Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17038 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 11/08/2016, (ud. 28/04/2016, dep. 11/08/2016), n.17038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17425/2010 proposto da:

LA PRESIDENZA E GLI ASSESSORATI REGIONALI DELLA SALUTE (già SANITA’)

E DELLE INFRASTRUTTURE E DELLA MOBILITA’ (già LAVORI PUBBLICI)

DELLA REGIONE SICILIANA, in persona dei rispettivi legali

rappresentanti pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

HERA S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;

– intimata –

Nonchè da:

HERA S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in proprio e nella

qualità di capogruppo della R.T.I. con IMPRESEM S.P.A., SACM

S.P.A., CONSCOOP e ITALTEL S.P.A. in persona dei legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA ADRIANA 15, presso l’avvocato ALBERIGO PANINI, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

LA PRESIDENZA E GLI ASSESSORATI REGIONALI DELLA SALUTE (già SANITA’)

E DELLE INFRASTRUTTURE E DELLA MOBILITA’ (già LAVORI PUBBLICI)

DELLA REGIONE SICILIANA, in persona dei rispettivi legali

rappresentanti pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza non definitiva n. 876/2002 e la sentenza

definitiva n. 917/2009 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositate

rispettivamente il 30.9.2002 ed il 28/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/04/2016 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;

udito, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

ALBERIGO PANINI che ha chiesto il rigetto del ricorso principale,

l’accoglimento dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

RUSSO Rosario, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo

del ricorso principale e rigetto degli altri motivi anche del

ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

p.1. – In esito ad una gara per appalto-concorso bandito nel 1986, ed a seguito di offerta del 29 aprile 1986, Vita S.p.A., poi Hera S.p.A., capogruppo del RTI con Impresem S.p.A., Sacm S.p.A., Conscoop e Italtel S.p.A., stipulò con l’Amministrazione, in data 7 agosto 1987, un contratto di appalto dei lavori di costruzione di un ospedale ad Agrigento, lavori consegnati il 21 settembre 1987 ed ultimati il 12 giugno 1995, dopo due sospensioni per l’approvazione di una perizia suppletiva e poi per il suo finanziamento.

La stipulazione di tale contratto che, quanto alla revisione prezzi, richiamava la disciplina dettata dalla L. n. 41 del 1986, art. 33, commi 2 e 3, fu seguita dall’affidamento, mediante atto di sottomissione del 28 febbraio 1991, di ulteriori lavori di adeguamento e miglioramento dell’opera, con previsione del ragguaglio della revisione prezzi alla data di presentazione dell’offerta.

Dopo aver liquidato acconti revisionali, l’Amministrazione, ritenendo di aver erroneamente operato, ricalcalo l’importo dovuto, trattenendo, in occasione del pagamento del 10 Sal, la somma secondo la sua opinione indebitamente corrisposta.

Hera S.p.A., in proprio e nella veste di capogruppo della RTI, nel 1996, agì dunque in giudizio nei confronti dell’Amministrazione al fine di vedersi riconosciuta la maggior somma dovuta, secondo il suo calcolo, a titolo di revisione prezzi.

La Presidenza della Regione Siciliana e gli Assessorati ai Lavori Pubblici ed alla Sanità si opposero all’accoglimento della domanda e sostennero, quanto al contratto del 7 agosto 1987, che la revisione prezzi dovesse essere calcolata con riguardo alla data della stipulazione, e non a quella precedente della presentazione dell’offerta, mentre, quanto ai lavori aggiuntivi previsti dall’atto di sottomissione del 28 febbraio 1991, nessuna revisione prezzi era dovuta, se non eventualmente per il quinto d’obbligo, dal momento che la clausola contenuta in detto atto era nulla in quanto contrastante con il divieto di revisione prezzi per lavori di durata inferiore all’anno, di tal che essa Amministrazione legittimamente aveva effettuato la trattenuta sul 10 Sal di quanto corrisposto oltre il dovuto.

p.2. – Con sentenza del 21 ottobre 1999, il Tribunale di Palermo respinse la domanda dell’impresa attrice e, per contro, dichiarò il diritto dell’amministrazione a trattenere l’importo del 10 Sal fino alla concorrenza delle somme indebitamente corrisposte, nonchè la nullità della clausola concernente il compenso revisionale per i lavori aggiuntivi.

