Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17027 del 25/07/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 17027 Anno 2014
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 14333-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI 97210890584
in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope
legis;

ricorrente contro
CAD SERVIZI DOGANALI SRL in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
PO 9, presso lo studio dell’avvocato NAPOLITANO FRANCESCO,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MILI I ERNO
ALESSANDRA, giusta delega a margine del controricorso;

controricorrente

Goe9

Data pubblicazione: 25/07/2014

avverso la sentenza n. 321/23/2012 della Commissioné Tributaria
Regionale di FIRENZE – Sezione Staccata di LIVORNO del
19.11.2012, depositata il 05/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
22/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI

In fatto e in diritto
L’Agenzia delle Dogane ha impugnato con ricorso per cassazione, affidato ad
un unico motivo, la sentenza resa dalla CTR Liguria n.322/23/12, depositata il
19.11.2012, che ha confermato la decisione di primo grado con la quale era
stato annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della C.A.D.
Servizi doganali per la ripresa a tassazione di dazi doganali in relazione
all’importazione di lamiere nastri di leghe in alluminio provenienti dal
Venezuela scortati, secondo l’amministrazione doganale, da certificati FORM
A falsi.
Secondo il giudice di appello era provato che l’autorità doganale! venezuelana,
alla quale era stato richiesto a posteriori da quella italiana il controllo dei
certificati presentati dall’esportatore, aveva attestato la genuinità delle
certificazioni di origine entro il termine prescritto.
L’Agenzia ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.81,85 e
94 5^comma reg.CEE b.2454/73 e dell’art. 201 Reg.2913/92 —CDC-.
Lamenta, in particolare, che l’art.85 non si rivolgeva all’autorità’ doganale del
paese esportatore, ma a quella del paese importatore, tenuto ai verificare la
sussistenza delle condizioni previste dal legislatore comunitario Per il rilascio
dei certificati di origine. Né poteva applicarsi l’art.85 in ipotesi certificato di
origine falso, come era risultato nel caso di specie, applicandosi l art85 ai casi
di certificato di origine originariamente contenente errori mhteriali nella
compilazione. La CTR non aveva, nemmeno, considerato che l’ ilart.201 CDC
impediva di dare rilievo alla certificazione FORM emessa sucCessivamente,
disattendendo i principi espressi da Cass.n.10785/12.
La società contribuente, costituitasi con controricorso, ha chiesto il rigetto del
ricorso, rilevando la perfetta conformità a legge della decisione impugnata,
proprio alla luce della giurisprudenza di questa Corte richiamata dalla parte
ricorrente e in ogni caso rilevando di avere esposto nel giudizio di appello
ulteriori eccezioni ritenute implicitamente accolte dalla CTR.
Il motivo è infondato.
Le censure esposte dall’Agenzia ricorrente offrono una lettura del quadro
normativo di riferimento non si attaglia al caso di specie, ormai
definitivamente determinato sulla base degli accertamenti di fatto compiuti
dalla CTR. Quest’ultima ha ormai definitivamente accertato che, a fronte di
una presentazione di certificati di origine rilasciati dalle autorità doganali
venezuelane Form A, l’autorità doganale interna ne ha richiesto il controllo,
ricevendo dalla prima l’attestazione circa la genuinità cl iell’originaria
certificazione.
Ric. 2013 n. 14333 sez. MT- ud. 22-05-2014
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CONTI.

