Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17014 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. II, 11/08/2016, (ud. 07/04/2016, dep. 11/08/2016), n.17014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20423/2011 proposto da:

P.M. (OMISSIS), F.D. nata a (OMISSIS),

P.F. nato a (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GIOVANNI NICOTERA 31, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

ASTONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ATHOS VALORI;

– ricorrenti –

contro

N.L. (OMISSIS), M.A. (OMISSIS), M.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FLAMINIA 357,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE DI SIMONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato ROSA MAURO;

– controricorrenti –

e contro

PI.AL.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 439/2011 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 07/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2016 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.E., M. e F. convenivano innanzi al Tribunale di Urbino N.L., M.G. e A. e Pi.Al., quest’ultimo nella sua qualità di erede di Pi.Gi., affinchè in loro favore fosse dichiarata, ovvero trasferita mediante l’emissione di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., la proprietà dei beni immobili che Pi.Gi. aveva alienato a N.L., madre di M.A., con atto pubblico del 26.9.1990. Precisavano in merito che in virtù dei buoni rapporti in allora intercorrenti tra le famiglie P. e M., derivanti dal matrimonio tra P.F. e M.A., essi avevano chiesto a N.L. di rendersi intestataria formale di alcuni terreni, il cui acquisto essi avevano trattato con Pi.Gi.. Ciò per evitare che P.M., per i rapporti che aveva con gli amministratori locali del comune di Petriano, figurasse tra gli acquirenti dei fondi. Quindi, a sostegno della domanda deducevano che il 16.5.2003 N.L. aveva rilasciato una dichiarazione con la quale si riconosceva mera intestataria di detti beni, che dovevano intendersi appartenenti per un terzo ciascuno a P.M., a P.E. e ai coniugi P.F. e M.A.. Oltre a ciò tale dichiarazione aveva avuto anche la funzione di regolare gli effetti economici della separazione dei predetti coniugi, e di individuare la porzione immobiliare spettante per la quota di 1/6 ad M.A..

In conseguenza, domandavano anche che fosse dichiarata la nullità ovvero l’inopponibilità del contratto preliminare con cui N.L. e M.G. avevano promesso in vendita ad M.A. i medesimi beni immobili, e della relativa trascrizione.

Chiedevano, inoltre, che si procedesse alla divisione degli immobili sulla base della stessa scrittura privata del 16.5.2003 e di altra scrittura, datata 21.11.2003, con la quale era stato identificato il lotto spettante ad M.A., che aveva anche percepito a conguaglio la somma di Euro 5.000,00.

Nel resistere in giudizio i convenuti N.L., M.G. e A. contestavano il carattere fiduciario dell’intestazione. Aggiungevano che nella scrittura del 16.5.2003 era del tutto assente ogni manifestazione di volontà di Giovanni M., coniuge di N.L. in comunione legale dei beni, sicchè in ogni caso la domanda non avrebbe potuto essere accolta per la quota eccedente il 50% di proprietà pro indiviso di quest’ultima.

P.A., invece, restava contumace.

Il Tribunale di Urbino accoglieva la domanda, ravvisando una fattispecie d’interposizione reale di persona nell’intestazione dei beni, e dichiarava altresì la nullità del contratto preliminare di vendita dei medesimi beni tra N.L. e M.G., da un lato, e M.A., dall’altro. Rigettava, invece, la domanda di divisione.

Tale decisione era ribaltata dalla Corte d’appello d’Ancona, che con sentenza n. 439/11 pronunciata nei confronti anche di F.D., che come P.M. e F. era divenuta erede di P.E., rigettava le domande di questi ultimi.

In particolare e per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte distrettuale riteneva che la natura puramente dichiarativa della scrittura del 16.5.2003 valesse ad escludere ogni ipotesi di cessione immobiliare. Detta dichiarazione poteva ritenersi contenente una confessione stragiudiziale d’interposizione fittizia, ma la relativa domanda era stata giustamente disattesa dal Tribunale d’Urbino per l’estraneità del venditore all’accordo soggettivamente simulatorio.

Aggiungeva che comunque l’ipotizzato trasferimento della proprietà immobiliare sarebbe stato ad ogni modo nullo per difetto di determinabilità dell’oggetto e per la mancata allegazione alla scrittura del certificato di destinazione urbanistica dei terreni, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 18.

