Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17023 del 13/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/08/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 13/08/2020), n.17023

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 6561/2016 promosso da:

M.R., elettivamente domiciliata in Roma, viale Trastevere

259, presso lo studio dell’avv. Pier Luigi Bartoli, che la

rappresenta e difende unitamente all’avv. Alberto Benifei in virtù

di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 919 della CTR di Genova, depositata il

09/09/15;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/01/2020 dal Consigliere ELEONORA REGGIANI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 919, depositata il 09/09/2015, la CTR di Genova, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ha respinto il ricorso originariamente proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento, riguardante un immobile adibito ad abitazione, a cui era stata attribuita la categoria A/1, mentre prima recava la categoria A/2.

Avverso la sentenza di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, formulando un solo motivo di impugnazione contenente plurime censure.

L’intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo e unico motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che era stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per le seguenti ragioni:

a) nulla era stato detto in sentenza in ordine all’eccepita nullità della notifica dell’appello, effettuata direttamente alla parte e non al domicilio eletto di quest’ultima;

b) nulla era stato detto in sentenza in merito alla contraddizione tra i documenti acquisiti, ai fini della prova della tempestività del deposito del ricorso in appello, ai fini dell’ammissibilità dello stesso;

c) nulla era stato detto in sentenza in riferimento all’eccezione di inammissibilità dell’appello, ove la controparte si era limitata a riproporre le deduzioni formulate in primo grado, senza indicare gli errori di fatti o di diritti del giudice di prima istanza;

d) nulla era stato detto in ordine all’infondata eccezione di incompetenza del giudice tributario, per essere la materia attribuita alle commissioni censuarie;

e) nulla era stato detto in sentenza sul fatto decisivo, dedotto in giudizio già in primo grado e provato documentalmente, consistente nel declassamento nella categoria A/1, operato in favore di un appartamento posto al primo piano dello stesso edificio in cui insisteva quello per cui è causa (che era al terzo piano) ma più grande e con una terrazza di maggiore estensione rispetto a quest’ultimo, non contestata dalla controparte, che aveva in appello dedotto che avrebbe attentamente valutato l’immobile declassato ed altri nella stessa condizione, senza però poi fare nulla, nonostante il decorso di molti anni;

f) nulla era stato detto in sentenza in ordine al dedotto degrado della qualità urbana e ambientale della microzona, nè in merito all’unità immobiliare in oggetto, pur dedotte dalla ricorrente;

g) nulla era stato detto in sentenza in ordine alla questione in diritto, prospettata dalla ricorrente, relativa alla rilevanza o meno, ai fini del classamento, delle condizioni di degrado in cui versa l’immobile;

h) nulla era stato detto in sentenza in ordine alla prospettata necessità di procedere con il metodo di comparazione, senza che rilevi che possa trattarsi di “unità tipo”;

i) nulla era stato detto in sentenza sulla valutazione effettuata dall’Agenzia in relazione all’ipotesi di affitto, con calcoli che si discostano da quelli individuati da questa Corte ai fini del classamento.

2. Nel costituirsi, l’Agenzia ha eccepito l’inammissibilità e comunque l’infondatezza di varie censure formulate.

3. Si deve subito rilevare che la ricorrente ha formulato un unico motivo di ricorso, che però contiene plurime censure, separatamente individuate ed elencate una di seguito all’altra.

In argomento, questa Corte ha più volte affermato che l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza non costituisce di per sè ragione d’inammissibilità del ricorso, configurandosi quest’ultima solo quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione. In altre parole, le doglianze, anche se cumulate, devono essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza che dia rimesso al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti prima di decidere su di esse (così Sez. U, n. 9100 del 2015; conf. da ultimo Cass., Sez. 2, n. 26790 del 2018).

4. Nel caso di specie occorre pertanto esaminare il motivo di ricorso e valutare l’ammissibilità, prima ancora della fondatezza, dei plurimi profili enunciati.

Con riferimento al vizio di violazione o falsa applicazione di legge, si deve tenere presente che il principio di specificità dei motivi, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere letto in correlazione al disposto dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, dovendosi conseguentemente ritenere necessario ai fini della specificità, che, nel denunciare la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto, il ricorrente indichi nel motivo la norma violata o falsamente applicata, offrendo la corretta lettura della stessa, così come operata dalla giurisprudenza di legittimità, ovvero, in mancanza di un orientamento di quest’ultima aderente alla soluzione proposta, fornendo elementi perchè la S.C. si conformi a tale soluzione (v. con attenzione a quest’ultimo aspetto, Cass., Sez. 6-2, n. 5001 del 2018).

