Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17029 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 11/08/2016, (ud. 24/06/2016, dep. 11/08/2016), n.17029

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13189 – 2012 proposto da:

SOCIETA’ PER LA GESTIONE DI ATTIVITA’ – SGA SPA e per essa quale sua

mandataria INTESA SAN PAOLO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA RUBICONE 42, presso lo studio dell’avvocato CARLO ALFREDO

ROTILI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO

RICCARDO BOIARDI;

– ricorrente –

F.F., R.L.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

V.LE REGINA MARGHERITA 294, presso lo studio dell’avvocato ANGELO

VALLEFUOCO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CARMELO MACCARONE;

– controricorrenti e ric. incidentali –

nonchè contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 455/2011 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 22/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/06/2016 dal Consigliere Dott. FALABELLA MASSIMO;

udito l’Avvocato ROTILI Carlo Alfredo, difensore del ricorrente che

si riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato GIUFFRIDA Antonio con delega orale dell’Avvocato

VALLEFUOCO Angelo, difensore dei resistenti che si riporta agli atti

depositati, deposita l cartolina di ricevimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO LUIGI che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 17 dicembre 1994 Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. evocava in giudizio F.F. e R.L.M. deducendo di essere creditrice nei confronti del primo, che aveva prestato fideiussione per le obbligazioni di C.T.F. Trading s.r.l.; rilevava altresì che lo stesso convenuto, con atto trascritto il 5 marzo 1993, aveva donato all’altra convenuta, che era sua moglie, la metà della nuda proprietà di due fabbricati ubicati in Bergamo, in pregiudizio delle ragioni creditorie di essa banca. Nel corso del detto giudizio interveniva Banco di Napoli s.p.a. (ora Intesa Sanpaolo s.p.a.), che domandava accogliersi l’azione revocatoria avente ad oggetto il predetto contratto di donazione. E’ da precisare che in seguito il Banco di Napoli ha ceduto a S.G.A. s.p.a. i propri crediti. Il Banco di Napoli asseriva di essere creditore nei confronti del predetto F., alla data del 31 gennaio 1993, delle somme di Lire 793.439.385 e di Lire 125.300.000 con riferimento alla garanzia personale prestata in favore di C.T.F. per due diversi contratti di conto corrente.

Nella resistenza di F.F. e di R.M.L. il Tribunale di Bergamo rigettava le domande proposte delle due banche affermando che non risultava dimostrata la consapevolezza, da parte del donante, di arrecare pregiudizio alle regioni dei creditori.

Proposto appello da parte dei due istituti di credito, la Corte di appello di Brescia riformava la sentenza impugnata con esclusivo riferimento al capo delle spese di lite, che venivano compensate. Il giudice dell’impugnazione riteneva che, ai fini della proposta revocatoria, assumesse rilievo il momento in cui era stata concessa l’apertura di credito in conto corrente, posto che era in quel frangente che la singola banca creditrice aveva maturato il diritto a che la garanzia patrimoniale offerta dal fideiussore venisse mantenuta integra per assicurare il recupero delle somme che non le avesse corrisposto il debitore principale. Rilevava poi sussistente la consapevolezza, in capo a F., di pregiudicare, con l’atto dispositivo di una parte del proprio patrimonio, le ragioni delle banche creditrici. Osservava, tuttavia, che da un documento prodotto da F. nella fase di appello, contenente precise evidenze della Centrale dei rischi della Banca d’Italia, il credito si era ridotto a Euro 69.535,00 nei confronti di Intesa Sanpaolo nell’anno 2002 e a Euro 21.623,00 nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro nell’anno 2003: sicchè riteneva congrua la consistenza del patrimonio del fideiussore pur dopo la donazione di cui si è detto.

Quest’ultima pronuncia è oggetto del ricorso per cassazione proposto da Società per la Gestione di Attività – S.G.A. s.p.a., attraverso la procuratrice Intesa Sanpaolo; la ricorrente fa valere due motivi di impugnazione. Resistono F. e R., che hanno proposto un ricorso incidentale basato su di un unico motivo. Sono state depositate le memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c.. Osserva, in particolare, che ai fini del futuro esperimento dell’azione revocatoria è sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore, del pregiudizio che mediante l’atto di disposizione sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore e che si prospetti un pericolo di danno. Secondo la ricorrente, la Corte di appello, una volta constatata la consapevolezza, da parte di F., di pregiudicare, col compiuto atto di liberalità, le ragioni delle due banche appellanti, avrebbe dovuto accogliere la domanda di revocazione.

