Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17029 del 13/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/08/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 13/08/2020), n.17029

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10710-2013 proposto da:

F.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DI

PRISCILLA 4, presso lo studio dell’avvocato STEFANO COEN, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DAVIDE DRUDA;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA NORD SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GARIGLIANO

65, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ALFONSI, rappresentato e

difeso dall’avvocato LORENZO PAVANELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 78/2012 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 26/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/02/2020 dal Consigliere Dott. GRAZIA CORRADINI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 60/1/2011 la Commissione Tributaria Provinciale di Rovigo accolse il ricorso proposto da F.C. contro la cartella di pagamento relativa ad iscrizione a ruolo di IVA per l’anno di imposta 2006 – ricorso con cui era stata dedotta la carenza di motivazione della cartella poichè notificata con il mezzo postale in modo incompleto, mancando le pagine successive alla quinta, per cui non era possibile desumere chi fosse l’ente impositore e le ragioni della pretesa – ritenendo che la ricorrente avesse fornito la prova della illecita notifica, il che integrava il vizio di motivazione della cartella e la violazione del diritto di difesa.

Investita dall’appello proposto da Equitalia Nord Spa, quale agente per la riscossione per la provincia di (OMISSIS), che sostenne la correttezza dell’operato dell’agente della riscossione in relazione alla notifica della cartella, nonchè la inammissibilità dei motivi aggiunti proposti dalla ricorrente nel primo grado con memoria tardiva, la Commissione Tributaria regionale del Veneto, con sentenza n. 78/22/2012, depositata il 26 ottobre 2012, accolse l’appello di Equitalia Nord e compensò fra le parti le spese del giudizio. La Commissione Tributaria Regionale, premesso che la cartella di pagamento, in quanto primo atto del procedimento di riscossione, non richiedeva altra motivazione se non il riferimento alla iscrizione a ruolo ed alla relativa causale, che nella specie dovevano essere ritenuti presenti poichè il contribuente era stato posto in grado di individuarne gli estremi e di agire in giudizio a tutela delle proprie ragioni, il che aveva consentito alla notificazione di raggiungere il proprio scopo, ritenne che l’unico vizio dedotto con il ricorso iniziale, e cioè la assenza di motivazione della cartella per incompletezza dell’atto notificato, fosse insussistente poichè la contribuente aveva avuto conoscenza legale dell’atto e lo aveva tempestivamente impugnato con la precisa indicazione dei suoi estremi, mentre, quanto alla pretesa incompletezza dell’atto notificato, che pure era rimasta esclusa attraverso gli accertamenti interni svolti dall’agente della riscossione, avrebbe posto a carico della parte contribuente l’onere di richiedere all’agente della riscossione l’eventuale trasmissione della copia completa, come prevedono le avvertenze generali delle cartelle, restando nel contempo irrilevante la denuncia, da parte del contribuente, alla autorità di polizia del ricevimento di una copia incompleta della cartella, trattandosi pur sempre di una dichiarazione proveniente dalla stessa parte che non poteva provare la verità di un tale fatto soltanto attraverso la propria dichiarazione.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione F.C., con atto consegnato all’UNEP di Roma il 22 aprile e ricevuto dalla parte il 29 aprile, affidato a sei motivi, cui resiste con controricorso Equitalia Nord Spa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi due motivi di ricorso – che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro evidente connessione – la ricorrente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., e del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato per essere la sentenza incorsa in ultrapetizione ed in travisamento della causa petendi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, poichè la sentenza impugnata non aveva compreso l’oggetto del giudizio ed aveva deciso su una causa petendi che non era mai stata sollevata dalla contribuente con il ricorso iniziale e neppure posta a fondamento della sentenza di primo grado, così dando luogo ad un difetto di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, avendo ritenuto la sanatoria della notifica, mentre il contribuente non aveva mai dedotto che la notifica fosse nulla o irregolare, bensì soltanto che la consegna della cartella in modo incompleto la rendeva inidonea ad assolvere all’obbligo di motivazione, così come d’altronde riportato anche dalla sentenza impugnata nell’ultima pagina della motivazione, laddove aveva scritto “ne consegue che la sentenza appellata, nella parte decisiva in cui fa discendere l’annullamento della cartella dalla validità e regolarità della notifica è erronea e per altro non corrisponde neanche al motivo di ricorso proposto dalla contribuente che deduceva come unico vizio l’assenza di motivazione della cartella, essendo la notifica incompleta l’elemento di fatto che, secondo la contribuente, avrebbe dimostrato l’esistenza di tale vizio”. Inoltre si deduce la omessa pronuncia sul capo di domanda espresso che atteneva alla incompletezza della cartella notificata, il che ne determinava la assenza di motivazione.

