Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17036 del 13/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/08/2020, (ud. 18/02/2020, dep. 13/08/2020), n.17036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18085-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO SPA, rappresentata e difesa dall’Avvocato GENNARO DI

MAGGIO e con lui elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ADOLFO

GANDIGLIO 27, presso lo studio dell’avvocato EMIDDIO PERRECA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 33/2014 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 08/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/02/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

Intesa San Paolo S.p.A. impugnava l’avviso di liquidazione n. (OMISSIS), notificato dall’Agenzia delle entrate in quanto parte in causa ed obbligata solidale al pagamento dell’imposta di registro per il decreto ingiuntivo n. 37540/2007, emesso su sua richiesta nei confronti di A.F., C.P., U.E., W.G.M.U., quali fideiussori delle società Capital Gain S.p.A. ed Edilmark S.p.A., esposte con la banca per effetti cambiari non pagati alla scadenza, per un importo complessivo di Euro 4.0002.282,74. La contribuente lamentava la violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40, e del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, Nota II, della Tariffa, atteso che alle somme ingiunte era stata applicata l’imposta di registro in misura proporzionale, anzichè in misura fissa.

La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 64/24/2012, rideterminava l’imposta di registro nella misura del 0.50% sull’intero importo garantito e domandava all’Ufficio il ricalcolo dell’imposta dovuta. Intesa San Paolo S.p.A. appellava la pronuncia innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che, con sentenza n. 33/2014, accoglieva parzialmente il gravarne, applicando l’imposta nella misura dello 0.5% sul solo capitale, mentre non doveva essere assoggettata ad alcuna imposizione la quota di interessi, stante la natura degli stessi che, nell’operazione considerata, non andavano intesi quali interessi di mora, ma avevano funzione di corrispettivo dell’attività bancaria.

L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della pronuncia, svolgendo due motivi. Intesa San Paolo S.p.A. si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto i giudici di appello avrebbero omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità proposta dall’Ufficio, con proprio atto di controdeduzioni, sulla tassazione degli interessi di mora poichè la questione era stata proposta per la prima volta nel giudizio di appello.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40, nonchè del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 8, lett. b), della Tariffa, Parte I allegata, anche in combinato disposto con l’art. 1224 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. L’Ufficio deduce che il decreto ingiuntivo sottoposto a tassazione ha condannato i fideiussori a pagare alla ricorrente Intesa San Paolo la somma di Euro 4.002.282,74, oltre interessi dalle singole scadenze delle cambiali al saldo. Ne consegue che tali interessi sarebbero da considerarsi interessi di mora ai sensi dell’art. 1224 c.c., sicchè, come previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, comma 1, n. 1, tali somme non concorrono alla formazione della base imponibile IVA e conseguentemente soggiacciono, ai fini della tassazione di registro, non al principio di alternatività, ma al principio sancito dall’art. 8, che, per gli atti dell’autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento, prescrive perentoriamente la misura impositiva del 3%.

3. Il primo motivo è infondato.

L’Ufficio ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza, ha riportato in ricorso il contenuto delle controdeduzioni proposte in sede di appello, con le quali si contesta che l’appellante avrebbe introdotto un nuovo motivo di appello, argomentando in merito alla tassazione con aliquota proporzionale degli interessi, introducendo nuovi inammissibili petitum e causa petendi.

La doglianza è infondata, non ricorrendo nella fattispecie il predicato vizio motivazionale, atteso che la Commissione Tributaria, argomentando sulla tassazione degli interessi, ha rigettato implicitamente l’eccezione, oltre al fatto che le argomentazioni difensive relative alla tassazione degli interessi mora rappresentano una mera difesa in punto di diritto della domanda già introdotta con il ricorso introduttivo, finalizzata all’annullamento dell’atto impugnato ed alla esclusione della imposizione di quella quota di interessi, che non integra una “mutatio libelli”.

