Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17016 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/06/2021, (ud. 25/03/2021, dep. 16/06/2021), n.17016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9957/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via

dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

B. Ricambi Sas di B.V. e C (già B. Ricambi

Srl), rappresentata e difesa dagli Avv.ti Bruno Giuffrè e Antonio

Tomassini, presso lo studio dei quali è elettivamente domiciliata

in Roma via dei Due Macelli n. 66, giusta procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 120/42/2011, depositata il 14 ottobre 2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 marzo 2021

dal Consigliere Dott. Fuochi Tinarelli Giuseppe.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

B. Ricambi Sas di B.V. e C (già B. Ricambi Srl) impugnava l’avviso di accertamento per Iva e Irap per l’anno 2006, emesso dall’Agenzia delle entrate, in esito ad indagini della Guardia di finanza su delega della Procura della Repubblica di Torino e del conseguente esercizio dell’azione penale, per operazioni soggettivamente inesistenti nell’ambito di attività di commercio intracomunitario (in ispecie, con la società francese Carman).

L’impugnazione era accolta dalla CTP di Milano. La sentenza era confermata dal giudice d’appello attesa, da un lato, la mancanza di un pvc, da cui l’impossibilità per il contribuente di un controllo dei risultati del controllo operato e di esperire la procedura di cui al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5 bis, e, dall’altro, l’avvenuta contestazione di operazioni soggettivamente e non oggettivamente inesistenti senza che fosse stato identificato il terzo soggetto, destinatario effettivo della merce.

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con due motivi, cui resiste la contribuente con controricorso.

A seguito di istanza del 4 dicembre 2018, con cui la contribuente dichiarava di volersi avvalere delle disposizioni di cui al D.L. n. 119 del 2018, il processo veniva rinviato a nuovo ruolo in attesa del compiuto adempimento della definizione agevolata.

Con istanza del 4 dicembre 2020, peraltro, la società chiedeva, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 13, la trattazione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Va disattesa, in primo luogo, l’eccezione di inammissibilità del ricorso, che non mira ad un riesame del merito ma a contestare i presupposti in diritto della decisione impugnata e, in ispecie, la doverosità o meno di un pvc rispetto all’emissione di un avviso di accertamento (e la conseguente statuizione di illegittimità dell’avviso per la preclusa possibilità di ricorrere alla procedura di adesione D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 5 bis) (primo motivo) e la corretta applicazione dei principi in materia di operazioni soggettivamente inesistenti e di riparto dell’onere della prova (secondo motivo, seconda parte), nonchè, per quest’ambito, a lamentare la carente e incongrua motivazione resa dalla CTR (secondo motivo, prima parte).

2. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 4, nonchè falsa applicazione del D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 5 bis per aver la CTR ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento in quanto non preceduto dalla notifica di un processo verbale di contestazione, da cui, più specificamente, l’illegittima dell’avviso per l’intervenuta preclusione della possibilità di accedere alla procedura di adesione citato D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 5 bis.

2.1. Il motivo oltre che ammissibile, per quanto su già rilevato, è fondato.

2.2. Occorre sottolineare, invero, che la CTR ha posto in risalto che, nella vicenda in esame, l’avviso ha tratto origine dalle risultanze di una indagine penale.

Ha tuttavia ritenuto che tali elementi “devono formare oggetto di un contraddittorio con il contribuente nel contesto di un nuovo controllo sostanziale a suo carico ed il contribuente deve ritualmente conoscere i risultati di tale controllo”, ossia che essi dovevano confluire in un processo verbale di constatazione, la cui “omissione” costituiva ragione di nullità dell’avviso.

Tale conseguenza, nella specie, veniva altresì specificamente riferita alla “impossibilità di addivenire alla definizione agevolata D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 5 bis” che “rende nullo l’avviso di accertamento”.

In altri termini, secondo la CTR, gli elementi probatori posti a fondamento della ripresa da parte dell’Agenzia dovevano, in ogni caso, esser trasfusi in apposito processo verbale di contestazione da portare alla conoscenza del contribuente sì da poter questi, da un lato, attivare gli strumenti di informazione e conoscenza a sua disposizione (ad es. l’invio di osservazioni) e, dall’altro, accedere alle procedure e agli ulteriori strumenti agevolativi che l’ordinamento prevede in dipendenza del pvc.

Nella specie, l’omessa formazione di un pvc aveva determinato l’impossibilità di accedere all’accertamento con adesione al processo verbale, da cui la nullità del successivo avviso.

