Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17028 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/06/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 16/06/2021), n.17028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15787/2017 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL, (C.F. (OMISSIS)), in persona del curatore

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. MARIO NUSSI,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. VINCENZO

SINOPOLI in Roma, Viale Angelico, 38;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del

Friuli-Venezia Giulia, n. 51/2/17, depositata in data 9 febbraio

2017.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 13 aprile

2021 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La società contribuente (OMISSIS) SPA ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta dell’esercizio 2006, con il quale veniva rettificato il reddito di impresa e recuperate IRES, IRAP e IVA. L’atto impositivo traeva origine da una verifica fiscale, nel corso della quale venivano formulati diversi rilievi, aventi ad oggetto (per quanto di interesse) l’indebita deduzione di quote di ammortamento conseguenti a rivalutazione di alcuni beni di impresa, la parziale indeducibilità di indennità chilometriche, la parziale indeducibilità di spese qualificate di rappresentanza e non pubblicitarie, l’indeducibilità di costi per acquisto di prodotti da società controllata estera (Isa Moebel), ritenuti antieconomici in applicazione della disciplina dei prezzi di trasferimento, nonchè l’indeducibilità di spese legali e consulenze in quanto non inerenti.

La CTP di Gorizia ha rigettato il ricorso e la CTR del Friuli-Venezia Giulia, con sentenza in data 9 febbraio 2017, ha accolto l’appello della società contribuente. Ha ritenuto la CTR, in relazione al recupero di quote di ammortamento conseguenti alla rivalutazione di beni di impresa, che la contribuente ha correttamente esercitato l’opzione per il regime di rivalutazione in relazione a un macchinario, ritenendo correttamente non esercitata l’opzione per gli altri beni in quanto di scarso valore. Ha ritenuto, quanto alle indennità chilometriche, corretto il calcolo effettuato dalla contribuente secondo il costo chilometrico, nonchè corretta l’iscrizione delle spese qualificate dall’Ufficio come spese di rappresentanza, trattandosi di spese inerenti alla conclusione di uno specifico affare. Quanto alla indeducibilità degli acquisti operati dalla controllata estera Isa Moebel, la CTR ha osservato che il campione utilizzato dall’Ufficio a raffronto degli acquisti operati dalla contribuente non fosse adeguato, sia in quanto la controllata estera venditrice operava come distributore dei prodotti della contribuente, senza che il costo dell’invenduto gravasse sulla venditrice, sia in quanto le imprese indipendenti vendevano al cliente finale, diversamente dalla venditrice della società contribuente, il che ha comportato margini di ricarico inferiori per la controllata estera rispetto alle imprese del campione evidenziato dall’Ufficio. Ha, infine, ritenuto l’Ufficio inerenti le spese legali e per consulenze in procedimenti penali a carico degli amministratori della società.

Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a cinque motivi; resiste con controricorso il fallimento della società contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1 – Con il primo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 11, e della L. 24 dicembre 2003, n. 350, nella parte in cui la sentenza impugnata ha annullato il rilievo relativo alla indebita deduzione di maggiori quote di ammortamento. Deduce il ricorrente che la rivalutazione concerne una macchina bordatrice facente parte del raggruppamento “impianti e macchinari”, omettendosi la rivalutazione di tutti gli altri beni della stessa categoria omogenea. Deduce il ricorrente che il mancato esercizio della facoltà di rivalutazione in relazione all’intera categoria omogenea cui apparteneva il cespite oggetto di rivalutazione fa venir meno l’effetto della rivalutazione ai fini fiscali.

1.2 – Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), art. 95, comma 3, nella parte in cui la CTR ha annullato la ripresa relativa alle indennità chilometriche, ritenendo che l’Ufficio avrebbe applicato un prezzo medio valido per qualunque autovettura. Deduce parte ricorrente di avere effettuato il calcolo del costo chilometrico secondo le tabelle ACI in relazione ai singoli mesi in cui sono avvenute le trasferte e di avere contestato i soli importi eccedenti quelli fiscalmente deducibili.

