Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17013 del 20/07/2010

Cassazione civile sez. II, 20/07/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 20/07/2010), n.17013

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL MONTE

DI CASA 21, presso lo studio dell’avvocato COCHETTI ANTONIO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

F.LLI RAPONE M & G SNC in persona dei due legali rappresentanti

pro

tempore;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1017/2003 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 05/12/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/04/2010 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per inammissibilita’.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.V. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal presidente del tribunale di Sulmona con il quale gli era stato intimato di pagare L. 9.896.982 alla s.n.c. F.lli Rampone a titolo di saldo del corrispettivo per l’esecuzione di alcuni lavori edili. L’opponente deduceva che le opere non erano state portate a termine, che quelle eseguite presentavano difetti e che il prezzo richiesto non corrispondeva a quello pattuito. Il B., quindi, chiedeva la revoca del decreto opposto e, in via riconvenzionale, il ristoro del danno che assumeva di aver subito.

La societa’ opposta, costituitasi, contestava la sussistenza dei difetti e deduceva che le somme richieste corrispondevano a quelle liquidate dal direttore dei lavori.

Il tribunale di Sulmona rigettava l’opposizione con sentenza avverso la quale il B. proponeva appello.

Con sentenza 5/12/2003 la corte di appello di L’Aquila dichiarava inammissibile il gravame osservando: che il B., dopo aver mosso specifici rilievi alla sentenza impugnata, aveva cosi’ concluso: “Piaccia alla Corte accogliere il proposto appello, revocando la impugnata sentenza, ed adottare ogni consequenziale provvedimento in ordine alle spese dei due gradi di giudizio”; che il gravame mancava del petitum nel senso che, alla richiesta di riforma della sentenza, non si aggiungeva la specificazione del modo in cui riformare la sentenza (eccezione fatta per le spese); che la rilevata omissione assumeva nella specie valenza non solo formale, considerato che in primo grado il B. aveva sollevato numerose doglianze ed aveva poi chiesto in via riconvenzionale il ristoro dei danni subiti;

che la genericita’ dell’atto non consentiva di individuare i rilievi – in via di azione o di eccezione – riproposti dal B., con conseguente impossibilita’, ove ritenuti fondati i detti rilievi, di stabilire la volonta’ dell’appellante di paralizzare solo la domanda di pagamento proposta dalla societa’ Rampone o anche di ottenere – operata la compensazione tra i due controcrediti – anche la condanna della detta societa’ al pagamento del supero; che cio’ comportava il rischio di violare il principio della corrispondenza tra la richiesta e la decisione.

La cassazione della sentenza della corte di appello di L’Aquila e’ stata chiesta da B.V. con ricorso affidato ad solo motivo. L’intimata s.n.c. F.lli Rampone non ha svolto attivita’ difensiva in sede di legittimita’.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo ricorso B.V. denuncia violazione degli artt. 342, 345 e 346 c.p.c. deducendo che la corte di appello non ha tenuto conto della regola per la quale gli atti processuali vanno valutati secondo il canone dell’interpretazione complessiva. Il giudice di secondo grado, quindi, non poteva limitarsi alla lettura della conclusione finale (revoca della sentenza appellata) senza tener conto degli specifici motivi della richiesta che consentivano di identificare con chiarezza l’ambito della revisione richiesta con la sostanziale riproposizione delle domande ed eccezioni fatte valere in primo grado. La corte di merito non ha considerato quanto disposto dall’art. 336 c.p.c. in ordine all’effetto espansivo interno della riforma che il giudice dell’impugnazione avrebbe dovuto pronunziare.

La censura e’ fondata.

Occorre premettere che in tema di esposizione sommaria dei fatti e di specificazione dei motivi di appello, questa Corte ha avuto modo di affermare i seguenti principi:

– il principio della liberta’ di forma degli atti di parte nel processo civile non consente di tenere distinte, ai fini della concreta ricerca delle istanze rivolte al giudice, le diverse parti degli scritti difensivi ed impone l’esame globale di essi, ben potendo essere contenute nella parte espositiva richieste conclusive e, allo stesso modo, argomentazioni difensive tra le conclusioni di detti atti (sentenza 22/8/2002 n. 18096);

– quando dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni contenute nell’atto d’appello risulti la volonta’ di sottoporre l’intera controversia al giudice dell’impugnazione, questi e’ tenuto a riesaminare anche quelle parti della sentenza di primo grado che non abbiano, a differenza di altre, formato oggetto di specifica trattazione nel suddetto atto, in quanto comunque coinvolte nell’integrale impugnazione della prima pronuncia; infatti nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non e’ condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tenere conto piuttosto del contenuto sostanziale della pretesa, desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio (tra le tante, sentenza 22/8/1997 n. 7888);