Con il secondo motivo è denunciata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia: ciò con riguardo all’affermazione della congruità del patrimonio del debitore rimasto a garanzia dei creditori dopo la donazione alla moglie. Si duole l’istante che la Corte di Brescia non abbia spiegato le ragioni per cui riteneva evidente l’adeguatezza del patrimonio del fideiussore.

I due motivi possono esaminarsi congiuntamente, in quanto impongono l’esame di questioni connesse.

La Corte di merito ha riconosciuto esistente, in capo a F., la scientia damni, ma ha nella sostanza escluso che ricorresse nella fattispecie l’eventus damni: ciò in quanto il patrimonio del predetto controricorrente, costituito dalla “metà dei suoi immobili in Bergamo”, era da ritenersi adeguato all’esposizione debitoria dello stesso fideiussore, per come si era andata riducendo nel corso del tempo (ammontando, nel 2002, a soli Euro 69.535,00).

Deve osservarsi, al riguardo, che l’esito dell’azione revocatoria non è impermeabile alle vicende che si determinino nella pendenza della lite e che attengano al credito che si intende tutelare con tale rimedio.

Si afferma giustamente in dottrina che l’atto del debitore, per essere revocabile, deve aver cagionato un danno, sicchè tra esso e l’eventus damni deve persistere uno specifico nesso di causalità. In assenza di una situazione di insolvibilità attuale del debitore, manca il presupposto del danno e, con esso, l’interesse ad agire, giacchè quest’ultimo deve correlarsi a un interesse sostanziale tutelabile, e tale interesse in tanto sussiste in quanto sussista la situazione di pregiudizio (per il creditore) derivante dalla nominata insolvibilità (del debitore). E’ stato pure sottolineato come il danno non possa essere cristallizzato nel tempo: esso, pur essendo esistente in un dato momento (quello in cui viene compiuto l’atto dispositivo), può venir meno successivamente; in particolare, per vicende successive al momento in cui è posto in essere l’atto revocando, può essere esclusa, in tutto o in parte, la lesione della garanzia patrimoniale che giustifica la declaratoria di inefficacia dell’atto.

La dottrina ha posto perciò in evidenza come il pregiudizio alle ragioni del creditore debba sussistere al tempo dell’atto dispositivo e permanere al momento della proposizione della domanda. Tale affermazione, senz’altro corretta, va però integrata col rilievo per cui se, in corso di causa, il pregiudizio in discorso viene meno, l’azione revocatoria non può essere accolta. A tal fine, occorre ricordare che l’actio pauliana è finalizzata a tutelare l’interesse, proprio del creditore, di conservazione della garanzia generica del debitore contro gli atti dispositivi che determinano o aggravano il pericolo della sua insufficienza. Infatti – ma ciò è ben noto l’accoglimento dell’azione revocatoria determina, come conseguenza, l’inefficacia dell’atto nei confronti del creditore che agisce per ottenerla, con conseguente possibilità per quest’ultimo di promuovere azioni esecutive o conservative su quei beni contro i terzi acquirenti, pur divenuti validamente proprietari (per tutte: Cass. 23 maggio 2014, n. 11491; Cass. 15 febbraio 2011, n. 3676). Sopravvenienze quali l’integrale estinzione del debito, ma anche l’irreversibile riduzione dello stesso a un quantum rispetto al quale la garanzia patrimoniale dell’obbligato risulti essere confacente (avendo riguardo all’entità e alla tipologia dei beni che la compongono),non possono non importare la carenza dell’interesse ad agire in revocatoria, il soddisfacimento delle ragioni dal momento che creditorie, in presenza di dette circostanze, non risulterà più pregiudicato, o comunque messo in pericolo, dall’atto dispositivo impugnato. E’ risaputo, del resto, che l’interesse ad agire deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione, ma anche nel momento della decisione (ad es.: Cass. 31 maggio 2005, n. 11609; Cass. 4 novembre 2004, n. 21100; Cass. 8 settembre 2003, n. 13113).