1.3 – Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 108 TUIR, comma 2, dell’art. 109TUIR e dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha annullato il rilievo relativo alle spese di rappresentanza. Deduce il ricorrente che le spese indicate dalla contribuente afferissero a spese di vitto e alloggio per ospitare clienti in visita in azienda, dedotti come costi promozionali, laddove secondo l’Ufficio si trattava di spese relative a pranzi offerti a clienti dell’impresa, da considerare quali spese di rappresentanza. Osserva il ricorrente che non vi fosse prova di correlazione delle spese con i ricavi. Deduce il ricorrente che la CTR avrebbe valorizzato una mera dichiarazione resa dalla contribuente, così violando le regole di riparto dell’onere della prova, osservandosi, inoltre, che mancherebbe correlazione tra le spese sostenute e gli affari.

1.4 – Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 110 TUIR, comma 7, e dell’art. 2697 c.c., nella parte in cui è stata annullata la ripresa in tema di prezzo di trasferimento. Deduce il ricorrente che la contribuente ha accettato di riacquistare dalla controllata estera Isa Moebel alcuni prodotti ad essa già venduti, sopportando interamente il costo dei resi, con una operazione fuori da ogni logica di mercato. Deduce di avere comparato tali operazioni con altre operazioni compiute dalla contribuente con altri rivenditori indipendenti, dai quali aveva riacquistato beni a loro già ceduti, in relazione ai quali i clienti finali avevano esercitato il diritto di recesso. Deduce il ricorrente che tale accordo con i rivenditori indipendenti costituiva un acquisto e non un reso merce e che su tali transazioni il valore di cessione (o meglio di riacquisto) era pari al 48% del valore originario di cessione, laddove la contribuente si obbligava nei confronti della controllata infragruppo a un riacquisto dei beni a prezzo pieno, significativamente superiore al valore normale, determinato in base agli acquisti operati dalla contribuente dai rivenditori indipendenti.

1.5 – Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 190 TUIR, nella parte in cui la CTR ha ritenuto deducibili le spese legali e le consulenze relative a cause sostenute nell’interesse degli amministratori della società. Evidenzia il ricorrente che le spese attinenti ai procedimenti penali sono sostenute nell’interesse degli amministratori e non della contribuente, non essendovi correlazione tra processo penale e contratto di mandato che lega gli amministratori alla società, con conseguente riferibilità della spesa alla persona fisica nei cui confronti è instaurato il giudizio penale. Il ricorrente richiama, poi, a sostegno, la motivazione del giudice di prime cure, che aveva escluso l’inerenza dei costi in quanto non riferibili ad attività da cui derivassero ricavi o proventi che formavano il reddito di impresa della società contribuente dichiarata fallita.

2 – Va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso nel suo complesso, essendo lo stesso articolato con profili di doglianza per i quali è stato analiticamente indicato sia il parametro normativo, sia la tipologia di doglianza.

3 – Va rigettata l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di ricorso, avendo lo stesso ad oggetto la individuazione del perimetro applicativo della L. n. 342 del 2000, art. 11, nè essendo lo stesso motivo preordinato a un riesame della quaestio facti sottoposta al giudice del merito.

3.1 – Il primo motivo, incentrato sulla inesatta interpretazione della norma in oggetto, nella parte in cui la CTR ha inteso che possano essere oggetto di rivalutazione solo quei beni per i quali il valore di iscrizione si discosti dal valore di mercato e non tutti i beni facenti parte della medesima categoria omogenea, è fondato. La L. n. 342 del 2000, art. 10, prevede per i soggetti indicati nel D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), art. 87, comma 1, lett. a) e b), “la possibilità anche in deroga all’art. 2426 c.c., e ad ogni altra disposizione di legge vigente in materia, di rivalutare i beni materiali e immateriali con esclusione di quelli alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività di impresa”. La stessa L., al successivo art. 11, comma 1, prevede che la rivalutazione debba “riguardare tutti i beni appartenenti alla stessa categoria omogenea”, mentre l’art. 12, prevede che il contribuente possa affrancare fiscalmente il bene rivalutato, versando sui maggiori valori iscritti l’imposta del 19% (se si tratta di beni ammortizzabili), importo rateizzabile, nonchè indeducibile (commi 1 e 2). Dispone, poi, il D.M. 13 aprile 2001, n. 162, art. 4, che i beni materiali ammortizzabili diversi dai beni immobili devono essere raggruppati in categorie omogenee per anno di acquisizione e coefficiente di ammortamento.