p.3. – Proposto appello dall’impresa, nel contraddittorio con l’Amministrazione, la Corte d’appello di Palermo, con sentenza non definitiva del 30 settembre 2002, lo accolse parzialmente, dichiarando la spettanza all’appaltante della revisione prezzi a decorrere dalla data dell’offerta del 29 aprile 1986 limitatamente ai lavori previsti nell’atto aggiuntivo del 28 febbraio 1991 eccedenti il quinto d’obbligo di cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 344. Successivamente, all’esito dell’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza del 28 maggio 2009, la stessa Corte d’appello condannò l’Amministrazione al pagamento, in favore dell’impresa, della somma di Euro 932.616,00 con gli interessi D.P.R. n. 1063 del 1962, ex art. 35, sull’importo di Euro 134.512,00, ed ex art. 34, dello stesso D.P.R. sulla somma di Euro 798.100, regolando infine le spese di lite.

Con la sentenza non definitiva, in particolare, dopo aver respinto il primo motivo di impugnazione proposto dall’impresa e volto a far valere il proprio diritto al calcolo della revisione prezzi a far data dall’offerta del 29 aprile 1986, sul rilievo che, detto contratto non era stato novato da quello aggiuntivo del 1991 e che, in caso di contratto stipulato all’esito di appalto concorso, l’applicazione della L. n. 41 del 1986, art. 33, nella specie operante ai fini del computo della revisione prezzi, andava ancorata alla data di stipulazione del contratto, la Corte d’appello ha affermato che il Tribunale aveva errato nel ritenere nullo il patto contenuto nell’atto di sottomissione del 28 febbraio 1991 in punto di calcolo della revisione prezzi.

Ha in particolare osservato la Corte territoriale nella sentenza non definitiva del 2002:

-) che l’atto aggiuntivo del 28 febbraio 1991, per la parte eccedente il quinto d’obbligo, doveva qualificarsi come nuovo contratto, con l’ulteriore conseguenza che la clausola concernente la revisione prezzi non aveva determinato una novazione della relativa disciplina applicabile anche all’originario contratto di appalto, disciplina che, in ogni caso, ove applicata, sarebbe stata nulla attesa l’inderogabilità della disciplina statale, al riguardo applicabile, in materia di revisione prezzi;

-) che detto atto aggiuntivo era assoggettato alle disposizioni in materia di revisione prezzi vigenti al momento della sua sottoscrizione e, dunque, alla L.R. Sicilia 7 agosto 1990, n. 30, art. 6, che aveva recepito in Sicilia per le opere di competenza regionale la disciplina della revisione prezzi di cui all’articolo 33 della L. n. 41 del 1986;

-) che, tuttavia, soggiacendo l’atto aggiuntivo alla normativa regionale, tale disciplina non poteva essere ritenuta inderogabile in forza del precetto posto dalla L. n. 37 del 1973, art. 2, nonostante la L.R. Sicilia n. 22 del 1964, art. 15, avesse escluso l’applicazione della disciplina regionale in materia revisionale alle opere, quale quella in discorso, eseguita con il finanziamento anche parziale dello Stato o altri enti pubblici;

-) che, difatti, tale ultima disposizione comportava l’applicabilità dei contenuti della disciplina sostanziale statale, ma non consentiva di ritenere trasposta in ambito regionale pure la relativa inderogabilità, non solo perchè il tenore letterale della norma non autorizzava tale conclusione, ma soprattutto perchè la L. n. 37 del 1973, che aveva introdotto l’inderogabilità nell’ordinamento statale, era di svariati anni successiva alla L.R. n. 22 del 1964, sicchè l’implicito richiamo di quest’ultima al sistema statale non poteva ricomprendere i precetti di una legge che non era stata ancora emanata;

-) che era pertanto valida la pattuizione contenuta nell’atto del 1991 che prevedeva la revisione a far data dal momento dell’offerta.