Ric. 2013 n. 14333 sez. MT ud. 22-05-2014
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Conseguentemente, è fuori bersaglio la difesa dell’Agenzia laddove evoca
l’art.201 CDC e l’art.81 dello stesso codice doganale comunitgrio, qui non
controvertendosi in ordine all’emissione di nuova certificazione diversa da
quella presentata dall’importatore o di certificazione noh presentata
dall’esportatore ma, piuttosto, della dimostrazione fornita dall’autorità doganale
del paese esportatore — su impulso dell’autorità del paese impo tore- circa la
genuinità delle certificazioni presentate da parte dell’ esportator all’atto della
presentazione in dogana della merce.
In sostanza, l’esportatore ha rispettato il principio di cartolarità che informa la
disciplina eurounitaria dei regimi preferenziali, rimanendo l subordinato
l’esercizio del diritto alla esenzione, ovvero la applicazione MI beneficio
tariffario, alla condizione esclusiva (non essendo consentita13 na prova di
origine diversa), della “presentazione di un certificato di origi
modulo A”
(art. 80 paragr. 1, lett. a), ed art. 81 paragr. 1, reg. CEE n. 2454/93).
La questione sulla quale si sono confrontate le parti processuali è stata dunque
quella relativa alla genuinità della certificazione, per risolvere la qyale l’autorità
doganale interna ha sollecitato il controllo a posteriori, ricevendo le notizie di
cui si è detto.
Tanto è sufficiente per sgombrare il campo dalle prospettate violazioni degli
artt.81 DAC e 201 CDC. i
Nemmeno persuasivi appatene, poi, rilievi esposti dall’Agenzia in ordine agli
artt.85 e 94 poiché a sostegno delle tesi esposte la ricorrente ha evocato un
precedente di questa Corte che, come puntualmente rappresentato dalla
controricorrente, finisce con il confermare la correttezza della decisione
impugnata.
Ed invero, Cass.n.10785/12, ben lungi dall’escludere la possibilità di attivare il
meccanismo di controllo a posteriori in caso di ipotizzati errori o falsità da parte
delle autorità doganali del paese esportatore, le ammette esplicitamente. Nel
precedente appena evocato, infatti, la Corte ha chiarito che il meccanismo
dell’art.94 DAC non può essere validamente sperimentato nel caso di
utilizzazione da parte dell’esportatore di certificati di origine che “non”
riguardavano la merce esportata, invece applicandosi a fattispecie
sostanzialmente sovrapponibile a quella per cui è qui causa.
La Corte, infatti, dopo avere chiarito che nel caso posto al suo vaglio “… non
viene in contestazione la validità di tali certificati (con riferimento a vizi di
genuinità o di alterazione del documento, ovvero ad inesattezze od errori
imputabili alle autorità dello Stato terzo emittente), quanto piuttosto la
mancanza “tout court” di certificati Form-A di accompagnamehto (di parte)
della merce importata dalla società nel periodo 2002-2004″., ha proseguito
affermando che “…la fattispecie in esame esula dal procedimento disciplinato
dall’art. 94 del reg. CEE n. 2454/1993 che non contempla la ipotesi di prodotti
merceologicamente diversi – secondo le voci del nomenclatore doganale
armonizzato – da quelli indicati ne certificato Form-A, ma ha ad oggetto le
distinte ipotesi in cui sussista un “ragionevole motivo di dubbio” che il
documento non sia “autentico” (id est: non provenga dalla autorità
competente:presenti alterazioni nella impronta dei timbri ufficiali ovvero nel
formato del modulo) ovvero che i prodotti specificamente indicati nel
certificato (e corrispondenti a quelli realmente importata non siano “originari”
del Paese esportatore (art. 94, paragr. 1 reg. cit.) o il che è a dire che il