3.2 – Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’applicazione della rivalutazione all’intera categoria economica si configura come una vera e propria condizione per poter usufruire del regime opzionale della rivalutazione ai fini fiscali, con la possibilità di affrancare il maggior valore dei beni rivalutati previo pagamento dell’imposta sostitutiva, sicchè, in caso di violazione di tale obbligo, e cioè di esclusione di alcuni beni dalla rivalutazione, gli effetti fiscali della rivalutazione stessa devono essere disconosciuti per tutti gli altri beni della stessa categoria (Cass., Sez. V, 28 settembre 2018, n. 23491; Cass., Sez. V, 30 novembre 2017, n. 28728; Cass., Sez. V, 21 ottobre 2015, n. 21349).

3.3 – La decadenza dalla rilevanza ai fini fiscali della rivalutazione in caso di mancata applicazione della rivalutazione a tutti i beni appartenenti alla stessa categoria omogenea è, del resto, un effetto della natura opzionale del regime stesso. Se, difatti, il contribuente non procedesse alla rivalutazione di tutti i beni e vi fossero dei beni appartenenti alla categoria omogenea non oggetto di rivalutazione, l’Ufficio non potrebbe sostituirsi al contribuente (come invece propugna la sentenza impugnata) nell’esercitare la scelta del regime opzionale, riservata al contribuente, dovendo limitarsi a prendere atto della non riconoscibilità della rivalutazione ai fini fiscali, disconoscendo (ove la rivalutazione sia avvenuta applicando il maggior valore a incremento del costo storico) le maggiori deduzioni sulle maggiori quote di ammortamento.

La sentenza impugnata non si è attenuta a tali principi e va cassata.

4 – Il secondo motivo, condividendosi l’eccezione di parte controricorrente, è inammissibile. L’art. 95 TUIR, comma 3, prevede che ove il dipendente sia stato autorizzato ad utilizzare un autoveicolo di sua proprietà per trasferte, “la spesa deducibile è limitata, rispettivamente, al costo di percorrenza o alle tariffe di noleggio relative ad autoveicoli di potenza non superiore a 17 cavalli, ovvero 20 se con motore diesel”. La CTR, con accertamento in fatto incensurabile in questa sede, ha accertato che la contribuente ha effettuato i rimborsi tenendo conto del costo chilometrico relativo ad autoveicoli di potenza non superiore a 17 cavalli fiscali, riscontrando tale circostanza in fatto da una tabella allegata in atti e accertando la conformità alle tabelle ACI per l’esercizio oggetto di accertamento. La sentenza ha, quindi, fatto corretta applicazione della disposizione in oggetto. Invero, con il motivo di ricorso il ricorrente chiede di riesaminare il ragionamento decisorio che ha portato il giudice del merito a ritenere corretta la deduzione operata dalla contribuente, rigettando la ripresa fondata sull’esistenza di importi eccedenti quelli fiscalmente deducibili, ragionamento incensurabile in questa sede, se non sotto il profilo dell’omesso esame di fatto decisivo.

5 – Il terzo motivo è analogamente inammissibile. La CTR ha ritenuto, con giudizio in fatto incensurabile, che le spese sostenute dalla contribuente per ospitare clienti in visita presso lo stabilimento fossero spese inerenti alla conclusione di uno specifico affare “poichè riferite a clienti che arrivano dall’estero (…) i costi per il vitto vengono assunti dalla ricorrente in quanto direttamente collegato alla stipulazione di vendite od acquisti”. Così operando la CTR non si è discostata dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il criterio discretivo tra spese di rappresentanza e spese di pubblicità va individuato negli obbiettivi, anche strategici, perseguiti mediante le stesse, che, nella prima ipotesi, coincidono con la crescita d’immagine ed il maggior prestigio, nonchè con il potenziamento delle possibilità di sviluppo della società, senza correlazione con l’incremento delle vendite (Cass., Sez. V, 15 giugno 2018, n. 15843), mentre, nell’altra ipotesi, consistono in una diretta finalità promozionale e di incremento commerciale, concernente la produzione realizzata in un determinato contesto (Cass., Sez. V, 23 maggio 2018, n. 12676; Cass., 17 febbraio 2016, n. 3087).

Il ricorrente, contestando la mancata correlazione delle spese a uno specifico affare, contesta il giudizio tratto dalla CTR sugli elementi di prova esaminati dal giudice del merito, compito a quest’ultimo riservato.