Nella sentenza definitiva del 2009 la Corte d’appello ha in breve fatto proprio l’accertamento compiuto dal consulente tecnico d’ufficio che aveva determinato la somma ancora a credito dell’impresa nella complessivo importo di Euro 932.612,00, oltre interessi. In particolare il consulente aveva rilevato che l’ente appaltante aveva corrisposto l’acconto di Lire 1.103.772.464, sicchè il saldo ancora dovuto ammontava a Lire 260.451.345, pari a Euro 134.512,00, somma alla quale doveva essere aggiunto l’importo del 10 Sal pari a Euro 798.100,00, trattenuto dall’amministrazione sull’erroneo presupposto della mancata spettanza di ogni revisione prezzi dell’appaltatrice.

p.4. – Contro tali sentenze ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria la Presidenza e gli Assessorati Regionali della Salute e delle Infrastrutture e della Mobilità della Regione Siciliana, che hanno anche depositato memoria.

Hera S.p.A., in proprio e quale capogruppo della RTI, ha resistito con controricorso e spiegato ricorso incidentale affidato a due motivi, al quale l’Amministrazione ha a propria volta resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.5. – I1 ricorso principale dell’Amministrazione contiene tre motivi.

p.5.1. – Il primo motivo è svolto da pagina 20 a pagina 28 del ricorso sotto il titolo: “Violazione e falsa applicazione della L.R. n. 22 del 1964, art. 15, della L. n. 41 del 1986, art. 33, e della L. n. 30 del 1990, art. 6, della L. n. 37 del 1973, art. 2, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3.

La doglianza concerne il calcolo della revisione prezzi relativamente all’atto aggiuntivo del 28 febbraio 1991 e, in breve, denuncia l’erroneità della decisione adottata dalla Corte di merito nell’affermare che la disciplina statale, nella specie applicabile per il tramite della L.R. n. 22 del 1964, art. 15, trattandosi di opera edificata con contributo statale, non poteva essere giudicata inderogabile in forza del precetto dettato dalla L. n. 37 del 1973, art. 2.

p.5.2. – Il secondo motivo è svolto da pagina 28 a pagina 35 del ricorso sotto il titolo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 279, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4.

Si sostiene, con tale motivo, che la sentenza definitiva era nulla nella parte in cui aveva modificato la precedente sentenza non definitiva, che, nel disattendere il primo motivo d’appello spiegato dall’impresa appaltatrice, aveva confermato la sentenza del Tribunale, che aveva riconosciuto il diritto dell’Amministrazione a trattenere l’importo del 10 Sal fino a concorrenza di quanto indebitamente corrisposto all’impresa. La ricorrente ha in particolare evidenziato di non aver affatto negato in toto il diritto alla revisione prezzi con riguardo all’originario contratto, ma di aver soltanto recuperato tramite trattenuta sul 10 Sal il differenziale tra l’importo calcolato a far data dall’offerta e quello calcolato a far data dalla successiva conclusione del contratto.

p.5.3. – Il terzo motivo è svolto da pagina 35 a pagina 38 del ricorso sotto il titolo: “Omessa motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Il motivo attacca nuovamente la sentenza definitiva, sotto il profilo del difetto motivazionale, sul medesimo punto del riconoscimento di un importo per revisione prezzi in ordine al primo contratto.

p.6. – Il ricorso incidentale contiene due motivi.

p.6.1. – Il primo motivo è svolto da pagina 31 a pagina 42 del ricorso incidentale sotto il titolo: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., L. n. 41 del 1986, art. 33, L. n. 37 del 1973, art. 2, L.R. n. 30 del 1990, art. 6, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3.

Il motivo è in breve volto a sostenere che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere che la clausola di revisione prezzi contenuta nell’atto aggiuntivo del 28 febbraio 1991 avesse carattere no-vativo della previsione in proposito contenuta nell’originario contratto e che, per conseguenza, l’intera revisione prezzi dovesse essere computata a far data dall’offerta e non dalla stipulazione del contratto.

p.6.2. – Il secondo motivo è svolto da pagina 42 a pagina a pagina 49 del ricorso incidentale sotto il titolo: “In subordine. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, artt. 13 e 14; art. 344 Legge 1865 numero 2249 allegato F. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3. Omessa, insufficiente e contrad-dittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

L’impresa, con la censura in esame, attacca la statuizione adottata dalla Corte d’appello, laddove aveva riconosciuto la revisione prezzi, in riferimento ai lavori effettuati in adempimento dell’atto aggiuntivo del 28 febbraio 1991, esclusivamente con riguardo alla parte eccedente il quinto d’obbligo, avendo essa stessa Corte per alLro verso riconosciuto l’integrale novità del secondo contratto in relazione al primo.

p.7. – Il ricorso principale è fondato.

p.7.1. – Il primo motivo va accolto.

