Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17014 del 10/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 10/07/2017, (ud. 20/04/2017, dep.10/07/2017),  n. 17014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12130/2012 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, ALLA VIA DEI

PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

A.M.D.L.M., M.A., R.A.,

S.B.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 617/2011 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 11/08/2011 R.G.N. 1090/2007.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza n. 617/2011 la Corte d’appello di Ancona, accogliendo l’appello proposto da A.M.D.L.M., M.A., R.A. e S.B., ha riformato la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Macerata ed ha condannato il Ministero della Giustizia a corrispondere a ciascuna ricorrente la differenza tra quanto già percepito a titolo di compensi per lo svolgimento di lavori socialmente utili e quanto dovuto secondo il trattamento retributivo e contributivo previsto per il personale dipendente di pari livello, oltre interessi legali ed eventuale rivalutazione monetaria come per legge dalla maturazione al saldo, nonchè al versamento dei relativi contributi previdenziali;

che, secondo l’accertamento del giudice di merito, le appellanti, addette alle cancellerie del Tribunale di Macerata e alla segreteria della Procura, lungi dall’operare in funzione degli obiettivi dei progetti, erano state impiegate nei vari servizi amministrativi dell’ufficio, secondo le ordinarie esigenze degli stessi, in condizione di assoluta ed indifferenziata promiscuità rispetto ai dipendenti in servizio, “senza alcun riferimento alle limitazioni connesse ai detti obiettivi, di cui non si è tenuto alcun conto nell’attribuzione delle mansioni…” (pag. 2 sent.);

che la Corte di appello ha ritenuto che i lavori socialmente utili costituiscono un fattispecie giuridica che mantiene la sua matrice assistenziale, accompagnata da una componente formativa diretta alla riqualificazione del personale, nei limiti in cui tale occupazione temporanea avvenga in maniera conforme ed in attuazione dell’apposito progetto, mentre in caso di discostamento per contenuto ed orario dalla prestazione socialmente utile trova applicazione la norma di cui all’art. 2126 c.c. (Cass. n. 10759 del 2009);

che per la cassazione della sentenza propone ricorso il Ministero della Giustizia che affida l’impugnazione a due motivi di censura, seguiti da memoria; le intimate non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che col primo motivo di ricorso il Ministero della Giustizia, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c., assume che tale norma, che regola l’ipotesi dello svolgimento della prestazione lavorativa di fatto, presuppone un rapporto di lavoro costituito al di fuori delle condizioni e modalità stabilite dalla legge e che quindi è nullo di diritto, tale per cui operano i meccanismi di protezione ivi previsti, mentre nel caso in esame le lavoratrici avevano prestato la propria attività di LSU negli uffici giudiziari in base a quanto previsto nelle convenzioni sottoscritte dall’amministrazione pubblica ed avevano lavorato solo nel periodo di vigenza temporale delle stesse convenzioni; aggiunge che il trattamento economico riservato ai lavoratori impegnati in attività socialmente utili non va commisurato, ai sensi dell’art. 36 Cost., al lavoro di fatto svolto, poichè la fattispecie si colloca nell’ambito di un rapporto giuridico previdenziale che trova il suo fondamento nel disposto di cui all’art. 38 Cost.;

che col secondo motivo l’Amministrazione ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 468 del 1997, artt. 1, 2, 10 e 13, D.L. n. 299 del 1994, art. 14 e del D.Lgs. n. 81 del 2000, artt. 2 e 3 e insufficiente motivazione, deduce che, essendo la prestazione in LSU utilizzata in funzione di supporto operativo, è ovvio che le relative attività debbano svolgersi in conformità a quelle prestate dai lavoratori dipendenti; ciò tuttavia non interferisce con la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro; poichè l’istituto dei lavori socialmente utili è stato creato quale intervento di sostegno all’occupazione, il particolare tipo di lavoro che ne scaturisce non può che rivestire natura previdenziale ed assistenziale e mai può essere qualificato come lavoro subordinato prestato alle dipendenze della Pubblica Amministrazione;