6 – Il quarto motivo è infondato. Dispone l’art. 110 TUIR, comma 7, nella formulazione pro tempore, che “i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa o sono controllate dalla stessa (…) sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti (…), determinato a norma del comma 2, se ne deriva aumento del reddito”. A sua volta, il medesimo art., comma 2, dispone che “per la determinazione del valore normale dei beni e dei servizi e, con riferimento alla data in cui si considerano conseguiti o sostenuti, per la valutazione dei corrispettivi, proventi, spese e oneri in natura o in valuta estera, si applicano, quando non è diversamente disposto, le disposizioni dell’art. 9”. Per effetto del doppio rinvio recettizio, il “valore normale” di transazione (secondo la formulazione pro tempore) al quale comparare beni, servizi e corrispettivi scambiati infragruppo al fine di eventuali riprese reddituali è quello previsto dall’art. 9 TUIR, il quale al comma 3, dispone che “per valore normale (…) si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso”. Ciò posto, l’art. 9 TUIR, comma 3, individua quale strumento di calcolo del “valore normale” (e, quindi, del valore che sarebbe praticato in un regime di libera concorrenza) il metodo del confronto del prezzo con imprese indipendenti (cd. metodo CUP, Comparable Uncontrolled Price), declinato della duplice versione del “confronto interno” (confronto con una transazione effettuata dal soggetto che deve applicare il prezzo di trasferimento con un soggetto terzo indipendente) e del “confronto esterno” (confronto tra transazioni in cui cedente e cessionario sono soggetti terzi rispetto al gruppo).

6.1 – L’osservanza dell’esatta individuazione del metodo di comparazione e del relativo campione è fondamentale ai fini dell’assolvimento da parte dell’amministrazione finanziaria dell’onere di provare l’esistenza di transazioni economiche a un valore che si dimostri inferiore a quello di mercato (Cass., Sez. V, 16 gennaio 2019, n. 898; Cass., Sez. V, 16 aprile 2014, n. 8849; Cass., Sez. V, 8 maggio 2013, n. 10739; Cass., Sez. V, 13 luglio 2012, n. 11949), allo scopo di accertare lo spostamento di materia imponibile dall’impresa residente a quella consociata non residente (Cass., Sez. V, 6 settembre 2017, n. 20805; Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9673; Cass., Sez. V, 15 novembre 2017, 27018; Cass., Sez. V, 15 aprile 2016, n. 7493; Cass., 30 giugno 2016, n. 13387; Cass., Sez. V, 18 settembre 2015, n. 18392). A questo riguardo, questa Corte ritiene costantemente di fare applicazione delle Linee Guida OCSE, ripetutamente aggiornate (Rapporto 1979, Linee Guida del 1995, aggiornate nel 2010 e nel 2017), quali linee interpretative utili per individuare i metodi di comparazione da utilizzare nella verifica della correttezza del prezzo di trasferimento e delle eventuali riprese reddituali (Cass., Sez. V, 9 ottobre 2020, n. 21828; Cass., Sez. V, 6 agosto 2020, n. 16755; Cass., Sez. V, 18 giugno 2020, n. 11837; Cass., Sez. V, 5 aprile 2019, n. 9615; Cass., Sez. V, 27 dicembre 2018, n. 33406; Cass., Sez. V, 16 novembre 2018, n. 29529; Cass., Sez. V, Cass., Sez. V, 15 novembre 2017, n. 27018, cit.; Cass., Sez. V, 27 ottobre 2017, n. 25566; Cass., Sez. V, 22 aprile 2016, n. 8130; Cass., 15 aprile 2016, n. 7493, cit.; Cass., Sez. V, 19 ottobre 2012, n. 17953).

6.2 – Nella specie, la ripresa concerne riacquisti di merce venduta a una società infragruppo trasfrontaliera, già assoggettata a controllo da parte della contribuente, avente funzione di distributrice commerciale. Il riacquisto riguardava merci rifiutate dai clienti finali sulla base dell’esercizio di un diritto di recesso a questi concesso e, pertanto, contrattualmente riacquistati dalla contribuente. In relazione a tali operazioni di riacquisto l’Ufficio, come risulta dall’avviso impugnato, trascritto per specificità, ha utilizzato il metodo del confronto interno con analoga transazione compiuta dalla contribuente con imprese indipendenti. L’Ufficio ha evidenziato che a queste ultime imprese indipendenti era stato riconosciuto uno sconto del 52%, riducendosi il riacquisto al 48% del valore originario, diversamente che per la controllata transfrontaliera, per la quale non veniva applicato alcuno sconto, per cui il riacquisto avveniva a prezzo pieno. Il prezzo così scontato con le imprese indipendenti è stato individuato dall’Ufficio quale valore normale, rispetto al quale è stata effettuata la ripresa degli acquisti operati dalla contribuente con la società controllata trasfrontaliera, che invece operava (come si è visto) a prezzo pieno.

