Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17026 del 05/08/2011

Cassazione civile sez. I, 05/08/2011, (ud. 04/04/2011, dep. 05/08/2011), n.17026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.D.A. (c.f. (OMISSIS)), O.C.

D. (c.f. (OMISSIS)), T.N. (c.f.

(OMISSIS)), C.C. (c.f. (OMISSIS)),

D.S. (c.f. (OMISSIS)), P.P. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA A. DORIA

48, presso l’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO, che le rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

16/05/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito, per le ricorrenti, l’Avvocato RODA RANIERI, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con separati ricorsi – poi riuniti – alla Corte d’appello di Roma, D.D.A., O.C.D., C.C., D.S., P.P. e T.N. proponevano domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio in materia di impiego pubblico, da esse instaurato nei confronti del Ministero della Giustizia dinanzi al TAR Lazio nel gennaio 1995, definito in primo grado con sentenza di accoglimento depositata nel novembre 1998, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza depositata nel marzo 2006. La Corte d’appello, ritenuta la durata ragionevole di tre anni per il primo grado e di ulteriori tre per il secondo grado, ed evidenziata la modestia della posta in gioco nel giudizio presupposto, liquidava il danno non patrimoniale per la residua durata irragionevole, determinata in quattro anni, con la somma di Euro 3.000,00 per ciascuna delle ricorrenti.

Avverso tale decreto, depositato il 16 maggio 2008, le medesime ricorrenti hanno proposto ricorso a questa Corte con atto notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 26 giugno 2009, formulando cinque motivi. L’Amministrazione intimata non ha spiegato difesa.

Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

Con il primo motivo ci si duole della determinazione della durata irragionevole del giudizio presupposto, denunziando contraddittorieta di motivazione in ordine al calcolo espresso in decreto. Le ricorrenti censurano peraltro, con il secondo motivo, anche la determinazione della durata ragionevole, denunziando violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e vizio di motivazione: la durata ragionevole di tre anni del giudizio di secondo grado è eccessiva, trattandosi di giudizio alquanto semplice, che secondo gli standards europei non deve superare i due anni. I motivi terzo e quarto hanno ad oggetto il quantum della liquidazione dell’indennizzo, che secondo le ricorrenti avrebbe violato gli standards europei (violazione L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 6, 13 e 41 CEDU), anche sotto il profilo della attribuzione di interessi legali a decorrere dal decreto anzichè dalla domanda (violazione L. n. 89, art. 2 e art. 1173 c.c.). Con il quinto motivo, infine, si censura la liquidazione delle spese, denunziando la violazione dell’art. 91 c.p.c. e della normativa sulle tariffe in relazione alla liquidazione delle competenze in misura inferiore ai limiti di tariffa.

Il primo ed il secondo motivo, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati. In effetti, esaminando il parametro fondamentale – la complessità del caso- da considerare ai fini della determinazione della ragionevole durata del procedimento presupposto, la stessa Corte di merito ha ritenuto trattarsi di giudizio alquanto semplice, pervenendo però poi immotivatamente ad una determinazione della ragionevole durata di tale procedimento che, con riguardo al secondo grado, si palesa in contrasto con le valutazioni normalmente adottate dalla Corte Europea – e dalle Corti nazionali-, secondo le quali in casi simili la durata deve essere ragionevolmente contenuta in due anni. Pertanto, a prescindere dalla pur fondata censura in ordine alla erroneità del calcolo della durata irragionevole, si impone la cassazione del decreto sotto il profilo esaminato, assorbiti gli altri motivi. Sussistono peraltro le condizioni per pronunciare nel merito a norma dell’art. 384 cod. proc. civ., determinando innanzitutto in sei anni la durata irragionevole del giudizio presupposto: a tale conclusione si perviene infatti sottraendo alla durata complessiva del giudizio (11 anni e due mesi) la durata ragionevole complessiva sopra indicata (cinque anni) ed il tempo impiegato dalla parte per la proposizione dell’appello (due mesi). Quanto alla liquidazione dell’indennizzo, il collegio considera che uno scostamento rispetto al parametro base europeo di mille euro per anno di non ragionevole durata del processo, ma non al di sotto della soglia di settecentocinquanta,00 Euro per anno, sia giustificato, anche alla stregua dei più recenti orientamenti della Corte europea (cfr. Volta et autres c. Italia, 16 marzo 2010; Falco et autres c. Italia, 6 aprile 2010), quando ricorrano fattori, quali ad esempio la modestia della posta in gioco ed una durata del processo che non abbia superato di oltre tre anni quella ordinaria, mentre per il periodo ulteriore uno scostamento da quel parametro di mille/00 Euro non si giustifichi (cfr. in tal senso, ex multis, Cass. n. 22869/2009; n. 1893/2010; 19054/2010). Alla stregua di questi criteri, considerato che il giudizio si è protratto per ulteriori sei anni circa oltre quello di ragionevole durata, si ritiene giustificato liquidare in favore di ciascuna ricorrente un’equa riparazione pari a Euro 5250,00, alla quale devono aggiungersi gli interessi legali a decorrere – come da consolidata giurisprudenza di questa Corte – dalla data della domanda di indennizzo.

Si ritiene giustificata la compensazione tra le parti del 50% delle spese del giudizio di merito e di quelle di questo giudizio di legittimità, tenuto conto del consistente ridimensionamento dell’indennizzo rispetto a quello richiesto (Euro 10.000,00 per ciascuna). La residua quota, che si liquida come in dispositivo, deve essere posta a carico della Amministrazione resistente, con distrazione in favore dei difensori delle ricorrenti dichiaratisi antistatari.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini indicati in motivazione;

cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di ciascuna ricorrente della somma di Euro 5.250,00 oltre interessi legali su detta somma dalla domanda. Compensa fra le parti, per metà, le spese del giudizio di merito e di questo giudizio di legittimità; condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore delle ricorrenti della residua quota, pari quanto al giudizio di merito a Euro 300,00 per diritti, Euro 300,00 per onorari e Euro 30,00 per esborsi, e quanto al giudizio di legittimità a Euro 500,00 per onorari e Euro 50,00 per esborsi, oltre – per entrambi i gradi – spese generali ed accessori di legge.

Spese da distrarsi, quanto a quelle per il giudizio di merito, in favore degli avvocati ABBATE Ferdinando E. e Ferriolo G. e, quanto a quelle per il giudizio di legittimità, in favore dell’avv. ABBATE Ferdinando E.. Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2011

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