4. Il secondo motivo è fondato.

a) Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37, stabilisce che sono soggetti ad imposta: “Gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere”. Ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37, e del medesimo D.P.R., art. 8, comma 1, lett. b), della tariffa allegata, i decreti ingiuntivi esecutivi sono soggetti ad imposta di registro proporzionale, nella misura del 3%, salvo conguaglio in base a successiva sentenza passata in giudicato, indipendentemente dal rapporto sottostante (Cfr. Cass. n. 1247 del 2017; Cass. n. 11663 del 2001, Cass. n. 16829 del 2008).

b) Questa Corte, con sentenza n. 4748 del 2006, ha precisato che: “In tema di imposta di registro, la sentenza di condanna che un istituto di credito ottenga per il recupero delle somme ad esso dovute per un finanziamento, alla luce del principio di alternatività con l’IVA, consacrato nel D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 40, va sottoposto a tassazione fissa, in base alla previsione del detto decreto, art. 8, nota II, della Tariffa, parte I allegata, senza distinzione tra quota capitale e quota interessi, quando questi ultimi non abbiano natura moratoria, come tali esentati, a norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 15, dalla base imponibile IVA, con conseguente applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale ai sensi dell’art. 8, della Tariffa, ma siano (come nella specie) gli interessi convenzionali, e quindi (con la commissione di massimo scoperto e la capitalizzazione trimestrale) il corrispettivo prodotto dall’operazione di finanziamento, trattandosi di prestazioni, ancorchè esenti, attratte pur sempre all’orbita dell’IVA” (Conf. 17276 del 2017; Cass. n. 6125 del 2011).

Le somme dovute a titolo di interessi moratori non concorrono a formare la base imponibile ai fini IVA, con la conseguenza che esse, ove formino oggetto di condanna contenuta in un provvedimento giudiziale, sono assoggettate all’imposta di registro in misura propozionale, anche quando riguardano una somma capitale soggetta ad IVA (Cass. n. 12906 del 2007; Cass. n. 21775 del 2012; Cass. n. 22228 del 2015).

Nella fattispecie, l’atto sottoposto a registrazione è un decreto ingiuntivo, emesso nei confronti dei fideiussori di società esposte con Intesa San Paolo S.p.A., e quindi parte in causa ed obbligata solidale per il pagamento dell’imposta principale di registro. Ne consegue che il decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca (figura avente la qualità di soggetto IVA) è un provvedimento che attiene al conseguimento per via giudiziale del pagamento di prestazioni, in relazione ad operazioni soggette ad IVA ma esenti secondo il disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40, con la conseguenza che l’atto in questione, a norma e per gli effetti del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40, va registrato a tassa fissa, quanto al capitale.

Per quanto riguarda gli interessi portati dal decreto ingiuntivo sulla sorte capitale, quindi, di natura moratoria dovuti per il ritardo nel pagamento della somma ingiunta (e non come sostiene la CTR come corrispettivo dell’attività bancaria esercitata), tali somme, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, non concorrono alla formazione della base imponibile dell’IVA per cui, ” se la ratio del principio di alternatività fissato dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40, è quella di evitare che siano assoggettate all’imposta proporzionale di registro somme già colpite dall’IVA, con conseguente duplicità di imposizione, all’evidenza tale esigenza non ricorre quanto agli interessi moratori, che devono pertanto ritenersi assoggettati all’imposta proporzionale di registro anche quando riguardino una somma capitale soggetta ad IVA” (Cass. n. 17276 del 2017).

Si legge, infatti, nella motivazione della sentenza impugnata (v. pag. 2) che la Banca aveva chiesto l’ingiunzione di pagamento per l’importo complessivo di Euro 4.002.282,74, “oltre interessi sugli effetti cambiari che non sono stati pagati alle scadenze dalle società interessate”, pertanto tali interessi non potevano essere considerati come corrispettivo dell’attività bancaria esercitata, ma conseguivano dal ritardo nel pagamento delle somme dovute.

5. In definitiva, va accolto il secondo motivo ricorso, rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.

Le spese di lite dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, tenuto conto del consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite, mentre la parte soccombente è tenuta al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente. Compensa le spese di lite dei gradi di merito e condanna la soccombente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2020

 

 

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