Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17013 del 20/08/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 17013 Anno 2015
Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: STALLA GIACOMO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 25709-2011 proposto da:
RICCI

LIVIO RCCLV148C05G6531,

LUTEIJN ELEONORA

JACQUELINE LTJLRJ51S65Z126D, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO 12D, presso
lo studio dell’avvocato ANNUNZIATA D’ANDREA,
rappresentati e difesi dall’avvocato CORRADO BRILLI
2015

giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –

1228

contro
ALDINUCCI SIMONE LDNSMN80C20D612X;
– intimato –

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Data pubblicazione: 20/08/2015

Nonché da:
ALDINUCCI

SIMONE LDNSMN80C20D612X,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA EMILIANI 48, presso
lo studio dell’avvocato NICOLA CECI GINISTRELLI,
– rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO CERULLI

incidentale;
– ricorrente incidentale contro

RICCI

LIVIO

RCCLV148C05G6531,

LUTEIJN ELEONORA

JACQUELINE LTJLRJ51S65Z126D, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO 12D, presso
lo studio dell’avvocato ANNUNZIATA D’ANDREA,
rappresentati e difesi dall’avvocato CORRADO BRILLI
giusta procura speciale in calce al ricorso

principale;
– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 45/2011 del TRIBUNALE DI
AREZZO -SEDE DISTACCATA DI SANSEPOLCRO-, depositata
il 06/05/2011, R.G.N. 370/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/05/2015 dal Consigliere Dott. GIACOMO
MARIA STALLA;
udito l’Avvocato ANNUNZIATA D’ANDREA per delega non
scritta;
udito l’Avvocato NICOLA CECI GINISTRELLI per delega

giusta procura speciale in calce al ricorso

non scritta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IGNAZIO PATRONE che ha concluso per il

rigetto di entrambi i ricorsi.

3

Ric.n. 25709/11 rg. – Ud. dei 19 maggio 2015

Svolgimento del giudizio.

Nell’ottobre 2006 Livio Ricci ed Eleonora Jacqueline Luteijn
convenivano in giudizio Simone Aldinucci e Giuseppe Lacu,
chiedendo che venisse confermato, in sede di piena cognizione, il
contenuto del provvedimento ex art.700 cpc con il quale il

di

Arezzo, sezione distaccata di Sansepolcro, aveva

ordinato a questi ultimi di far pascolare i loro greggi e di
tenere i cani-pastore ad una distanza di almeno 100 mt. dalla
proprietà di essi attori, con apposizione di una recinzione atta
allo scopo; così da far cessare le immissioni acustiche nella loro
abitazione, provenienti dai campani e dai belati degli ovini.
Chiedevano inoltre il risarcimento del danno.
Nella costituzione in giudizio dell’ Aldinucci, veniva emessa
sentenza n. 392/09 con la quale il giudice di pace di Sansepolcro
accoglieva tale domanda, condannando altresì l’ Aldinucci al
pagamento della somma equitativamente determinata di euro
10.000,00, a titolo di

“risarcimento del danno esistenziale da

inquinamento acustico e limitazione di movimento”.
Proposto appello dall’ Aldinucci, veniva emessa sentenza n.
45/11 con la quale il tribunale di Arezzo, sezione distaccata di
Sansepolcro, in parziale riforma della prima decisione:
respingeva, per difetto di prova del danno, la domanda di
risarcimento proposta dagli attori; – poneva a carico dell’
Aldinucci le spese della fase cautelare, anche di reclamo al
collegio, che rideterminava nel complessivo importo di euro
3.420,99 oltre accessori; – compensava in ragione del 50% le spese
3 bis

tribunale

Ric.n. 25709/11 rg. – Ud. del 19 maggio 2015

del doppio grado di merito (liquidate in complessivi euro
2.500,00), ponendo il residuo a carico dell’Aldinucci
Avverso tale sentenza Livio Ricci ed Eleonora Jacqueline
Luteijn propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro
motivi; resiste con controricorso l’ Aldinucci, il quale propone

Motivi della decisione.
1.1 Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta, ex

art.360, 1^co.n.4) cpc, nullità del procedimento e della sentenza
di secondo grado, poiché l’atto di appello non era stato
notificato, ex articolo 332 c.p.c., anche al Lacu (pastore del
gregge); già convenuto nella fase cautelare ed in primo grado, in
quanto titolare di un rapporto scindibile per solidarietà con l’
Aldinucci (proprietario). A nulla rilevava, in proposito, che in
tali giudizi egli fosse rimasto contumace.
1.2 La censura è infondata.