che i due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto tra loro connessi; gli stessi sono infondati, pur occorrendo premettere che questa Corte, con le sentenze nn. 18708, 15213, 15007, 15008 e 14636 del 2013, in fattispecie analoghe a quella in esame, ha accolto le censure svolte dal Ministero, affermando l’inapplicabilità dell’art. 2126 c.c.;

che nello stesso senso, sfavorevole ai lavoratori in caso di devianza dal programma/progetto per LSU, si sono espresse anche le ordinanze della 6^ sezione di questa Corte, pure citate dal Ministero nella memoria, e precisamente le ordinanze nn. 23318, 23316, 23317, 23061 del 2015, che richiamano Cass. n. 9811 del 2012;

che, diversamente, l’orientamento favorevole all’applicabilità dell’art. 2126 c.c., nell’ipotesi in cui l’occupazione in fatto si discosta dal progetto LSU, è stato espresso da Cass. n. 6914 del 2015, nn. 22287 e 21311 del 2014, n. 11248 del 2012 e n. 10759 del 2009; inoltre, ancor più recentemente, tale orientamento è stato confermato da Cass. n. 15071 del 2015 e da Cass. nn. 13472 e 13596 del 2016;

che preliminarmente occorre rilevare che l’estraneità al progetto delle mansioni svolte dalle odierne intimate è stata affermata dalla Corte di appello sulla base di un confronto tra lo stesso e le prestazioni rese ed anzi il giudice di merito ha riscontrato lo svolgimento di un rapporto di lavoro avente i tratti della subordinazione di fatto, in tal senso deponendo il tenore complessivo della sentenza impugnata: questa ha chiaramente evidenziato che le appellanti, “….lungi dall’operare in funzione degli obiettivi dei progetti…”, avevano prestato la loro attività “…nei vari servizi amministrativi dell’ufficio, secondo le ordinarie esigenze degli stessi, in condizione di assoluta ed indifferenziata promiscuità rispetto ai dipendenti in servizio…”; al riguardo, il ricorso svolge una contestazione con argomenti del tutto astratti ed avulsi dall’accertamento svolto nel caso concreto;

che, in punto di diritto, l’istituto dei LSU è stato disciplinato dalla L. 19 luglio 1994, n. 451, art. 14, di conversione del D.L. n. 299 del 1994, il quale disponeva che ai lavori socialmente utili presso le pubbliche amministrazioni potevano essere avviati o i titolari di trattamento straordinario di integrazione salariale, dell’indennità di mobilità, ovvero i disoccupati di lunga durata (di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 25, comma 5). Per i primi il compenso per l’opera prestata era pari alla prestazione previdenziale in godimento (cassa integrazione o indennità di mobilità), salvo il diritto ad un compenso integrativo per il lavoro ulteriore svolto. Per i disoccupati che non godevano di alcuna prestazione previdenziale si stabilì (comma 4 del citato art. 14) la somma di Lire 7.500 orarie. La medesima legge ha previsto che l’utilizzazione dei lavoratori non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro, non implica la perdita del trattamento straordinario di integrazione salariale e non comporta la cancellazione dalle liste di collocamento o dalle liste di mobilità. Successivamente, col decreto L. n. 510 del 1996, convertito nella L. n. 608 del 1996, art. 1, comma 3, fu operata la sostituzione della L. n. 451 del 1994, art. 14, comma 4, nei seguenti termini: “I soggetti di cui al comma 1 che non fruiscono di alcun trattamento previdenziale possono essere impegnati nell’ambito del progetto per non più di dodici mesi e per essi può essere richiesto, a carico del fondo di cui al comma 7, un sussidio non superiore a Lire 800.000 mensili. Il sussidio è erogato dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e per esso trovano applicazione le disposizioni in materia di mobilità e di indennità di mobilità. Ai lavoratori medesimi può essere corrisposto, dai soggetti proponenti o utilizzatori, un importo integrativo di detti trattamenti, per le giornate di effettiva esecuzione delle prestazioni”. Si stabilì ancora con la L. n. 196 del 1997, art. 20, che detto compenso fosse a carico del Fondo per l’occupazione di cui al D.L. n. 148 del 1993, art. 1, comma 7, convertito nella L. n. 236 del 1993. In seguito con il D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 3, si reiterò la previsione che per i lavoratori utilizzati nella attività di lavori socialmente utili non percettori di trattamenti previdenziali competeva un importo mensile di Lire 800.000 erogato dall’Inps (in tal senso Cass. n. 9811/2012 ed altre successive);