L’atto di sottomissione del 28 febbraio 1991 reca, in ordine alla revisione prezzi, una clausola del seguente tenore: “Ai fini della revisione prezzi il ragguaglio dovrà effettuarsi con riferimento alla data di presentazione dell’offerta”.

La L. n. 41 del 1986, art. 33, comma 3, applicabile ratione temporis alla pattuizione in discorso, stabilisce che: “Per i lavori di cui al precedente comma 2 aventi durata superiore all’anno, la facoltà di procedere alla revisione dei prezzi è ammessa…”. Detta disposizione, dunque, consente la revisione prezzi per i soli lavori aventi durata superiore all’anno.

Ma, come è pacifico tra le parti, il menzionato atto di sottomissione aveva ad oggetto lavori di durata inferiore all’anno: e, dunque, la clausola di revisione prezzi ivi contenuta si atteggia come valida ovvero come invalida a seconda che si attribuisca al citato art. 33, natura di norma derogabile, ovvero di norma imperativa: nel qual caso la clausola verrebbe colpita da nullità per contrasto con norma imperativa secondo la regola generale stabilita dall’art. 1418 c.c..

Orbene, la L. n. 37 del 1973, art. 2, ha posto il precetto che segue: “Per tutti i lavori appaltati, o affidati dalle amministrazioni o aziende di Stato, anche con ordinamento autonomo, dagli enti locali e dagli altri enti pubblici, comprese le amministrazioni indicate nella L. 23 ottobre 1963, n. 1481, art. 1, comma 2, la facoltà di procedere alla revisione dei prezzi è aramessa, secondo le norme che la regolano, con esclusione di qualsiasi patto in contrario o in deroga”.

Sicchè combinato disposto di quest’ultima norma con il citato articolo 33 rende tale disposizione senz’altro inderogabile, e sotto tale profilo imperativa, con riguardo ad ogni possibile aspetto. La norma ha cioè vietato in materia ogni genere di patti in deroga, sicchè eventuali pattuizioni dirette (ad escludere o, all’opposto) a rendere obbligatoria la revisione in difformità dal regime legale sono da ritenersi radicalmente nulle, attesa l’imperatività della disposizione in esame (Cass., Sez. Un., 2 giugno 1997, n. 4906; Cass. 14 maggio 1998, n. 4873; Cass. 10 agosto 2000, n. 560; Cass. 14 giugno 2000, n. 8105; Cass. 27 giugno 2000, n. 8711).

In particolare, Cass. 24 febbraio 1994, n. 1876, ha chiarito che il citato art. 2, sta a significare che “la facoltà dell’amministrazione appaltante (o concedente) di procedere alla revisione dei prezzi non ammetteva, sotto qualsiasi profilo, deroghe pattizie, nel senso, esplicitando, che la revisione non poteva essere preventivamente esclusa o, all’opposto, resa obbligatoria…, nè essere regolata con modalità difformi, in tutto o in parte, dal regime legale. Di qui la nullità (attesa la pacifica imperatività della norma sotto esame) delle pattuizioni derogative (sostituite, perciò, di diritto, ex art. 1339 c.c., dalla disciplina legale), quale che ne fosse il contenuto e, quindi, anche se attinenti non all’an ma al quantum della revisione e, in particolare, alla base del relativo computo, dato che l’art. 2 cit., rinviando, senza distinzione alcuna, alle norme (tutte) che regolavano l’istituto, non consentiva di degradare a norme dispositive quelle riguardanti il modo di determinare l’importo revisionale”.

Ciò detto, va ancora richiamato la L.R. Sicilia n. 22 del 1964, art. 1, il quale ha stabilito che: “La Regione, gli enti locali e gli altri enti pubblici istituiti dalla Regione provvedono ad effettuare la revisione dei prezzi dei lavori di propria competenza, appaltati o dati in concessione, in base alle variazioni percentuali, in aumento o in diminuzione, del costo della manodopera, dei materiali e dei trasporti e dei noli, sempre che il costo complessivo dell’opera sia aumentato o diminuito in misura superiore al 5%.

Le variazioni di cui sopra sono quelle intervenute successivamente alla presentazione dell’offerta in caso di gara, alla data di presentazione del progetto – offerta in caso di appalto concorso, alla data dell’offerta in caso di trattativa privata”.