Come riconosciuto anche dai ricorrenti, si verteva nella specie
di domanda concernente un’ipotesi di responsabilità solidale e,
dunque, di litisconsorzio facoltativo (Cass. n. 24362 del
29/10/2013 ed altre); con conseguente applicazione del disposto
non già dell’articolo 331 cod.proc.civ. relativo alla integrazione
del contraddittorio in appello tra litisconsorti necessari per
inscindibilità del rapporto sostanziale o dipendenza di causa,
bensì dell’articolo 332 cod.proc.civ..
Norma,

quest’ultima,

ispirata alla diversa esigenza di

permettere la concentrazione in unico giudizio delle impugnazioni
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altresì un articolato motivo di ricorso incidentale.

Ric.n. 25709/11 rg. – Ud. del 19 maggio 2015

proposte contro la stessa sentenza da tutte le parti che ne
abbiano diritto. Da questa diversa ratio consegue che, in ipotesi
di causa scindibile, il mancato ordine giudiziale di notificazione
dell’appello nei confronti delle parti non costituite non comporta
la nullità della sentenza di secondo grado qualora, al momento

pretermessa, i termini ex artt.325 e 327 l^ co. per l’appello.
Situazione, quest’ultima, nella quale lo scopo pratico perseguito
dalla norma non ha più ragion d’essere, con la conseguenza che la
sua inosservanza rimane priva di effetto.
Di tale principio – più volte affermato in sede di legittimità:
Cass. n. 9080 del 15/04/2013;
Cass. n.

Cass. n. 17868 del 22/08/2007;

4893 del 01/04/2003 – deve farsi qui puntuale

applicazione, essendo nella specie pacifico l’ormai avvenuto
inutile decorso dei termini di proposizione dell’appello da parte
del Lacu.
2.1 Con il secondo motivo di ricorso Ricci e Luteijn lamentano ex art.360, 1^co.nn.3) e 5) cpc – l’erroneo rigetto da parte della
corte di appello, in riforma della prima decisione, della loro
domanda di risarcimento del danno; posto che ancorchè si ritenesse
insussistente la prova di una lesione psicofisica (danno biologico
alla salute) per effetto delle immissioni acustiche, la
sussistenza di un danno morale o esistenziale doveva invece
ritenersi insita nell’accertata lesione dei diritti costituzionali
alla libertà di spostamento; al tranquillo godimento del
domicilio; alla serena fruizione del tempo libero. Sicchè la prova
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della pronuncia di legittimità, siano già decorsi, per la parte

Ric.n. 25709/11 rg. – Ud. del 19 maggio 2015

della intollerabilità delle immissioni (così come ritenuta anche
dal giudice di appello) implicava di per sé la prova del danno

risarcibile.
§ 2.2

La doglianza non può trovare accoglimento, né sotto il

profilo della violazione normativa, né sotto quello della carenza

Partendo da quest’ultimo aspetto, il giudice di appello ha
escluso che gli attori avessero fornito la prova, su di essi
gravante, non solo di un danno alla loro integrità psicofisica, ma
anche di un danno non patrimoniale di natura esistenziale da
inquinamento acustico e da limitazione del movimento. Riformando,
sul punto, la prima decisione, il tribunale ha infatti osservato
che i testi sentiti avevano confermato la sussistenza ed
intollerabilità delle immissioni sonore provenienti dal gregge al
pascolo in prossimità dell’abitazione degli attori, senza che da
ciò si deducessero tuttavia elementi utili alla dimostrazione di
un danno risarcibile; sicché gli appellati non avevano, in
definitiva,

“offerto alcuna prova (nè articolato richieste in tal

senso) idonea a documentare la verificazione di un pregiudizio,
derivante dalle lamentate immissioni, alla loro vita quotidiana,
con conseguente impedimento o difficoltà nello svolgimento di
attività che ne costituivano parte integrante (in cui si
sostanzia propriamente il danno esistenziale) (…)”

(sent. pag.6).

Si tratta di un convincimento di merito qui non sindacabile,
risultando del resto ben chiaro dalla motivazione censurata come
il difetto di prova del danno non patrimoniale abbia riguardato
6

motivazionale.