1.1. I due motivi – a parte evidenti profili di inammissibilità discendenti dalla mancanza di autosufficienza poichè la parte ricorrente non trascrive integralmente i motivi iniziali di ricorso e tanto meno allega il ricorso iniziale al ricorso per cassazione – sono altresì infondati.

1.2. Con essi si deduce, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., violazione della regola processuale della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato per omessa pronuncia sulla domanda iniziale del contribuente che atteneva al vizio di motivazione della cartella e pronuncia invece su una diversa domanda, mai posta dalla contribuente, attinente al preteso vizio della notifica. I suddetti vizi peraltro sono smentiti dalla stessa esposizione del presente ricorso per cassazione, laddove viene trascritta la ratio decidendi della sentenza – che ha rilevato come il motivo di ricorso dedotto attenesse alla mancanza di motivazione conseguente alla notifica incompleta della cartella – e su tale motivo ha specificamente deciso la sentenza impugnata rilevando come, da un lato, per la motivazione della cartella fosse sufficiente il riferimento alla iscrizione a ruolo ed alla relativa causale, che nella specie dovevano essere ritenute presenti poichè il ricorso inziale conteneva gli elementi (fra cui gli estremi della cartella, che, secondo il ricorrente, sarebbero mancati nella cartella notificata parzialmente) che consentivano di individuare la pretesa, e, da altro lato, attraverso gli accertamenti interni svolti dall’agente della riscossione era risultato che la cartella spedita era completa per cui sarebbe spettato al contribuente dimostrane la incompletezza.

1.3. Vi è stata quindi una precisa pronuncia sul contenuto del ricorso iniziale della contribuente, mentre la ulteriore parte della sentenza di appello – che, secondo la ricorrente, avrebbe deciso su una causa petendi mai dedotta dalla ricorrente e cioè sulla sanatoria della nullità della notifica, con conseguente vizio di ultrapetizione – è specificamente collegata alla motivazione della sentenza di primo grado, impugnata dalla Agenzia laddove aveva fatto discendere la nullità della cartella “dalla prova della illecita notifica”, così imponendo al giudice di appello, nell’ambito dell’esame dei motivi di appello, di esaminare la questione della validità o meno della notifica onde rispondere al motivo di appello.

2. E’ infondato anche il terzo motivo con cui la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della regola dell’onere della prova sul contenuto e sulla completezza dell’atto notificato, in relazione all’art. 2697 c.c., poichè tale onere incombeva sul soggetto che aveva eseguito la notificazione e cioè sull’agente della riscossione, mentre invece la sentenza impugnata lo aveva erroneamente addossato alla contribuente.

2.1. In proposito la ricorrente invoca erronei principi giuridici, poichè è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il diverso principio per cui “in tema di notifica della cartella di pagamento mediante raccomandata, la consegna del plico al domicilio del destinatario risultante dall’avviso di ricevimento fa presumere, ai sensi dell’art. 1335 c.c., in conformità al principio di cd. vicinanza della prova, la conoscenza dell’atto da parte del destinatario, il quale, ove deduca che il plico non conteneva alcun atto o che lo stesso era diverso da quello che si assume spedito, è onerato della relativa prova (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 16528 del 22/06/2018 Rv. 649227 -02; Sez. 5 -, Ordinanza n. 30787 del 26/11/2019 Rv. 656342 – 01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10630 del 22/05/2015 Rv. 635447 – 01). La lettera raccomandata costituisce infatti prova certa della trasmissione del plico spedito, attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo al destinatario dell’atto comprendente la busta ed il suo contenuto, e dunque di conoscenza del medesimo, con conseguente trasferimento dell’onere probatorio al ricevente (v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 23920 del 22/10/2013 Rv. 628660 – 01).