2.3. Le conclusioni raggiunte dalla CTR non sono condivisibili.

Occorre premettere, in primo luogo, che nella vicenda in esame l’Amministrazione finanziaria non ha compiuto una “verifica fiscale” presso l’impresa, nè ha effettuato alcun “accesso mirato” volto, in ipotesi, ad acquisire eventuale documentazione.

L’avviso – come pacificamente riconosciuto dalla stessa CTR ed emerge dall’avviso riprodotto per autosufficienza – trae origine da una indagine penale (e dagli elementi ivi acquisiti a seguito di ispezione della Guardia di finanza), nonchè da una segnalazione della Direzione Regionale dell’Agenzia delle entrate, sicchè la ripresa era riconducibile ad una ipotesi di accertamento cd. “a tavolino”, rispetto al quale è legittimo, anche ai fini del contraddittorio (in ispecie per le imposte dirette), che il primo atto portato alla conoscenza del contribuente sia lo stesso avviso (v. Sez. U n. 24823 del 09/12/2015).

Già da tale fatto, dunque, deriva l’insussistenza di un obbligo generalizzato di redazione del processo verbale di constatazione, conclusione che questa Corte, del resto, ha ripetutamente ribadito, sottolineando che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione (Cass. n. 16546 del 27/04/2018; v. anche per una vicenda particolare Cass. n. 12094 del 08/05/2019).

Nè ha rilievo, in senso contrario, il richiamo alla L. n. 4 del 1929, art. 24, che, secondo quanto dedotto in controricorso, imporrebbe sempre l’adozione di un processo verbale con il quale siano contestate le violazioni finanziarie.

Si è infatti pure precisato che “in tema di violazione di norme finanziarie (nella specie, in materia di IVA), il processo verbale di constatazione, redatto dagli organi accerta tori in occasione di verifiche presso il contribuente e previsto dalla L. n. 4 del 1929, art. 24, non deve necessariamente contenere le contestazioni, potendo avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi di fatti o di dichiarazioni, che, per la libera valutazione dell’amministrazione finanziaria prima e dell’autorità giudiziaria poi, possono comunque dare luogo alla emissione di avvisi di accertamento” (Cass. n. 27711 del 11/12/2013; Cass. n. 31120 del 29/12/2017), da cui la conclusione che la redazione di un processo verbale di constatazione non è necessaria per rendere legittimo un successivo avviso di accertamento perchè è in esso che si esterna ciò che si è constatato.

Non è infine pertinente il precedente invocato in controricorso (Cass. n. 21509/2010) che attiene ad una ipotesi – radicalmente diversa – in cui il pvc, indicato nell’avviso come parte integrante di esso, era stato redatto ma non notificato, nè poi allegato.

2.4. Ne deriva, e a maggior ragione, che è erronea la statuizione della CTR di nullità dell’avviso per la asserita preclusa possibilità per il contribuente di presentare istanza D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 5 bis: l’insussistenza di un obbligo di redigere, nella vicenda concreta, un pvc comporta, infatti, l’inoperatività della procedura in questione per mancanza di un presupposto oggettivo previsto dal legislatore, senza che da ciò possa derivarsi alcuna lesione dei diritti del contribuente che ha conservato inalterata – e in concreto esercitato – la possibilità di presentare istanza di accertamento con adesione avverso l’avviso stesso.

2.5. Da ultimo, è appena il caso di sottolineare – trattandosi di questione estranea alla ratio della decisione, neppure risultando dedotta in appello (v. pagg. 6 e 7 controricorso) ancorchè articolata nel controricorso – che non si pone, nel giudizio, un profilo di violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12 poichè la norma, alla luce della natura dell’accertamento, è, nella fattispecie, inapplicabile, mentre la questione, sul piano sostanziale, quanto alle imposte dirette non è configurabile e, quanto all’Iva, resta soggetta agli oneri di allegazione e prova in ordine alle ragioni che avrebbe potuto far valere, nella specie in alcun modo articolati.

3. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente motivazione su fatto decisivo e controverso, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c.

L’Ufficio lamenta, in sostanza, che la CTR, da un lato, ha ritenuto illegittimo l’avviso per non aver l’Ufficio spiegato perchè avesse contestato operazioni realmente avvenute e, dunque, “la soggettiva fittizietà delle operazioni ma non quella oggettiva”, senza considerare che le operazioni risultavano realizzate con l’impresa in epoca successiva alla sua cessazione e che la contribuente non aveva attivato la procedura di verifica di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50, omettendo, quindi la disamina delle fonti di prova e dei documenti posti a fondamento della pretesa.