Ric.n. 25709/11 rg. – Ud. del 19 maggio 2015

non tanto (o soltanto) il

quantum riconoscibile, bensì l’esistenza

stessa (an debeatur) del pregiudizio.
Parimenti destituita di fondamento è la censura di violazione
normativa, dal momento che i principi di diritto richiamati dal
giudice di appello trovano riscontro nella ormai assodata

che il danno ex art.2059 cc – pur quando sia astrattamente
riconoscibile – si atteggia in ogni caso quale danno-conseguenza
(v.note decisioni di cui alle SSUU nn. 26972/3/4/5 del 2008); così
da non potersi ritenere

in re ipsa,

e richiedere invece la

comprovata sussistenza dei caratteri generali della gravità della
lesione e della apprezzabile serietà, comunque valutata sul metro
dei diritti costituzionali inviolabili, del pregiudizio di cui si
chieda il risarcimento (tra le altre, da ultimo, Cass. n. 15240
del 3 luglio 2014; Cass. n. 17974 del 14 agosto 2014). Alla luce
di tali parametri – costituenti il punto di equilibrio
costituzionale tra il dovere di protezione e solidarietà verso la
vittima dell’illecito ed il generale dovere di tolleranza nei
rapporti sociali – il risarcimento del danno non patrimoniale
richiede, in definitiva, la prova di una violazione che abbia
determinato in concreto una lesione la quale, andando oltre l
suddetta soglia di tollerabilità, ne renda significativamente
apprezzabile la portata e costituzionalmente meritevole il
ristoro. Di tale orientamento non mancano applicazioni proprio in
tema di danno non patrimoniale da immissioni intollerabili;
essendosi in proposito affermato che l’accertata esposizione ad
7

giurisprudenza di legittimità. Quanto, in particolare, al fatto

Ric.n. 25709/11 rg. – Ud. del 19 maggio 2015

immissioni sonore intollerabili non costituisce di per sé prova
dell’esistenza di danno alla salute, la cui risarcibilità è
subordinata all’accertamento dell’effettiva esistenza di una
lesione fisica o psichica (Cass. n. 25820 del 10/12/2009); e che
il danno non patrimoniale consistente nella modifica delle

nozione di danno esistenziale) in conseguenza delle immissioni non
può essere risarcito in difetto di specifica prospettazione e
dimostrazione di un danno attuale e concreto (Cass. n. 4394 del
20/03/2012). Ora, nel caso in esame, il giudice di merito ha
correttamente escluso che la prova delle immissioni, ancorchè
illegittime, concretasse la prova di un danno risarcibile, non
potendo quest’ultimo considerarsi

in re ipsa;

né gli attori

avevano allegato ed offerto di provare (anche a mezzo di
presunzioni) che, per effetto delle immissioni sonore, essi
avevano subito un significativo mutamento delle loro condizioni ed
abitudini di vita, concretante un pregiudizio risarcibile.
Corretta, infine, deve ritenersi l’affermazione del tribunale
secondo cui la prova della sussistenza di un danno risarcibile
deve essere fornita dalla parte pur in presenza di domanda di
liquidazione equitativa; ciò perché il potere giudiziale di
liquidazione equitativa ex articoli 1226 e 2056 cod.civ. non
esonera la parte dall’onere di provare il danno nella sua
esistenza ontologica, intervenendo unicamente nella determinazione
quantitativa del pregiudizio allorquando la prova diretta ed

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abitudini di vita del danneggiato (alla quale si ricollega la

Ric.n. 25709/11 rg. – Ud. del 19 maggio 2015

analitica di quest’ultima risulti, per la peculiarità della
fattispecie, impossibile o particolarmente difficile.
§ 3.1

Con il

terzo motivo

di ricorso si lamenta, ex art.360,

1Aco.n.5) cpc, l’erroneo governo da parte della corte di appello
delle spese di lite: – sia di quelle della fase cautelare, poste

dal giudice di appello in un quantum troppo basso in ragione della
complessità del procedimento; – sia di quelle di primo e secondo
grado, rideterminate in importo troppo basso, e senza motivazione
circa i presupposti della ritenuta compensazione al 50%.
Con il

quarto motivo

di ricorso si deduce, ex art.360,

1^co.n.4) cpc, violazione dell’articolo 112 c.p.c., poiché la
corte di appello aveva ridotto i diritti e gli onorari della fase
cautelare di reclamo avanti al collegio, nonostante che tale
riduzione non fosse stata richiesta dall’ Aldinucci.
§ 3.2 I due motivi in esame, suscettibili di trattazione unitaria,

sono infondati.
Si osserva in proposito che il parametro normativo di
regolazione delle spese di lite era nella specie costituito
(trattandosi di procedimento instaurato prima dell’entrata in
vigore della 1.69/09) dai ‘giusti motivi’ della previgente
formulazione dell’art.92 cod.proc.civ.. Giusti motivi di parziale
compensazione ravvisati dal giudice di appello nelle peculiarità
della controversia, e comunque corroborati – nella valutazione
unitaria dell’esito della lite – dalla parziale soccombenza nella
quale erano infine incorsi gli attori in ordine alla domanda
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giustamente a carico per intero dell’ Aldinucci ma rideterminate

Ric.n. 25709/11 rg. — Ud. del 19 maggio 2015

risarcitoria.