Il che sta a significare che, in Sicilia, nell’arco di vigenza della disposizione ha trovato applicazione il sistema di riconoscimento della revisione ivi previsto.

Nondimeno, il successivo art. 15 della stessa legge regionale ha disposto nel senso che segue: “La presente legge non si applica per le opere eseguite con il finanziamento, anche se parziale, dello Stato o di altri enti pubblici soggetti alla vigilanza dello Stato, ancorchè la spesa sia iscritta nel bilancio della Regione o delle altre amministrazioni interessate”.

Nel caso in esame, la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione di tale ultima disposizione è pacifica tra le parti.

In tale quadro normativo, la Corte d’appello ha ritenuto che il rinvio fatto da quest’ultima disposizione alla legislazione statale non si estendesse alla L. n. 37 del 1973, art. 2, e ciò per due ragioni: per un verso perchè il tenore letterale della norma (la L.R. Sicilia n. 22 del 1964, art. 15) non autorizzerebbe tale conclusione; per altro verso perchè l’implicito rinvio della disposizione regionale alla legislazione statale non potrebbe estendersi ad una norma all’epoca non ancora emanata.

Ora, la prima affermazione svolta nella sentenza impugnata può essere agevolmente contraddetta: la L.R. Sicilia n. 22 del 1964, art. 15, non contiene alcun dato letterale il quale consenta di desumere l’esclusione dell’applicabilità della L. n. 37 del 1973, art. 2, dal momento che essa si caratterizza non già per un rinvio, in positivo, ad una specifica disciplina dettata nella materia della revisione prezzi dalla legislazione statale, bensì, in negativo, per la sola esclusione, in toto, dell’applicabilità della normativa regionale alle opere eseguite con finanziamento anche parziale dello stato, con conseguente applicazione, in toto, della pertinente normativa statale.

Per il resto, sembra che la Corte d’appello abbia inteso interpretare l’articolo 15 della citata legge regionale Sicilia quale rinvio fisso, e non, invece, quale rinvio mobile alla disciplina statale dettata nel corso del tempo dal legislatore.

Tale soluzione non può essere condivisa.

Semplificando i termini della questione, può dirsi, in generale, che il congegno del rinvio, fisso o mobile che sia, ricorre ogni qualvolta una disposizione normativa non provvede direttamente alla disciplina della materia cui si riferisce, ma la rimette ad altre disposizioni o fonti. In linea di larga massima, la distinzione tra rinvio fisso e mobile va per l’appunto ancorata al contenuto della disposizione rinviante, a secondo che essa rimetta l’individuazione della disciplina da applicarsi ad una fonte o esclusivamente ad una diversa ed ulteriore specifica disposizione. Il rinvio alla fonte attribuisce rilievo a tutte la norme che la fonte di volta in volta produrrà e, così, a tutte le modifiche che queste eventualmente subiranno; il rinvio ad una individuata disposizione, per contro, dà luogo ad un congegno di incorporazione della disposizione oggetto del rinvio in quella rinviante, con la conseguenza che il rinvio è qualificato come fisso proprio allo scopo di evidenziare che le vicende della disposizione oggetto di rinvio non si riflettono sul rinvio stesso.

Pur nella difficoltà di individuare specifici criteri distintivi tra rinvio fisso e rinvio mobile, e dopo avere altresì rammentato che questa Corte sembra in un’occasione aver ritenuto che, nel dubbio, sia preferibile interpretare il rinvio come mobile e non come fisso, giacchè l’interpretazione dinamica consente di “fare riferimento alle successive modificazioni”, operando così “più realisticamente” rispetto al rinvio statico che “postula la perdurante intangibilità” delle norme oggetto di rinvio (Cass. pen. 28 gennaio 2005, n. 6775), sembra, in realtà, che la questione, nel caso in esame, non debba neppure essere posta nei termini della alternativa menzionata.

