Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17016 del 10/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 10/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.10/07/2017),  n. 17016

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4633/2012 proposto da:

N.N. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato VALERIO SAMPIERI, che

lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE (già Comune di Roma) C.F. (OMISSIS), in persona del

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TEMPIO

DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato LUIGI D’OTTAVI, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9086/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/02/2011 R.G.N. 4020/2009;

il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 9.2.2011 la Corte di Appello di Roma, confermando la pronuncia del Tribunale del medesimo luogo, ha respinto la domanda di N.N. di annullamento dei provvedimenti di sospensione dal servizio e dallo stipendio adottati dal Comune di Roma in data 15.11.2005 e 18.5.2007 in ossequio all’art. 27, commi 1 e 3, del c.c.n.l. Comparto Regioni ed Autonomie locali 2002-2005, ricorrendo, dapprima, uno stato di restrizione della libertà personale e, cessato tale stato, una valutazione di gravità dei fatti tale da comportare l’applicazione del licenziamento;

che avverso tale sentenza il N. ha proposto ricorso affidato a tre motivi, Roma Capitale ha resistito con controricorso;

che entrambe le parti hanno depositato memoria;

che il P.G. in data 13.3.2017 ha richiesto una pronuncia di inammissibilità del ricorso o, in subordine, di rigetto.

Diritto

CONSIDERATO

che il N., nel denunciare plurime disposizioni di legge e di contratto collettivo, assume che la sospensione (obbligatoria) cautelare dal servizio disposta ai sensi dell’art. 27, comma 1, del c.c.n.l. Comparto Regioni ed Autonomie locali 2002-2005 perde efficacia ex tunc in caso di annullamento – da parte del Tribunale del riesame – dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere (insuscettibile di proroga) e che la sospensione (facoltativa) di cui al comma 3 del medesimo articolo richiede sia la gravità dei fatti che il rinvio a giudizio del dipendente sottoposto a procedimento penale;

che ritiene il Collegio si debbano rigettare i motivi di ricorso, perchè la sentenza impugnata è conforme al principio di diritto affermato da questa Corte con la sentenza n. 20321/2016, con la quale (con riferimento a normativa espressa con identica formulazione) si è statuito che il provvedimento di sospensione cautelare obbligatoria è necessitato dallo stato restrittivo della libertà personale del dipendente (e non è riconducibile ad un comportamento volontario ed unilateralmente assunto dal datore di lavoro pubblico) e deriva dal principio generale secondo cui, quando il prestatore non adempie all’obbligazione principale della prestazione lavorativa non per colpa del datore di lavoro, a questi non può essere fatto carico dell’adempimento dell’obbligazione di corresponsione della retribuzione;

che, inoltre, questa Corte ha affermato che “il datore di lavoro, cessato lo stato di restrizione della libertà personale, può ulteriormente prolungare il periodo di sospensione dal servizio del dipendente in presenza di fatti, oggetto dell’accertamento penale, che siano direttamente attinenti al rapporto di lavoro o, comunque, tali da comportare, se accertati, l’applicazione della sanzione disciplinare del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che nei confronti di quest’ultimo sia stato, o meno, emesso un provvedimento di rinvio a giudizio in sede penale, dovendosi ritenere che il riferimento, contenuto nella disposizione, alle “medesime condizioni di cui al comma 2″ del medesimo art. 27, comma 3 (del c.c.n.l. comparto Ministeri 16.5.1995, dello stesso tenore dell’art. 27, comma 3, del c.c.n.l. di cui in oggetto) non si estenda, quale necessario presupposto, al provvedimento di rinvio a giudizio, ma resti circoscritto alle specifiche condizioni attinenti alla natura dei fatti addebitati, tali da comportare la sanzione disciplinare del licenziamento, tanto più che, diversamente, si finirebbe per assicurare un trattamento più favorevole ai dipendenti nei cui confronti siano contestati fatti criminosi di maggiore complessità, e per il cui accertamento si rendano necessari tempi più lunghi, idonei ad incidere sul rinvio a giudizio” (Cass. n. 12560/2014; da ultimo, Cass. n. 20544/2016);

che, a differenza di quanto affermato nella memoria prodotta dal ricorrente, risulta che il Comune ha adottato, in data 18.5.2007, provvedimento di sospensione cautelare ai sensi dell’art. 27, comma 3, del c.c.n.l. di settore (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata);

che il motivo di ricorso non prospetta argomenti che possano indurre a disattendere detto orientamento, al quale va data continuità, poichè le ragioni indicate a fondamento del principio affermato, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., sono integralmente condivise dal Collegio;

che le spese del presente giudizio di legittimità sono liquidate in ossequio al criterio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c.;

che non sussistono la condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 3.000,00 per compensi professionali nonchè in Euro 200,00 per esborsi oltre il 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2017

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