2.2. Correttamente la sentenza impugnata ha perciò ritenuto che si dovesse presumere che la busta contenesse l’atto completo, mentre la ricorrente non aveva offerto alcuna prova della incompletezza dell’atto, avendo solo addotto di avere presentato una denuncia in tal senso alla autorità di polizia che, però, in quanto tale, costituiva un atto proveniente dalla parte interessata e non supportato da altri elementi.

2.3. La interpretazione della norma dedotta dal ricorrente non può quindi essere accolta in quanto in contrasto con i principi di diritto sopra esposti.

3. I motivi 4 e 5 di ricorso possono essere esaminati congiuntamente poichè attengono a violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, in relazione alla violazione dell’art. 115 c.p.c., ed a pretesa omessa o apparente motivazione in ordine agli accertamenti interni svolti dall’agente della riscossione che avevano condotto la Commissione Tributaria Regionale a ritenere che la cartella esattoriale fosse stata notificata in forma completa ed al riconoscimento del valore probatorio degli stessi.

3.1. La ricorrente assume sul punto che la sentenza non aveva specificato la natura di tali accertamenti interni, però si trattava di una mail inviata da un dipendente di Equitalia Servizi, società incaricata della stampa delle cartelle, da cui risultava che la cartella inviata alla signora F. era stata stampata ed imbustata senza alcuna anomalia, il che avrebbe dimostrato che le pagine che componevano il documento erano state tutte stampate ed imbustate senza errori. Tale argomentazione della sentenza, ad avviso della ricorrente, avrebbe violato il principio enunciato dall’art. 115 c.p.c., per essersi il giudice avvalso in via di presunzione di fatti sui quali controparte non aveva avuto possibilità di difendersi ed avrebbe anche comportato omessa o apparente motivazione su un punto decisivo della controversia attinente alla completezza o meno della cartella notificata alla contribuente.

3.2. I pretesi vizi sono insussistenti.

3.3. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità in questa sede, la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale (v., per tutte, Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 4699 del 28/02/2018 Rv. 647432 – 01; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 20382 del 11/10/2016 Rv. 642907 – 01). Infatti, in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c., si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c., (v. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892 – 01); il che è appunto quanto avvenuto nel caso in esame in cui la sentenza d’appello ha preso in esame tutte le prove dedotte dalle parti, fra cui il documento prodotto dall’agente della riscossione a dimostrazione della assenza di anomalie nel procedimento di stampa e di imbustamento della cartella poi notificata alla contribuente, senza disporre di propria iniziativa di poteri officiosi che avrebbero potuto consentire la deduzione della violazione dell’art. 115 c.p.c..

3.4. Quanto poi al preteso vizio di “omessa o apparente motivazione in ordine agli accertamenti interni che avevano condotto la Commissione Tributaria Regionale a ritenere che la cartella esattoriale fosse stata notificata in forma completa ed al riconoscimento del valore probatorio degli stessi”, occorre preliminarmente rilevare che esso è inammissibile perchè trattasi di censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione anteriore alla riforma di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, applicabile nella specie ratione temporis. Infatti il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012, ha modificato l’art. 360 c.p.c., n. 5, limitandone l’applicazione al solo caso di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e di ciò non ha tenuto conto la ricorrente che ha richiamato, a sostegno del ricorso, la norma non più applicabile.

3.5. L’attuale versione di detta norma, che è applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore dell’anzidetta legge di conversione, e dunque dall’11.9.2012 (nel caso in esame la sentenza è successiva in quanto pubblicata in data 26.10.2012), è stata interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte nel senso che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non è denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo più inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nè in quello del precedente n. 4, (v. Cass. n. 11892 del 2016). Pertanto, il vizio previsto dalla vigente disposizione sussiste qualora il giudice di appello abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, oppure ricorrano una “mancanza assoluta dei motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, una “motivazione apparente”, un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, a nulla rilevando il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. n. 21257 del 2014; da ultimo, v. Sez. 2 -, Ordinanza n. 20721 del 13/08/2018 Rv. 650018 – 02).

