato, oltre a non avere potuto assumere altri appalti.

Nel momento in cui la S.A.C.E.D. ha fatto presente l’esistenza di vizi del progetto, l’A.N.A.S. avrebbe proceduto alla risoluzione del contratto, incamerando la cauzione.

In primo grado la ricorrente avrebbe chiesto la declaratoria di illegittimità di tale risoluzione per colpa, nonchè il risarcimento dei danni subiti nel corso del rapporto per la paralisi improduttiva della organizzazione di cantiere imputabile a colpa della stazione appaltante, avendo imposto la esecuzione di un progetto, relativo alla costruzione di un viadotto, che era risultato gravemente errato.

Se il progetto fosse stato realizzato, il viadotto sarebbe crollato.

Su tali domande si sarebbe omesso di provvedere.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia illegittimità della sentenza impugnata per omesssa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla accertata inadempienza colpevole della committente A.N.A.S..

Deduce la ricorrente che la Corte d’Appello avrebbe omesso di pronunciarsi in ordine alla responsabilità dell’A.N.A.S., resa evidente dalla ricostruzione in fatto operata dalla sentenza di primo grado.

Avrebbe inoltre insufficientemente ed illogicamente motivato la ritenuta nullità del contratto per impossibilità della prestazione, non avendo verificato la applicabilità nel caso di specie della normativa di settore.

Non avrebbe considerato che il committente sarebbe venuto meno al dovere di cooperazione, ponendo l’appaltatore in condizione di eseguire l’opera nei tempi previsti, non avendo mai dato seguito ai rilievi sulla ineseguibilità delle fondazioni, già contenuti nel progetto generale dell’opera e poi verifìcati a seguito delle indagini geognostiche.

La mancata cooperazione integrerebbe una ipotesi di mora accipiendi, con gli effetti a questa ricollegabili, consistenti, tra l’altro, nel riconoscimento dei danni subiti dall’appaltatore a causa dell’inadempimento del committente.

Mancherebbero poi i presupposti della colpa grave e della negligenza dell’appaltatore in virtù dei quali l’A.N.A.S. avrebbe potuto procedere alla rescissione del contratto.

Conclude la ricorrente affermando che i danni subiti in conseguenza del colpevole comportamento della stazione appaltante sarebbero dovuti, in sintesi, per la sussistenza di maggiori spese generali, di maggiori spese per personale fisso di cantiere, di maggiori spese per protratto vincolo delle fideiussioni sostitutive della cauzione e delle ritenute di legge.

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia nullità per omessa pronuncia sulla illegittimità della risoluzione in danno. Violazione del R.D. n. 350 del 1895, art. 27.

La rescissione del contratto, adottata dall’A.N.A.S., ai sensi del R.D. n. 350 del 1895, art. 27, sarebbe illegittima, per mancanza dei presupposti sostanziali che la giustificano e per non avere rispettato la procedura da detta norma prevista di contestazione dell’addebito mosso all’appaltatore e di attivazione del contraddittorio.

I primi quattro motivi di ricorso, che essendo logicamente e giuridicamente connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

La S.A.C.E.D. s.r.l. ha proposto domanda intesa ad ottenere la risoluzione del contratto di appalto stipulato con l’ANAS s.p.a. per fatto e colpa di detto ente e la condanna dello stesso al conseguente risarcimento del danno.

Sia il giudice di primo grado che il giudice d’appello, ritenuta la irrealizzabilità del progetto esecutivo relativo all’opera pubblica da costruire, hanno dichiarato la nullità del contratto di appalto per originaria impossibilità della prestazione oggetto del contratto.

Tale decisione non appare condivisibile.

Questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio, che il collegio condivide, secondo cui la nullità del contratto o della singola clausola contrattuale per impossibilità della cosa o del comportamento che ne forma oggetto (artt. 1346, 1347, 1418 e 1419 cod. civ.) richiede che tale nullità, oltre che oggettiva e presente fin dal momento della stipulazione, sia anche assoluta e definitiva, rimanendo invece ininfluenti a tal fine le difficoltà più o meno gravi, di carattere materiale o giuridico, che ostacolino in maniera non irrimediabile il risultato a cui la prestazione è diretta (cfr.

in tal senso Cass. n. 4013 del 1998; vedi altresì Cass. n. 6927 del 2001 e tra le meno recenti Cass. n. 12860 del 1992).

Al fine di stabilire quando e come detta impossibilità dell’oggetto è configurabile nel contratto di appalto ed in particolare nel contratto di appalto di opera pubblica appare opportuno osservare quanto segue.