Con riferimento invece al vizio di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è opportuno ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte, poi seguite da numerose pronunce a Sezioni semplici, hanno evidenziato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè il vizio di omesso esame del fatto decisivo, qualora il fatto, rilevante in causa, risulti comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (così, Sez. U, n. 8053 del 2014).

5. Come sopra evidenziato, nel presente giudizio, la ricorrente ha riportato il solo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e poi ha elencato le censure, riguardanti, a volte, l’omessa statuizione su eccezioni di rito, altre volte, l’omessa valutazione di elementi di prova, altre volte ancora, l’omessa valutazione di argomenti in diritto, tutti stigmatizzati dal fatto che nella sentenza “nulla è detto” in ordine a quanto volta per volta indicato.

Con riferimento alle censure sopra elencate ai punti a), b), c) e d), riguardanti l’omessa pronuncia su eccezioni in rito, si deve tenere presente che la giurisprudenza di questa Corte è concorde nel ritenere che l’omesso esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia – il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito – ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se e in quanto si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte (Cass., Sez. 6-2, n. 321 del 2016).

Tuttavia/nel caso di specie i motivi, come enunciati, risultano inammissibili per difetto di specificità e di autosufficienza, tenuto conto che la ricorrente ha solo lamentato l’omessa pronuncia su tali eccezioni (la quale, come appena evidenziato, non è in sè censurabile, quando attiene ad un vizio processuale), senza neppure indicare le norme asseritamente violate, le ragioni della ritenuta violazione e le conseguenze della stessa, non consentendo al giudice di comprendere dalla sola lettura del ricorso la specifica censura su cui vi è stata omessa pronuncia, le ragioni e gli effetti della stessa.

Si rinvia infra l’esame dei motivi riassunti nelle lett. e) ed f), sopra riportate, attinenti a valutazioni in fatto, certamente riconducibili al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Devono invece dichiararsi inammissibili le restanti censure, riportate nelle lett. g), h), i), del tutto generiche e sganciate da ogni indicazione riferita alla materia del contendere, oltre che alla rilevanza delle stesse ai fini della decisione, senza indicare dove e quando le questioni sono state affrontate, le norme a cui fare riferimento e le conseguenze della loro corretta attuazione ai fini della decisione.

6. Sono infine infondate le censure riconducibili alle lett. e) ed f), sopra indicate.

Si deve prima di tutto tenere presente che, a prescindere dall’esistenza di un altro immobile al piano primo dello stesso edificio, a cui era stata accordata la categoria A/2 invece che la categoria A/1, la ricorrente non ha dedotto di avere formulato altre specifiche allegazioni davanti alla CTP o alla CTR, non valutate dal giudice, tenuto conto che la parte, nel richiamare nel ricorso per cassazione quanto dedotto in primo grado, ha fatto riferimento ad una generica presenza nelle zone limitrofe di fabbricati di gran pregio con classamento più basso e a una non meglio definita situazione di degrado dell’immobile (v. p. 2 del ricorso per cassazione).

E nella sentenza impugnata, si legge che “… La Commissione Tributaria Regionale di Genova Sez. n. 7, tenuto conto della ordinaria manutenzione intervenuta, della circostanza emersa che solo la facciata avrebbe bisogno di manutenzione, e che le rendite catastali, se fosse valido quanto sostenuto dalla sig.ra M.R., dovrebbero essere oggetto di periodica, se non proprio annuale revisione, ritiene di concludere che l’immobile in oggetto è giustamente classificato in categoria A/1 classe 2 in quanto gli immobili presi a raffronto hanno caratteristiche inferiori”.

Dalla lettura della decisione si evince con chiarezza che il giudice di appello non risulta avere omesso di valutare gli elementi che la parte ha, in questa sede, dedotto di avere offerto, ma, nel valutarli, semplicemente non li ha ritenuti rilevanti ai fini del decidere.

Il ricorso, sotto questo profilo deve pertanto essere respinto.

7. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in base al principio della soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1, comma 1 quater, art. 13, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite del giudizio di legittimità, sostenute dall’Agenzia delle entrate, che liquida in Euro 2.600,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito;

– dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, art. 1, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2020

 

 

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