Difatti, la L.R. Sicilia n. 22 del 1964, art. 15, lungi dal dettare un rinvio alla disciplina statale in tema di revisione prezzi, semplicemente impedisce l’applicazione della normativa regionale da essa stessa legge disciplinata, lasciando inalterata, perciò, l’applicabilità della normativa statale di riferimento, evidentemente nella sua successiva evoluzione e sviluppo. D’altro canto, anche a voler porre la questione in termini di alternativa tra rinvio fisso il rinvio mobile, non sembra dubitabile che il rinvio in discorso, avuto riguardo alla ratio della disposizione, debba essere interpretato quale rinvio mobile. Ed invero, l’evidente significato della norma sta nel far sì che il costo dell’opera per l’Amministrazione debba essere determinato sulla base della normativa statale ogni qualvolta detto costo debba infine andare a gravare, in tutto o in parte sullo Stato: e dunque, in ossequio a detta ratio, appare del tutto evidente che la disciplina statale debba essere quella di volta in volta applicabile ratione temporis, non certo quella cristallizzata alla data di entrata in vigore della ricordata legge regionale, il che darebbe luogo ad un sistema di palese irrazionalità, comportando la sopravvivenza di una disciplina statale ormai superata, quantunque in un ambito in cui la normativa regionale, per espressa previsione della disposizione in discorso, non trova applicazione.

Del resto le Sezioni Unite di questa Corte, hanno già ritenuto applicabile la L. n. 41 del 1986, art. 33, e L. n. 37 del 1973, art. 2, a contratti di appalto di opere pubbliche affidate dalla Regione Siciliana. In tal senso è da leggere il responso di Cass., Sez. Un., 5 maggio 2008, n. 10968, in cui testualmente si afferma: “Quanto poi alla tesi del ricorrente secondo cui il riconoscimento del diritto al compenso revisionale sarebbe contenuto nel contratto d’appalto del 5 novembre 1990 e nel capitolato speciale, deve osservarsi che la facoltà dell’amministrazione appaltante di procedere alla revisione dei prezzi non ammette, ai sensi della L. 22 febbraio 1973, n. 37, art. 2 (che non risulta essere stato nè esplcitamente nè implicitamente abrogato dalla legislazione regionale) deroghe pattizie, con conseguente invalidità delle clausole contrattuali dirette a vincolare l’amministrazione committente al riconoscimento del diritto alla revisione. Pertanto, la domanda di compenso per revisione prezzi, fondata su un’eventuale clausola contrattuale che sia stata comunque invalidamente stipulata successivamente all’entrata in vigore della L. n. 37 del 1973, rientra nella cognizione del giudice amministrativo (che in via incidentale deciderà della validità di tali pattuizioni) perchè la nullità della clausola stessa impedisce il consolidarsi di una posizione di diritto soggettivo in capo all’appaltatore”. Nessun dubbio, dunque, in ordine all’applicabilità della L. n. 37 del 1973, art. 2, agli appalti di opere pubbliche stipulati dalla Regione Siciliana.

Ne consegue che erroneamente la Corte d’appello ha scrutinato la validità della clausola contenuta nell’atto di sottomissione del 28 febbraio 1991 muovendo da un’erronea ricognizione del dato normativo applicabile e, cioè, giudicando derogabile la disposizione di fonte statale che escludeva in radice il diritto alla revisione prezzi per appalti di durata infra-annuale.

p.7.2. – Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, che per il loro collegamento possono essere simultaneamente esaminati, vanno parimenti accolti.

Con riguardo all’originario contratto di appalto stipulato il 7 agosto 1987, il Tribunale ha espressamente affermato “il diritto delle Amministrazioni convenute a trattenere l’importo del 10 Sal fino alla concorrenza di quanto indebitamente corrisposto al RTI sulla scorta dei conteggi revisionali elaborati in base ad interpretazione dell’atto aggiuntivo difforme da quella illustrata nella presente sentenza”.

Il tema del contendere su cui detta statuizione si è innestata atteneva all’individuazione del termine a quo da cui calcolare la revisione prezzi. Ed infatti, secondo l’appaltatore, detto termine doveva essere fissato alla data dell’offerta (29 aprile 1986), e non alla data del contratto (7 agosto 1987) per due ragioni: da un lato perchè l’atto aggiuntivo del 28 febbraio 1991 avrebbe ridisciplinato ex novo il regolamento della revisione prezzi anche con riguardo all’originario contratto del 1987; dall’altro lato, perchè la L. n. 41 del 1986, art. 33, riferendosi alla “aggiudicazione”, non potrebbe trovare applicazione nell’ipotesi, quale quella oggetto del contendere, di appalto concorso, nel quale una vera e propria aggiudicazione non v’è.