Di riflesso, la validità del contratto preliminare, il quale, per di più, in nessun caso avrebbe potuto essere considerato nullo, attesa la natura obbligatoria della vendita di cosa altrui.

Escludeva, poi, che fosse stata provata la simulazione assoluta del trasferimento immobiliare.

Rilevava, infine, che le domande di risarcimento dei danni, ripetizione d’indebito e arricchimento senza causa, proposte dagli attori in via subordinata e alternativa, dovevano ritenersi abbandonate in quanto non riproposte in appello, ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

Aggiungeva, quanto all’appello incidentale con cui gli appellati avevano censurato la sentenza del Tribunale nella parte in cui era stata respinta la loro domanda di divisione, che quest’ultima era legata da rapporto di pregiudizialità – dipendenza con la domanda principale, e che ad ogni modo erano mancati il formale accordo tra i condividenti e la certificazione urbanistica L. n. 47 del 1985, ex art. 18.

Per la cassazione di tale sentenza Marcello e P.F. e F.D., i primi due anche in proprio, tutti e tre quali eredi di P.E., propongono ricorso affidato a dieci motivi.

Gli intimati resistono con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I – Preliminarmente va esaminata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per difetto di procura speciale anteriore alla notifica, poichè non varrebbe a tal fine la procura conferita in calce al ricorso per l’impugnazione di altra sentenza, la n. 340/11, della Corte d’appello d’Ancona.

1.1. – L’eccezione è infondata.

La giurisprudenza di questa Corte afferma che il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è per sua natura speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso ed alla sentenza contro la quale il ricorso si rivolge, sempre che dal relativo testo sia dato evincere una positiva volontà del conferente di adire il giudice di legittimità, il che si verifica certamente quando la procura al difensore forma materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa inerisce, risultando, in tal caso, irrilevante l’eventuale errore materiale, facilmente riconoscibile, circa gli estremi della sentenza impugnata (cfr. Cass. nn. 10539/07, 9493/07 e 28227/05).

1.1.1. – Nella specie, non è neppure dedotto che tra le parti sia stata pronunciata dalla Corte anconetana altra sentenza recante il n. 340/11. Inoltre, considerato che nell’epigrafe del ricorso è indicata la sentenza n. 439/11 quale oggetto dell’impugnazione e che proprio e solo ad essa si riferiscono la narrazione proceasuale e i motivi di censura, va da sè che la diversa numerazione della sentenza riportata nella procura stesa in calce al ricorso costituisce un mero ed evidente refuso, insuscettibile di produrre gli effetti invalidanti evocati.

1.2. – Del pari infondata la censura d’improcedibilità del ricorso per mancato deposito della copia autentica di detta sentenza, come da esame diretto degli atti che ne rileva la presenza e il tempestivo deposito (v. nota del 23/8/11).

2. – Il primo motivo deduce la violazione o falsa applicazione di non meglio precisate norme di diritto e l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul fatto, controverso e decisivo, delle scritture del 16.5.2003 e del 21.11.2003, che la Corte territoriale avrebbe decontestualizzato e non valutato quali negozi finalizzati a definire la lite coniugale tra P.F. e M.A.; analogo vizio motivazionale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deducono tutti i restanti motivi, con riferimento, rispettivamente, alla sentenza n. 418/06 del Tribunale di Bologna; al rigetto della domanda di simulazione; al fatto che N.L. si era dichiarata mera intestataria dei beni di cui si discute; all’omesso esame di documenti che dimostravano l’esistenza del certificato di destinazione urbanistica; alla perfetta determinabilità dell’oggetto della scrittura del 16.5.2003; al non aver la Corte distrettuale tenuto conto che la promessa di vendita del 21.6.2004 violava le obbligazioni discendenti dalle scritture del 16.5.2003 e del 21.11.2003; all’erronea affermazione che la scrittura del 16.5.2003 conterrebbe solo un generico riferimento alla divisione e che mancherebbe di un formale accordo fra tutti i condividenti; alle spese di lite; e a quelle di gestione, manutenzione e valorizzazione dei lotti di causa.