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documento attestante la origine preferenziale sia falso o comunque rechi dati
inesatti. Solo in tal caso, infatti, l’autorità doganale dello Stato membro, previa
“rispedizione” del certificato modello A ed invio di “tutti i documenti e le
informazioni ottenute che facciano sospettare la presenza di inesattezze relative
alla prova dell’origine” è tenuta a richiedere alle autorità dello Stato emittente
di effettuare le verificare opportune comunicando all’esito i risultati. Al di fuori
delle ipotesi indicate che implicano la contestazione della validità o della
efficacia probatoria della origine da riconoscere al documento ~esso dallo
Stato esportatore, la speciale disciplina della cooperazione interstatuale in
materia dì controlli a posteriori non trova applicazione: e nel caso di specie,
come si è visto, non si contesta nè la validità, nè la origine preferenziale dei
prodotti identificati nel certificato.”
I principi espressi da questa Corte ar.3pWeso condivisibili e determinano,
conseguentemente, la piena possibilità dell’autorità doganale del paese
importatore non solo di chiedere notizie sulla regolarità ed esistenza della
certificazione di origine rilasciata dall’autorità doganale del paese esportatore
ma, anche, di rispettare quanto dalla stessa affermato in ordine a certificazioni
dalla medesima emessi. Appare dunque fuori bersaglio la censura fondata
sull’art.85 Reg.2454/1993 che riguarda il rilascio a posteriori del certificato
d’origine.
Del resto, tale obbligo di conformazione alle dichiarazioni della dogana del
paese esportatore trae origine diretta dal diritto comunitario e dal sistema di
controlli a posteriori previsto proprio per impedire frodi ma, anche per
salvaguardare l’esportatore da eventuali errori che potessero dipendere
dall’autorità pubblica e non da attività allo stesso riferibili.
In questa direzione è utile richiamare i principi più volte affermati dalla Corte
di giustizia in materia di accordi di libero scambio tra UE e paesi extra UE, ma
sicuramente espressivi di un principio immanente alla materia regolata dal CDC
e dal DAC. Come stabilito dalla Corte di Giustizia in merito ai protocolli
relativi alla definizione della nozione di «prodotti originari» e a metodi di
cooperazione amministrativa analoghi a quelli del protocollo, una simile
ripartizione dei compiti si spiega col fatto che sono le autorità dello Stato di
esportazione a poter più agevolmente, e direttamente, accertare le circostanze
che condizionano l’origine del prodotto in questione. Questo sistema può
tuttavia funzionare solo qualora l’amministrazione doganale dello stato
importatore riconosca le valutazioni effettuate legalmente dalle autorità dello
Stato esportatore. Tale necessario riconoscimento è garantito solo qualora le
autorità dello Stato di importazione rispettino e accettino anche le decisioni
giurisdizionali emesse sui ricorsi proposti contro i risultati iniziali del controllo
a posteriori sull’origine delle merci-(v., in tal senso, Corte giust.12 luglio 1984,
causa 218/83, Les Rapides Savoyards e a.„ punti 26 e 27); Corte giust. 9
febbraio 2006 causa C.23/04, Sfalcianakis AEVE, p.23;conf. ,Corte giust. 6
febbraio 2014, causa C-613/12, Helm Diingemittel GmbH, p.34.; Corte giust. 1°
luglio 2010, Commissione/Germania, C-442/08, punto 72-;v. anche Corte
giust. 25 febbraio 2010, causa C-386/08, Firma Brita GmbH p.63, ove si
chiarisce espressamente che “… nell’ambito di tale sistema di mutuo
riconoscimento, le autorità doganali dello Stato di importazione non possono,
unilateralmente, invalidare una dichiarazione su fattura compilata da un

I

esportatore regolarmente autorizzato dalle autorità doganali dèllo Stato di
esportazione. Del pari, in caso di controllo a posteriori, queste stesse autorità
sono vincolate dai risultati di un siffatto controllo”-.
Chiarito che gli obblighi di cooperazione di cui si è detto sono stati riconosciuti
anche da questa Corte- v., in particolare, di recente Cass.n.21439/12 che ha
espressamente fatto riferimento alla giurisprudenza comunitaria sopra ricordata,
la sentenza impugnata è immune dai vizi prospettati dall’Agenzia.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in favore della colitroricorrente
come da dispositivo
PQM
La Corte, visti gli artt.375 e 380 bis c.p.c.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spek processuali
che liquida in favore della società controricorrente in etu -o 12000,00 per
compensi, oltre euro 100,00 per esborsi, oltre accessori come per lègge.
Dà atto della ricorrenza dei presupposti di cui all’art113 commà. 1 quater del
dPR n.115/2002 per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a
norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso nella camera di consiglio del 22 maggio 2014 in Rom
cons.rel.

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