Il contratto di appalto, secondo la definizione legislativa (art. 1655 c.c.) è il contratto con il quale una parte (appaltatore) assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro. Da tale disposizione si evince che l’obbligazione principale dell’appaltatore consiste nel compimento dell’opera o del servizio; accanto a tale obbligazione si pongono altresì quelle strumentali della organizzazione dei mezzi necessari per la realizzazione dell’opera o la prestazione del servizio e la gestione a proprio rischio, vale a dire assumendo il rischio economico, derivante dalla impossibilità di stabilire previamente ed esattamente i costi relativi.

L’obbligazione principale del committente è quella di pagare il corrispettivo dell’opera o del servizio. In capo al committente esiste però anche un dovere di cooperazione, in virtù del quale questo è tenuto a porre l’appaltatore in grado di eseguire l’opera, compiendo tutto ciò che, ai fini dell’adempimento, può dipendere dal committente stesso, procedendo alla consegna dei lavori ed intervenendo durante l’esecuzione dei lavori per ovviare ad eventuali ostacoli all’attività dell’appaltatore, ove dipenda dal committente rimuoverli, provvedendo ad apprestare le necessarie varianti, se per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte l’originario progetto richiede variazioni (art. 1660 c.c.) e prestando ogni altro tipo di necessaria collaborazione, atteso che la buona riuscita dell’appalto non dipende soltanto dall’attività dell’impresa, ma anche dalla disponibilità collaborativa della stazione appaltante (cfr. Cass. n. 10052 del 2006).

Detto dovere di cooperazione del committente, la cui mancanza, come affermato da condivisibile dottrina, non acquista rilievo autonomo, ma per l’impedimento che determina alla effettuazione della prestazione da parte dell’appaltatore (cfr. in tal senso anche Cass. n. 522 del 1995; Cass. n. 809 del 1986, in cui si afferma che il dovere del creditore di cooperare, quando necessario, all’adempimento da parte del debitore non costituisce vera e propria obbligazione del creditore nei confronti di quest’ultimo, ma si configura, invece, come un mero dovere strumentale rispetto all’adempimento), trova il suo fondamento nell’art. 1206 cod. civ., sulla mora del creditore – e più in generale nei principi di correttezza e buona fede oggettiva che permeano la disciplina delle obbligazioni e dei contratti -, il quale stabilisce che il creditore è in mora quando non compie quanto è necessario affinchè il debitore possa adempiere l’obbligazione (ed i cui effetti sono disciplinati dal successivo art. 1207 c.c.).

Per quanto riguarda il contratto di appalto di un’opera pubblica che, secondo la dottrina prevalente e la giurisprudenza, non perde la sua natura di contratto di diritto privato (cfr. Cass. sez. un. n. 95 del 2001), giova osservare quanto segue.

La L. n. 109 del 1994, art. 19, comma 1 (nella originaria formulazione, applicabile ratione temporis nel caso di specie) dispone che i contratti di appalti di lavori, previsti da detta legge, hanno per oggetto l’esecuzione di lavori da parte dell’impresa contraente sulla base di un progetto esecutivo.

Il R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 5, comma 1 (regolamento per la direzione, la contabilità e la collaudazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici), che disciplina le operazioni precedenti la consegna dei lavori, dispone:

“Prima che si bandiscano gli esperimenti di asta pubblica o si aprano le licitazioni o trattative il Ministero ne informa l’ingegnere capo, il quale dispone che, a cura dell’ufficiale, che dovrà assumere poi la direzione dei lavori, si faccia una verificazione del progetto, in relazione al terreno, al tracciamento, al sottosuolo, alle cave, alle fornaci ed a quant’altro occorre per l’esecuzione dell’opera, affinchè sia accertato che, all’atto della consegna, non si riscontreranno variazioni nelle condizioni di fatto sulle quali il progetto è basato o, riscontrandosene alcuna, si abbia tempo a prevenire l’apertura delle aste pubbliche o delle licitazioni ovvero, quando trattasi di trattativa privata, la stipulazione del contratto, in base al progetto inesatto o non più esatto”.

La L. n. 109 del 1994, art. 16, comma 1 (nella originaria formulazione) dispone che la progettazione si articola, secondo tre livelli di successive definizioni tecniche, in preliminare, definitiva ed esecutiva.

I successivi commi 2, 3 e 4 individuano la funzione ed il contenuto dei vari progetti, preliminare, definitivo ed esecutivo.