2.1. – Tutti i predetti motivi, che per le considerazioni che seguono devono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

In disparte la violazione o falsa applicazione di “norme di diritto”, denunciata in maniera totalmente aspecifica nel primo motivo, che non contiene la benchè minima menzione delle norme di legge che sarebbero state violate (l’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, è ovviamente altro, e cioè l’elenco – di per sè non violabile nè falsamente applicabile – dei casi di ricorso per cassazione), tutte le censure svolte mirano a provocare una diversa ricostruzione dei fatti storici dedotti in causa.

E’ noto e costante l’orientamento di questa Corte Suprema in base al quale il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (così e per tutte, Cass. n. 27197/11).

Altrettanto fermo e indiscusso l’indirizzo per cui in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (v. per tutte, Cass. n. 2465/15).

Pertanto, non compete alla Corte di legittimità nè di stabilire se l’accertamento sui fatti e sui contratti compiuto dal giudice di merito sia il migliore possibile a stregua del materiale probatorio raccolto; nè di sindacarne la maggiore o minore tenuta rispetto all’apprezzamento alternativo proposto dalla parte ricorrente. La motivazione della sentenza è illegittima, in base al parametro dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012) non quando la ricostruzione fattuale operata dal giudice di merito sia meno persuasiva di quella proposta dalla parte ricorrente, ma solo ove all’interno della motivazione siano isolabili momenti di criticità per omissione, incongruità o contraddittorietà. Criticità che per il suo carattere intrinseco deve essere enucleabile dalla semplice lettura della motivazione e non può essere riferita a parametri valutativi esterni (cfr. Cass. nn. 1605/00, 3615/99 e 2498/94). Ricavarla dal confronto con atti di causa di segno (realmente o asseritamente) opposto, equivale a rinnovare, sotto mentite spoglie, un accertamento di puro merito incompatibile con la struttura processuale che connota e con la funzione ordinamentale che svolge il giudizio di legittimità.

E, ancora, omessa ai sensi della norma citata è la motivazione su di un fatto storico o normativo (cfr. Cass. n. 16655/11), ossia su di un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass. n. 21152/14). Ne resta esclusa la mancata considerazione degli elementi di carattere istruttorio – diversi da quelli apprezzati dal giudice o che questi abbia diversamente apprezzato – che la parte ricorrente giudichi favorevoli a sè nell’ambito della propria ricostruzione dei fatti.

2.2. – La complessiva impostazione delle critiche mosse alla sentenza impugnata tradisce il proposito di eludere tali limiti interni al giudizio di cassazione, e di sollecitare un rinnovato esame di fatto dell’intera vicenda attraverso un’attività ermeneutica contrattuale diversamente orientata, ma non dimostrativa ex se del vizio motivazionale denunciato.

Infatti. Sostenere che le scritture private del 16.5.2003 e del 21.11.2003 interagiscano tra loro al fine d’un “negozio di definizione della crisi coniugale” (tra P.F. e M.A.) e che esse abbiano “coinvolto tutti i componenti della famiglia”, non porta acqua alla tesi degli attori (id est la proprietà degli immobili siti in (OMISSIS) ovvero il diritto di credito al relativo trasferimento), perchè si può dividere solo ciò che sia comune agli stessi condividenti; il resto implica un’attività negoziale diversa e, soprattutto, munita di una propria causa traslativa. Nè scalfisce la logicità dell’accertamento operato dalla Corte distrettuale, che ha ravvisato nel punto 2 della scrittura 16.5.2003 un atto di natura meramente dichiarativo-ricognitiva.

Non solo, ma la sentenza impugnata ha ravvisato all’interno della prima delle due scritture solo un generico riferimento alla divisione (“… M.A. individuerà un accordo con gli altri proprietari tra i sei lotti quello pari a un sesto di sua spettanza”: v. pag. 16 sentenza impugnata). Ha osservato altresì che a detta scrittura non hanno partecipato alcuni proprietari e che, soprattutto, non risulta un formale accordo fra tutti i condividenti sulle modalità della divisione quanto a lotti singoli e quote spettanti a ciascuno (v. pagg. 16-17 sentenza impugnata). Motivazione, questa, del tutto immune da vizi di logica-giuridica, sia perchè rileva l’assenza (non confutata nè confutabile a livello letterale) di un accordo completo ed esauriente sulla divisione, anche sotto il profilo della partecipazione soggettiva, sia perchè giustamente limitato allo scrutinio di fatto necessario a valutare la tesi prospettata dalla parte odierna ricorrente.