che, ad avviso del Collegio, tale disciplina regola l’ipotesi di conformità della prestazione di lavoro al progetto e la sua piena riconducibilità al particolare istituto contemplato dal legislatore per sopperire allo stato di disoccupazione del lavoratore; diverso è il caso in cui la prestazione di fatto resa presenti una radicale difformità dal progetto, non potendo il requisito formale prevalere su quello sostanziale. In caso di svolgimento di una prestazione lavorativa in tutto sovrapponibile a quella degli altri dipendenti, non può invocarsi la natura assistenziale propria del rapporto formalmente instaurato tra le parti; in tal caso, il rapporto di fatto intercorso come subordinato resta regolato dall’art. 2126 c.c., la cui applicabilità ai rapporti di pubblico impiego contrattualizzato è stata affermata più volte da questa Corte (cfr. sent. n. 12749 del 2008, n. 20009 del 2005 e più recentemente, ex plurimis, n. 1639 del 2012, n. 991 e n. 23645 del 2016, n. 3384 del 2017);

che anche la più risalente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 21936 del 2004) aveva affermato che non può qualificarsi quale rapporto di lavoro subordinato, nè a termine, nè a tempo indeterminato, l’occupazione temporanea in lavori socialmente utili dei lavoratori che beneficiano del trattamento di cassa integrazione straordinaria a norma del D.L. n. 366 del 1987, art. 3, convertito in L. n. 452 del 1987, dalla quale scaturisce un rapporto speciale che coinvolge più soggetti con una matrice assistenziale, ma con una componente formativa diretta alla riqualificazione del personale in cassa integrazione per una possibile ricollocazione; tale espressa qualificazione normativa non esclude, tuttavia, che in concreto il rapporto possa avere le caratteristiche di un ordinario rapporto di lavoro subordinato con conseguente applicazione della relativa disciplina;

che, ai fini della qualificazione come rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di una pubblica amministrazione, rileva che il lavoratore risulti effettivamente inserito nella organizzazione pubblicistica e adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’Amministrazione, non rilevando in senso contrario l’assenza di un atto formale di nomina, nè che si tratti di un rapporto a termine, e neppure che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di nuove assunzioni, con conseguente configurabilità di prestazione di fatto, a norma dell’art. 2126 c.c. (v. Cass. n. 10551 del 2003);

che in questa sede il Collegio intende dare continuità al più recente indirizzo espresso in argomento da Cass. nn. 13472/16 e 13596/16, 6914/16 e 15071/15, i cui principi devono essere ribaditi, per le ragioni tutte indicate nella motivazione delle sentenze sopra richiamate, da intendersi qui trascritte ex art. 118 disp. att. c.p.c.;

che, specificamente per quanto attiene alla fattispecie in esame, occorre enunciare il seguente principio: “In tema di occupazione di lavori socialmente utili o per pubblica utilità, la qualificazione normativa di tale rapporto speciale, avente matrice assistenziale e componente formativa, non esclude che in concreto il rapporto possa avere le caratteristiche di un ordinario rapporto di lavoro subordinato con conseguente applicazione dell’art. 2126 c.c. e, ai fini della qualificazione come rapporto di lavoro prestato di fatto alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione, rileva che il lavoratore risulti effettivamente inserito nell’organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell’Amministrazione”;

che, in considerazione del superamento – solo recentemente avvenuto nella giurisprudenza di questa Corte – dell’orientamento sfavorevole ai lavoratori, ricorrono compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2017

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