In particolare, per quanto riguarda il progetto definitivo, il comma 3 stabilisce che questo: “consiste in una relazione descrittiva dei criteri utilizzati per le scelte progettuali, nonchè delle caratteristiche dei materiali prescelti e dell’inserimento dei lavori sul territorio; nello studio di impatto ambientale ove previsto; in disegni generali nelle opportune scale descrittivi delle principali caratteristiche delle opere, delle superfici e dei volumi da realizzare, compresi quelli per l’individuazione del tipo di fondazione; in una relazione geologica e geotecnica, idrologica e sismica, desunta da apposita campagna di sondaggi sull’area interessata; nei calcoli preliminari delle strutture e degli impianti; in un disciplinare descrittivo degli elementi prestazionali, tecnici ed economici previsti in progetto, comprendente anche l’elenco dei prezzi unitari delle varie categorie di lavori, nonchè l’indicazione dei tempi necessari per la redazione del progetto esecutivo dei lavori…..”.

Per quanto riguarda il progetto esecutivo la L. n. 109 del 1994, art. 16, comma 4 (nella originaria formulazione) dispone che deve essere redatto in conformità del progetto definitivo e che: “consiste in una descrizione completa delle caratteristiche del territorio e dei lavori, in modo tale che ogni elemento sia identificabile in forma, tipologia, qualità, dimensione e prezzo…”; detta norma dispone, altresì che deve essere redatto: “sulla base di complete indagini geologiche e geotecniche, idrologiche e sismiche, di rilievi altimetrici, di misurazioni e picchettazioni, di rilievi della rete dei servizi del sottosuolo e comprende i disegni generali e di dettaglio, compresi i particolari costruttivi, redatti nelle più opportune scale, nochè i calcoli e gli elaborati grafici esecutivi generali e di dettaglio delle strutture e degli impianti, i computi metrici dettagliati, le analisi, l’elenco dei prezzi unitari e quant’altro necessario per l’immediata costruzione dell’opera e l’esatta determinazione dei tempi e dei costi relativi”.

Dal surriportato quadro normativo si evince che la stazione appaltante ha l’onere di predisporre un progetto tecnicamente valido, eseguendo tutte le indagini e ricerche necessarie all’attività di progettazione, comprese quelle relative alla struttura e ai caratteri fisici del terreno sul quale il manufatto dovrà essere posizionato, al fine di garantirne la attuabilità. Qualora poi dopo aver proceduto alla completa elaborazione del progetto si riscontrino carenze progettuali, il dovere di cooperazione finalizzato a rendere possibile la realizzazione dell’opera impone alla stazione appaltante di provvedere ad eliminare dette carenze, che si pongono certamente quale ostacolo alla effettiva eseguibilità dell’opera, carenze che vanno eliminate prima della consegna dei lavori e, se riscontrate in un momento successivo, attraverso l’adozione, se necessarie, di varianti in corso d’opera.

La L. n. 109 del 1994, art. 25, comma 1, lett. c), (sempre nella originaria formulazione), che prevede la possibilità di apportare all’originario progetto varianti in corso d’opera, dispone che possono essere ammesse varianti in corso d’opera “per il manifestarsi di errori od omissioni del progetto esecutivo” – disposizione questa di cui successivamente è stata meglio definita e circoscritta la portata con il D.L. 3 aprile 1995, n. 101, art. 8 ter, convertito in L. 2 giugno 1995, n. 216 (recante norme urgenti in materia di lavori pubblici), il quale, sostituendo la L. n. 109 del 1994, art. 25, ha previsto alla lettera d) che le varianti in corso d’opera possono essere ammesse: “per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo, che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione”.

Questa, Suprema Corte ha già avuto occasione di affermare che nell’appalto di opere pubbliche è configurabile un dovere di cooperare all’adempimento dell’appaltatore attraverso il compimento di quelle attività – distinte rispetto al comportamento dovuto dall’appaltatore – necessarie affinchè quest’ultimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio e che, in questo contesto, l’elaborazione di varianti in corso d’opera – di norma costituente una mera facoltà della P.A. (esercitarle in presenza delle condizioni previste dalla legge) – può configurarsi come espressione di un doveroso intervento collaborativo del creditore (cfr. Cass. n. 10052 del 2006).