A tal riguardo, la stessa Amministrazione, avendo inizialmente liquidato la revisione prezzi in riferimento alla data dell’offerta, e non a quella del contratto, ha poi modificato quello che ha ritenuto essere un errore e, al momento della maturazione del 10 Sal, ha trattenuto secondo quanto si desume dalla sentenza del Tribunale che l’amministrazione ricorrente ha trascritto dalle pagine 6 a 12 del ricorso, e che comunque la Corte ben può direttamente compulsare, essendo stato denunciato un error in procedendo – non l’intero importo corrisposto per revisione prezzi, ma il differenziale tra l’importo calcolato alla data dell’offerta e il minore importo calcolato alla successiva data di stipulazione del contratto: senza di che, evidentemente, la statuizione precedentemente trascritta, concernente “il diritto delle Amministrazioni convenute a trattenere l’importo del 10 Sal fino alla concorrenza di quanto indebitamente corrisposto” non avrebbe avuto senso alcuno. Insomma, secondo il Tribunale, nulla di più spettava all’impresa, a titolo di revisione prezzi, con riguardo al primo contratto, rispetto a quanto già percepito al netto della trattenuta operata dall’amministrazione 10 Sal.

Pronunciando sull’appello dell’impresa, che aveva investito la decisione del Tribunale in entrambi i menzionati passaggi argomentativi (riguardanti la natura normativa della clausola contenuta nell’atto di sottomissione del 28 febbraio 1991; concernenti il significato da attribuirsi, Con riguardo all’appalto concorso, alla regola dettata dal citato articolo 33), la Corte d’appello, con la sentenza non definitiva, ha integralmente respinto le doglianze dell’appellante e, sul punto, ha integralmente confermato la sentenza impugnata.

E, cioè, la Corte territoriale ha inequivocabilmente ribadito che, come già affermato dal Tribunale, nulla spettava ulteriormente all’impresa a titolo di compenso revisionale, oltre a quanto già ottenuto, in riferimento all’originario contratto stipulato nell’agosto del 1987.

Va da sè che, nel pronunciare la sentenza definitiva, con la quale la stessa Corte d’appello ha riconosciuto all’impresa non soltanto la revisione prezzi sul contratto avente ad oggetto le opere aggiuntive, ma anche sull’originario contratto di cui si è detto, è incorsa nella denunciata violazione di norme processuali.

Le statuizioni contenute nella sentenza non definitiva non possono infatti essere modificate o revocate con la sentenza definitiva, in quanto i singoli punti della prima possono essere sottoposti a riesame solo con le impugnazioni, mentre la non definitività concerne soltanto la non integralità della decisione della controversia, ma non anche la mutabilità, da parte dello stesso giudice, di ciò che è stato deciso (Cass. 16 febbraio 2001, n. 2332; Cass. 16 giugno 2014, n. 13621).

p.8. – I motivi di ricorso incidentale rimangono assorbiti.

Il loro accoglimento, infatti, presuppone la validità della clausola di revisione prezzi contenuta nell’atto aggiuntivo, validità che, a propria volta, postula l’inapplicabilità, precedentemente esclusa, della L. n. 37 del 1973, art. 2.

p.9. – In conclusione, La Corte accoglie il ricorso principale, assorbito quello incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta la residua domanda di Hera S.p.A., in proprio e nella qualità, dichiarando la nullità della clausola di revisione prezzi contenuta nell’atto del 28 febbraio 1991, nonchè il diritto dell’Amministrazione a trattenere l’importo del 10 Sal sino alla concorrenza delle somme indebitamente corrisposte.

p.10. – Il complessivo esito della lite e la particolarità e complessità delle questioni giuridiche dedotte in lite giustifica compensazione integrale delle spese dell’intero giudizio.

PQM

accoglie il ricorso principale, assorbito quello incidentale, cassa in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, rigetta la residua domanda di Hera S.p.A., in proprio e nella qualità, dichiarando la nullità della clausola di revisione prezzi contenuta nell’atto del 28 febbraio 1991, nonchè il diritto dell’Amministrazione a trattenere l’importo del l’ Sal sino alla concorrenza delle somme indebitamente corrisposte. Spese dell’intero giudizio compensate.

Così deciso in Roma, il 28 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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