A tale conclusione, questa S.C. è pervenuta avendo riguardo al caso dell’estinzione dell’obbligazione. E’ stato affermato, in particolare, che l’integrale pagamento, in corso di causa, di quanto dovuto dal debitore determina il venir meno dell’interesse all’azione revocatoria, non sussistendo più l’esigenza di dichiarare, a garanzia del credito, ormai estinto, l’inefficacia dell’atto di disposizione del patrimonio (Cass. 4 novembre 2004, n. 21100 cit.).

Non dissimile esito deve avere lo scrutinio della fattispecie che qui viene in esame: fattispecie che si identifica nell’abbattimento del debito (non più suscettibile – oltretutto – di successivo incremento, stante la revoca degli affidamenti concessi all’obbligata principale) in misura tale da far ritenere che la garanzia patrimoniale del fideiussore (costituita, nella specie, dalla metà di due fabbricati) risultasse “congrua”: e cioè idonea ad assicurare il soddisfacimento delle ragioni creditorie.

E’ certo questione di fatto, da valutarsi caso per caso, se, in concreto, al momento della decisione della causa, la lesione della garanzia patrimoniale posta in essere con l’atto dispositivo possa ritenersi sussistente. E’ innegabile, però, che tale tematica, per inerire all’eventus damni, e quindi all’interesse sostanziale protetto vantato dalla parte che agisce in revocatoria, si rifletta come evidenziato sull’interesse ad agire della stessa: sicchè deve ribadirsi che essa, concernendo una condizione che deve persistere al momento della decisione, ben possa (e anzi debba) essere scrutinata dal giudice che sia chiamato a pronunciarsi sull’accoglimento della domanda ex art. 2901 c.c..

Al riguardo, non può farsi questione di un deficit argomentativo della Corte di appello, dal momento che l’accertamento speso risulta sorretto da una motivazione logica ed esauriente, siccome basata sul raffronto tra la consistenza e la tipologia dei due cespiti (porzioni di fabbricato) e l’entità del debito; l’accertamento di fatto in sè considerato, del resto, non è sindacabile nella presente sede.

Il ricorso principale è dunque infondato.

Con il ricorso incidentale i controricorrenti lamentano violazione o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.. La censura investe la statuizione di compensazione delle spese adottata dal giudice del gravame e si basa sul rilievo per cui la tardiva produzione del documento in grado di appello evenienza che aveva indotto la Corte di merito a disporre nel senso della compensazione delle spese processuali non era dipesa da una scelta dell’appellato nè, tantomeno, dall’attuazione di una sua strategia difensiva.

Il motivo non è fondato.

Al presente giudizio, instaurato nel giugno 1995, è applicabile l’art. 92 c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a), (giusta la previsione dell’art. 2 cit., comma 40). Non è quindi conferente il richiamo a Cass. S.U. 22 febbraio 2012, n. 2572, che si è occupata di quello stesso articolo, ma nel testo novellato, pochi anni dopo, alla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11.

Ciò detto, in tema di spese processuali, la valutazione della opportunità della compensazione totale o parziale delle stesse rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunciate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza (consistente nel divieto di condanna alle spese della parte che risulti totalmente vittoriosa), o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (ex plurimis: Cass. 29 aprile 1999, n. 4347; Cass. 14 aprile 2000, n. 4818; Cass. 2 febbraio 2001, n. 1485; cfr. pure Cass. 4 luglio 2011, n. 14542). In particolare, poichè il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, esula dai limiti connessi all’accertamento di legittimità e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass. 23 aprile 2001, n. 5988; Cass. 5 aprile 2003, n. 5386; Cass. 19 giugno 2013, n. 15317). La decisione da parte della corte del merito che, pur in presenza del rigetto dell’appello, ha inteso compensare le spese di giudizio peraltro motivando specificatamente la propria decisione non può, quindi, costituire materia devoluta al presente giudizio di legittimità.

Anche il ricorso incidentale va quindi respinto.

Tenuto conto dell’esito del giudizio di legittimità e del rilievo che assumono, nell’economia complessiva della controversia portata all’esame della Corte, le doglianze oggetto dei due ricorsi, principale e incidentale, deve individuarsi nella banca la parte soccombente, sicchè ad essa devono far carico le spese processuali.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; condanna parte ricorrente al pagamento selle spese processuali, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda Sezione Civile, il 24 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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