6.3 – Nella specie la CTR ha ritenuto, con giudizio in fatto incensurabile in questa sede, che il campione di comparazione utilizzato dall’Ufficio per la ripresa sugli acquisti non fosse idoneo a comparare le transazioni operate dalla contribuente con la consociata transfrontaliera secondo il metodo del confronto interno. Ha, in particolare, ritenuto la CTR che la controllata estera operasse in modo del tutto diverso dalle imprese indipendenti, sia in quanto la consociata estera operava come mero distributore del gruppo, sia in quanto la medesima società infragruppo aveva come clienti imprese dello stesso livello di commercializzazione di quelle prese a riferimento dall’Ufficio (“gli acquirenti di ISA erano ditte cataloghiste, quindi allo stesso livello di commercializzazione del gruppo Otto”), e non il consumatore finale, il che avrebbe comportato minori margini di ricarico per la controllata rispetto alle imprese indipendenti, circostanza che spiega il “maggior favore nel prezzo dei resi”. La CTR ha, pertanto, ritenuto che le imprese indipendenti i cui prezzi erano stati presi a riferimento per il “confronto interno” non fossero comparabili con la consociata estera, dando rilievo all’analisi funzionale, ossia alla funzione economica ricoperta dalle imprese concorrenti rispetto all’impresa transfrontaliera, non trovandosi le suddette imprese nella stessa fase di commercializzazione dei prodotti; analisi funzionale che si rivela fondamentale ai fini della comparabilità delle transazioni con imprese indipendenti ai fini dell’individuazione del valore normale, ovvero del valore di acquisto praticato con imprese in regime di libera concorrenza in condizioni comparabili (punti 1.54, 1.55, 1.56, 1.59, e ss. Linee Guida cit.). Nel valutare la non comparabilità del campione utilizzato dall’Ufficio ai fini della ricostruzione del “valore normale”, la CTR ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte.

7 – Il quinto motivo è infondato. Secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte, in tema di reddito d’impresa, ai fini della deducibilità dei costi sostenuti, il contribuente è tenuto a dimostrarne l’inerenza, intesa in termini qualitativi e dunque di compatibilità, coerenza e correlazione, non già ai ricavi in sè, ma all’attività imprenditoriale svolta (Cass., Sez. V, 2 febbraio 2021, n. 2224; Cass., Sez. VI, 8 marzo 2021, n. 6368; Cass., Sez. V, 21 novembre 2019, n. 30366; Cass., Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 27786; Cass., Sez. V, 30 maggio 2018, n. 13588). Si è, in particolare, rilevato che “il giudizio quantitativo o di congruità non è del tutto irrilevante ed accede al diverso piano logico e strutturale dell’onere della prova (…) la dimostrata sproporzione assume valore sintomatico, di indice rivelatore, in ordine al fatto che il rapporto in cui il costo si inserisce è diverso ed estraneo all’attività d’impresa, ossia che l’atto, in realtà, non è correlato alla produzione ma assolve ad altre finalità e, pertanto, il requisito dell’inerenza è inesistente” (Cass. Sez. V, 28 dicembre 2018, n. 33574).

7.1 – Nella specie, la sentenza ha accertato che “il parametro di inerenza di una spesa si colloca nella sua correlazione con l’attività di impresa”, motivato dal fatto che “vi è l’esigenza di garantire gli amministratori di una società del fatto che il corretto perseguimento degli interessi sociali non cagioni loro alcun danno”.

L’Ufficio non ha dedotto, in relazione alle attività difensive, che le stesse fossero estranee all’attività di impresa, nè ha dedotto l’antieconomicità delle stesse in termini di incongruità dei costi sostenuti in relazione al compito svolto dai difensori. Nell’accertare, pertanto, l’inerenza delle spese all’attività di impresa, la sentenza impugnata si è, pertanto, attenuta ai menzionati principi.

8 – La sentenza va, pertanto, cassata, in relazione al solo primo motivo, con rinvio alla CTR a quo anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara inammissibili il secondo e il terzo motivo, rigetta il quarto e il quinto motivo; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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