3.6. Nel caso in esame parte ricorrente contesta, però, l’apprezzamento non già dei fatti, operato dal giudice di appello, bensì la valutazione operata dal detto giudice con riguardo alle prove offerte dalle parti; e non si tratta neppure della “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente”, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o della “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, bensì eventualmente di un caso di un motivazione “insufficiente”, così come specificamente dedotto dalla Agenzia ricorrente, che, come tale, resta irrilevante poichè la censura si s’infrange ora anche contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis, secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonchè, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez. un. 19881 del 2014).

6. Con il sesto motivo, infine, si deduce, sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 17, della L. n. 241 del 1990, art. 3, e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25, poichè la notifica della cartella esattoriale incompleta precludeva al contribuente di comprendere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa con conseguente violazione dell’obbligo di motivazione dell’atto impositivo

6.1. Il motivo è inammissibile poichè, in tema di processo tributario, ove si censuri la sentenza della Commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di una cartella di pagamento – la quale è atto amministrativo e non processuale – il ricorrente, a pena di inammissibilità, deve trascrivere testualmente il contenuto dell’atto impugnato che assume erroneamente interpretato o pretermesso dal giudice di merito al fine di consentire alla Corte di cassazione la verifica della doglianza esclusivamente mediante l’esame del ricorso (v., per tutte, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 28570 del 06/11/2019 Rv. 655730 – 01); il che non è avvenuto nel caso in esame poichè la ricorrente deduce vizio di motivazione dell’atto impugnato ma non ha neppure indicato in quale parte specifica la motivazione sarebbe stata carente. Esso è comunque pure infondato.

6.2. Il motivo parte, in realtà, dal presupposto che l’atto notificato fosse incompleto – circostanza, questa, negata dalla sentenza impugnata – e censura l’argomento della sentenza impugnata secondo cui la cartella notificata era motivata nei suoi elementi essenziali, spettando se del caso al contribuente l’onere di richiederne altra copia all’agente della riscossione, il che si pone in contrasto con la ratio decidendi della sentenza impugnata per cui era rimasto provato in causa che la cartella notificata era completa, oltre che con il corretto principio di diritto affermato dalla sentenza impugnata secondo cui il difetto di motivazione della cartella esattoriale, che faccia rinvio ad altro atto costituente il presupposto dell’imposizione, non può condurre alla dichiarazione di nullità, allorchè la cartella sia stata impugnata dal contribuente il quale abbia dimostrato in tal modo di avere piena conoscenza dei presupposti dell’imposizione, per averli puntualmente contestati, ma abbia omesso di allegare e specificamente provare quale sia stato in concreto il pregiudizio che il vizio dell’atto abbia determinato al suo diritto di difesa (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 11722 del 14/05/2010 Rv. 613234 – 01).

6.3. In ogni caso non è prospettabile nella specie il vizio di violazione di legge poichè esso implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, al contrario, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, come nel caso in esame in cui la censura non pone un problema interpretativo della norma bensì di una erronea interpretazione dei fatti e delle prove dedotte in causa per avere il giudice di appello ritenuto che la cartella fosse motivata in quanto notificata nella sua completezza sulla base delle prove dedotte in causa. Si tratta in tal caso di una richiesta di rivalutazione delle prove dedotte in causa che non può essere avanzata al giudice di legittimità, essendo di esclusiva competenza del giudice di merito, il quale, peraltro, ha fatto corretta applicazione di principi giuridici consolidati.

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente – ferma restando la compensazione delle spese disposta per la fase di merito – deve essere condannata, per effetto della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate come in dispositivo.

9. Si deve, infine, dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte: Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese forfetarie, IVA e CPA. Da atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2020

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