Tanto meno può essere dimostrativo di un deficit o di un vizio motivazionale il diverso accertamento contenuto in altra pronuncia tra le stesse parti (la n. 418/06 emessa dal Tribunale di Bologna), in forza della quale la scrittura del 16.5.2003 – si sostiene – sarebbe stata interpretata come atto avente “la forza di modificare gli stessi impegni assunti in sede di `omologà della separazione consensuale tra i coniugi P. – M.” (così l’opinione della parte ricorrente, a pag. 28 del ricorso). Infatti, il diverso accertamento compiuto da altro giudice di merito non prevale al di fuori dei limiti del giudicato esterno e delle relative tecniche processuali di emersione, che in sede di legittimità richiedono un’apposita censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, trattandosi di violazione di norma sostanziale (cfr. Cass. nn. 1514/07 e 7891/95).

Non senza rimarcare, a definitiva conferma della logicità dell’accertamento operato dalla Corte di merito, che l’intento dei coniugi di modificare le condizioni di una separazione consensuale omologata non dimostra l’idoneità dispositiva anche della dichiarazione che un terzo (nella specie, N.L.) abbia espresso – in termini che il giudice di merito abbia ritenuto ricognitivi e privi di un’esplicita una causa di scambio – nel medesimo atto.

Quanto al collegamento della scrittura del 16.5.2003 con quella del 21.11.2003, di cui parte ricorrente lamenta il difetto di valutazione unitaria e contestualizzata, è sufficiente osservare che la stessa allegazione di parte indica firmatari differenti, e cioè M.A., P.F., M.G. e N.L. per la prima, il solo M.A. per la seconda (v. pag. 25 del ricorso); e che il contenuto di quietanza della scrittura 21.11.2003 e il riferimento ivi operato al lotto (già) scelto dal dichiarante, possono confermare l’esistenza di trattative di divisione e in ipotesi l’anticipazione di taluni effetti di questa, ma non impongono affatto, per vincolo di coerenza logica, di ritenere d’un tratto che (i) la precedente scrittura del 16.5.2003 contenga una divisione perfetta ed efficace e che (ii) questa includa la cessione degli immobili contesi ovvero l’obbligo di trasferirli agli attori.

2.3. – Non scalfita, a termini del controllo motivazionale consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, testo previgente, l’interpretazione data dalla Corte di merito ai predetti documenti, perde decisività ogni ulteriore considerazione svolta sulla ratio decidendi, puramente aggiuntiva, inerente al(l’assenza del) certificato di destinazione urbanistica e alla (in)determinabilità dell’oggetto della scrittura del 16.5.2003.

2.4. – La censura relativa alle spese è apparente, e come tale inammissibile, perchè si limita a prenotare gli effetti ex art. 91 c.p.c., dell’accoglimento del ricorso, auspicato dai ricorrenti.

2.5. – Del pari inammissibile la doglianza sull’omessa motivazione della pronuncia impugnata circa la ripetizione di spese di “gestione, manutenzione e valorizzazione dei lotti per cui è causa” (v. pag. 51 del ricorso), trattandosi di questione (e di domanda) nuova, non inserita nelle conclusioni rassegnate nel giudizio d’appello (v. sentenza impugnata).

3. – Infine, va rilevata l’inammissibilità della produzione della sentenza n. 12889/15 pronunciata da questa Corte tra le stesse parti (e dunque dedotta in funzione probatoria e non di semplice precedente di diritto), allegata alla memoria ex art. 378 c.p.c., depositata dalla parte controricorrente.

4. – In conclusione il ricorso va respinto.

5. – Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza dei ricorrenti in solido tra loro.

5.1. – Non anche quelle dei gradi merito, compensate dalla sentenza impugnata, poichè la revisione del relativo regolamento (chiesta nelle conclusioni del controricorso) avrebbe richiesto la proposizione di un apposito ricorso incidentale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido tra loro alle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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