Posto che il committente ha il suddetto dovere di cooperare alla realizzazione dell’opera e che, qualora questa non sia realizzabile per errori od omissioni progettuali, ha il dovere, al fine di porre l’appaltatore in condizione di eseguire i lavori in base al progetto, di eliminare dette carenze, fornendogli un progetto eseguibile, in mancanza di tale collaborazione non può fondatamente ritenersi che la impossibilità della prestazione derivi da un impedimento oggettivo ed insuperabile, di carattere giuridico o di fatto, inerente alla prestazione in sè e per sè considerata, essendo evidente che deriva, invece, da un impedimento tecnico, riconducibile al comportamento non collaborativo di una delle parti del rapporto, necessario per rendere possibile la prestazione, che ostacola in maniera non oggettivamente irrimediabile il risultato cui la prestazione è diretta. Pertanto, qualora la stazione appaltante non provveda ad eliminare dette carenze, le conseguenze non sono quelle di cui agli artt. 1346 e 1418 c.c., ma quelle di cui all’art. 1207 cod. civ., versandosi in una ipotesi di mora credendi.

Si legge nella sentenza impugnata che “il Tribunale, esaminate le carenze progettuali evidenziate dall’appellante (anche a mezzo di consulenza tecnica di parte) ed emergenti dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata, ha rilevato come emergesse dagli atti di causa una macroscopica inadeguatezza del progetto posto a base della gara di appalto”, sottolineando “palesi incongruenze tecniche ….accertate in maniera dettagliata e precisa” dal c.t.u.. Si pone ulteriormente in rilievo nella decisione impugnata come il progetto posto a base d’asta presentasse le seguenti ” carenze ed anomalie: 1) superficialità dell’intero progetto che non può essere esecutivo ma di massima; 2) mancanza di adeguamento della dimensione dei plinti rispetto al nuovo sistema di sottofondazioni usato; 3) mancanza di indicazione del tipo e della quantità di armatura dei pali e dei plinti; 4) anomalie delle tavole progettuali (non descrivono esattamente i lavori inclusi nel lotto e presentano, tra loro, diverse incongruenze) di talchè il progetto predisposto dati l’Ente appellato non solo non era esecutivo, ma non era neanche cantierabile”. Si legge successivamente nella sentenza impugnata che il c.t.u. ha sottolineato che gli elaborati grafici (prevedenti un sistema di fondazioni sostanzialmente difforme per dimensioni di micropali, pile e paratie rispetto a quelli richiesti nella gara) presentano numerose correzioni manuali senza alcuna firma o timbro apposto dall’ANAS prima della gara d’appalto; che tali correzioni consistono nella sostituzione dei micropali sopradetti con pali a grande diametro (1000) e sugli altri elementi quali le pile e le paratie; che le correzioni apportate dall’ANAS non tengono conto delle nuove dimensioni dei plinti e la disposizione dei pali; che le dimensioni dei plinti risultano notevolmente inadeguate in quanto sottodimensionate rispetto al nuovo tipo di pali previsto dall’ANAS, non potendo in alcuni casi il palo stesso essere contenuto fisicamente nel corrispondente plinto, che risulta essere in pianta di misure inferiori a quelle dei pali stessi; che le modifiche apportate dall’ANAS sono grossolane anche dal punto di vista strutturale.

Si legge ancora in detta sentenza che tutto quanto evidenziato dal consulente comporta l’esattezza della valutazione del giudice di primo grado: il progetto posto a base della gara era irrealizzabile, frutto di una rielaborazione superficiale e contraddittoria dell’originario complessivo progetto, tanto da non potersi ritenere esecutivo e tantomeno cantierabile; che la variazione pretesa dall’appellante SACED s.r.l., necessaria per la fattibilità, avrebbe comportato prezzi, tempi e modalità di esecuzione del tutto diversi e molto maggiori, tanto che l’appellante parla di una spesa superiore del 50% circa e di tempi diversi di realizzazione.

Sulla base di tali risultanze di fatto la Corte di merito ha ritenuto che la prestazione oggetto del contratto di appalto fosse oggettivamente impossibile, ignorando completamente, al fine di valutare la possibilità della prestazione, il rilievo che assume nella presente vicenda il dovere di collaborazione da parte della stazione appaltante.

Per quanto precede i primi quattro motivi di ricorso devono essere accolti, dichiarando assorbito il quinto, vertendo su questione sulla quale la Corte di merito non si è pronunciata; conseguentemente la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che dovrà uniformarsi al seguente principio di diritto: qualora l’opera pubblica risulti non realizzabile per errori e carenze progettuali, che la amministrazione appaltante non provveda ad eliminare pendendo così possibile la realizzazione dell’opera, l’impossibilità di esecuzione dell’opera stessa da parte dell’appaltatore non determina la nullità del contratto per impossibilità dell’oggetto, ma integra una ipotesi di mora credendi, le cui conseguenze sono quelle di cui all’art. 1207 cod. civ..

P.Q.M. La Corte accoglie i primi quattro motivi, assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2011

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