Senonchè, in tema di spese processuali, il

sindacato della corte di cassazione è limitato ad accertare che
non risulti violato il principio secondo il quale le spese non
possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa;
pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere
del

giudice

di

merito

la

valutazione

dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di
lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia
nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (Cass. n.
del 19/06/2013 ed altre).

15317

Posto che nel caso di specie non è

stato violato il divieto di porre le spese a carico della parte
totalmente vittoriosa, non può darsi qui ingresso ad alcuna
differente valutazione.
Analoghe considerazioni di non sindacabilità debbono essere
svolte in ordine alla minor quantificazione delle spese del primo
grado di giudizio, sulle quali si osserva che: – la riliquidazione
di tali spese era stata richiesta in appello dall’appellante con
riferimento alle

del giudizio di primo grado,

‘varie fasi’

compresa in esse (nella ricostruzione della volontà processuale
della parte, come compiuta dal giudice di merito con valutazione
qui non rivedibile) anche la fase del reclamo al collegio avvers
il provvedimento ex articolo 700 cod.proc.civ.; – gli odierni
ricorrenti non lamentano, nella liquidazione in oggetto, la
specifica violazione delle voci di liquidazione tabellare, né
risulta contestabile il criterio di valore della causa

10

discrezionale

Ric.n. 25709/11 rg. – Ud. del 19 maggio 2015

(‘indeterminato basso’) sul quale il giudice di appello ha
conformato, secondo tariffa, la propria liquidazione.

§ 5.1 Con il primo ed il secondo motivo di ricorso incidentale tempestivamente introdotto, tenuto conto della data (12.12.’11,
ultimo giorno utile non festivo) di consegna dell’atto all’agente

lAco.nn.4) e 5) cpc – l’erronea conferma da parte del giudice di
appello della sentenza di primo grado con la quale era stato
recepito il provvedimento cautelare di apposizione di una
recinzione a 100 mt. di distanza dalla proprietà degli attori;
nonostante che costoro si fossero limitati a chiedere, ad
eliminazione delle immissioni, che i campani fossero ridotti ad
uno/due ‘per gregge’, così come nella tradizione toscana.

§ 5.2 Si tratta di censure destituite di fondamento.
Risulta infatti che gli attori, con l’atto introduttivo del
giudizio, avevano chiesto espressamente la ‘conferma del
provvedimento cautelare del 21 agosto 2006′; conferma che,
trasposta nell’ambito del giudizio di cognizione, non poteva avere
altro significato sostanziale che quello di condanna dei convenuti
a tenere lo stesso comportamento già fatto oggetto d
provvedimento cautelare in ordine all’ adozione degli accorgimenti
(tra cui la recinzione a distanza) atti al contenimento delle
immissioni nei limiti della normale tollerabilità, in una con la
delimitazione dello spazio d’azione dei cani pastore.
Va dunque considerato che, nel confermare la pronuncia di primo
grado in ordine alla recinzione a 100 mt. di distanza dalla
11

postale per la notificazione – l’Aldinucci lamenta – ex art.360,

Ric.n. 25709/11 rg. – Ud. del 19 maggio 2015

proprietà degli attori, il giudice di appello non è incorso nel
lamentato vizio di ultrapetizione, atteso che la condanna dei
convenuti all’apposizione di tale recinzione doveva ritenersi
logicamente ricompresa già nella domanda introduttiva, con la
quale gli attori avevano inteso far coincidere del tutto il

del provvedimento cautelare; al quale facevano espresso ed
inequivoco riferimento. Sicchè il richiamo, nelle conclusioni
degli attori, alla riduzione del numero dei campani (uno/due per
gregge) non poteva ritenersi esaustiva della domanda dei medesimi;
proprio perché puramente conformativa, in sede di cognizione
piena, a quanto da essi ottenuto in sede cautelare (dunque

compresa la recinzione alla distanza indicata).
Ne segue il rigetto del ricorso principale e di quello
incidentale; con conseguente compensazione delle spese tra le
parti, in ragione di reciproca soccombenza.
Pqm

La Corte
rigetta il ricorso principale e quello incidentale;
compensa le spese.
Così deciso nella camera di consiglio della terza sezione
civile in data 19 maggio 2015.

petitum del giudizio di cognizione con il contenuto dispositivo

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