Dall’altro, a fronte dell’incontestato dato di fatto che le operazioni erano “realmente avvenute, documentate e fiscalmente dichiarate”, deduce che la sentenza impugnata ha violato i criteri di riparto dell’onere della prova, avendo posto a carico dell’Ufficio l’onere di dimostrare l’identità dell’effettivo destinatario ed esentando, per contro, la contribuente dalla prova contraria a fronte degli elementi presuntivi allegati.

3.1. La complessa doglianza è ammissibile: da un lato, le censure sono trattate con sufficiente specificità e autonoma articolazione nel corpo del motivo; dall’altro, quanto alla censura motivazionale, non sussiste carente individuazione del fatto decisivo e delle ragioni di doglianza, nè essa si risolve in una contestazione sulla valutazione delle prove operata dal giudice di merito.

I motivi, oltre che ammissibili, sono fondati.

3.2. Occorre premettere che in tema di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte, con la sentenza n. 9851 del 10/04/2018 (seguita da molte altre; recentemente v. Cass. n. 5339 del 27/02/2020; Cass. n. 15369 del 20/07/2020), in coerenza con le plurime affermazioni della Corte di Giustizia (v. tra le tante Corte di Giustizia 6 settembre 2012, Tóth, C-324/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14; Corte di Giustizia 19 ottobre 2017, SC Paper Consult, C-101/16), ha affermato che:

a. l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta;

b. la prova della consapevolezza dell’evasione, peraltro, non richiede che l’Amministrazione finanziaria provi la partecipazione del soggetto all’accordo criminoso od anche la sua piena consapevolezza della frode ma che essa dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente;

c. incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.

3.3. La CTR ha affermato “la sentenza di primo grado, ad avviso della Commissione, ha lucidamente statuito che “l’Ufficio non spiega perchè contesti operazioni realmente avvenute, documentate e fiscalmente dichiarate, perchè contesti soltanto la soggettiva fittizietà delle operazioni ma non quella oggettiva e perchè non sia stato identificato il terzo soggetto, essenziale in un rapporto trilatero”. Nell’atto di appello l’Ufficio aggiunge poco o nulla, al riguardo, insistendo nell’affermare quanto già indicato nelle controdeduzioni in primo grado, e poi ribadito in sede processuale, per cui il mancato assolvimento degli obblighi motivazionali e probatori correttamente rilevato dai primi giudici deve ritenersi inconfutabile”.

3.4. Orbene, in punto di diritto, la sentenza rivela una non piena comprensione dei principi in materia di operazioni soggettivamente inesistenti (che, per definizione, sono operazioni effettivamente poste in essere ma con soggetti diversi da quelli indicati nella fattura), con commistione (come si desume dall’interrogativo che la sentenza si pone della ragione per cui non fossero state contestate operazioni oggettivamente inesistenti) delle nozioni di operazioni soggettivamente ed oggettivamente inesistenti, del tutto obliterando altresì i principi e i criteri in tema di riparto dell’onere della prova su illustrati.

Occorre sottolineare, sul punto, che la mera circostanza di una contabilità regolare o di pagamenti (valorizzata dalla CTR con l’indicazione di “operazioni documentate e fiscalmente dichiarate”) non è certamente idonea a soddisfare l’onere della prova contraria, trattandosi di circostanze già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (e relative a dati e documenti facilmente falsificabili).

In secondo luogo, la motivazione rivela una palese insufficienza motivazionale, neppure avendo preso in considerazione gli elementi – di indubbia rilevanza presuntiva – addotti dall’Ufficio, primo tra questi la circostanza, neppure oggetto di contestazione, che il cessionario – l’impresa francese Corman – era cessata anteriormente all’effettuazione delle operazioni, sì da far legittimamente dubitare dell’effettività del destinatario; per contro, la CTR ha apprezzato, e in termini sfavorevoli, elementi privi di ogni rilevanza (ossia, che l’Amministrazione finanziaria non avesse identificato “il terzo soggetto”, posto che è sufficiente la prova, anche in via solo presuntiva, che il destinatario indicato in fattura è solo apparente).

Va pure rilevato che la contestazione riferita ad una (apparente) operazione intracomunitaria avrebbe imposto al contribuente un accertamento preventivo ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 con riguardo al cessionario, dovendosi ritenere tale verifica significativa, anche ai fini della prova dell’elemento soggettivo e della buona fede, per valutare – da parte della CTR – se il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale.

4. La sentenza va pertanto cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la disamina delle questioni rimaste assorbite.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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