– il thema decidendi nel giudizio di secondo grado e’ delimitato dai motivi di impugnazione, la cui specifica indicazione e’ richiesta, ex artt. 342 e 434 c.p.c. per l’individuazione dell’oggetto della domanda d’appello e per stabilire l’ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata. Tuttavia, allorquando sia impugnata una sentenza di totale reiezione della domanda originaria, poiche’ il bene della vita richiesto non puo’ che essere, in linea di massima, quello negato in primo grado, ovvero delimitato dagli stessi motivi di impugnazione, ove questi siano “specifici” e chiaramente rivolti contro le argomentazioni che avevano condotto il primo giudice al rigetto della domanda, va escluso che, pur in mancanza di conclusioni precise, possa ravvisarsi acquiescenza alla reiezione di essa, dovendosi viceversa ravvisare la riproposizione della domanda negli identici termini iniziali, con le eventuali delimitazioni evidenziate dalla specificazione dei motivi di gravame e dalla eventuale incompatibilita’ rispetto ad essi. Altrettanto vale nella ipotesi opposta, in cui il convenuto soccombente si dolga del mancato accoglimento delle eccezioni e difese proposte in primo grado allo scopo di paralizzare l’avversa domanda (sentenza 16/5/2006 n. 11372);

– l’indicazione dei motivi di appello richiesta dall’art. 342 c.p.c. e, nel rito del lavoro, dell’art. 434 c.p.c., non esige una parte espositiva formalmente autonoma ed unitaria, ma, in quanto funzionale all’individuazione delle censure mosse dall’appellante, puo’ emergere anche indirettamente dalle argomentazioni svolte a sostegno dei motivi di impugnazione, ove questi forniscano gli elementi idonei a consentire l’individuazione dell’oggetto della controversia e delle ragioni del gravame. Inoltre, atteso il carattere devolutivo dell’appello e la mancanza in esso del principio di autosufficienza, tale requisito e’ soddisfatto mediante il rinvio circostanziato a singoli atti del processo, in modo da consentire al giudice, attraverso l’esame di tali atti (che si presumono noti), di acquisire gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dei termini della controversa e dello svolgimento del processo (sentenza 20/8/2004 n. 16422).

Nella specie dalla lettura degli atti processuali (consentita in questa sede di legittimita’ attesa la natura in procedendo del vizio denunciato) e, in particolare, dell’atto di opposizione avverso il decreto ingiuntivo in questione, della sentenza di primo grado e dell’atto di appello come predisposto dal B., risulta palese la volonta’ dell’appellante di sottoporre al giudice di secondo grado l’intera controversia affinche’ la riesaminasse totalmente, sulla base del complesso delle deduzioni contenute nell’atto di gravame.

E, come e’ stato piu’ volte riconosciuto, da questa Corte “quando dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni contenute nell’atto di appello risulti la volonta’ di sottoporre l’intera controversia al giudice dell’impugnazione, questi e’ tenuto a riesaminare anche quelle parti della sentenza di primo grado che non abbiano, a differenza di altre, formato oggetto di specifica trattazione nel suddetto atto, in quanto comunque coinvolte nell’integrale impugnazione della prima pronuncia” (Cass. 10 gennaio 1986, n. 76, 8 febbraio 1983, n. 1035 e 2 dicembre 1982, n. 6552). Va evidenziato che con l’atto di appello risultano specificati: a) i motivi posti a base dell’opposizione a decreto ingiuntivo (lavori commissionati e non completati; danni derivanti da infiltrazioni di acqua verificatesi nell’immobile oggetto dei lavori in questione; canna fumaria non raccordata con l’esterno con conseguenti macchie provocate dalla condensa; canna fumaria del termosifone sistemata in modo irregolare; omessa rimozione del materiale di risulta;

ingiustificato aumento dell’importo pattuito); b) i rilievi contenuti nella disposta consulenza tecnica di ufficio “che confermava puntualmente le doglianze dell’opponente” e con la quale era stato indicato in L. 15 milioni “il costo dei lavori necessari per ovviare al pregiudizio del tetto spingente” (pagina 2 atto di appello); c) gli argomenti sviluppati dal tribunale nella sentenza appellata a sostegno del rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo in questione; d) i lamentati errori commessi dal tribunale nel disattendere le conclusioni del consulente, nell’interpretare le tesi difensive articolate dall’opponente nella comparsa conclusionale e nell’applicare le norme che regolano l’appalto. Peraltro nell’atto di appello (alla pagina 3) si afferma testualmente che “il solo fatto che il c.t.u. avesse drasticamente ridotto l’importo richiesto con il decreto ingiuntivo opposto, giustificava l’accoglimento dell’opposizione e la revoca del detto titolo”. Da quanto precede non puo’ dubitarsi – tenuto conto anche delle espressioni letterali usate dal B. nell’atto di appello (accoglimento della opposizione, revoca del decreto opposto, revoca dell’impugnata sentenza) – del coinvolgimento con l’impugnazione di tutte le parti della decisione di primo grado e della sottoposizione a critica di tutto l’iter logico seguito dal tribunale per pervenire al rigetto della proposta opposizione a decreto ingiuntivo.

Il ricorso va quindi accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa corte di appello di Roma che provvedere ad esaminare nel merito la fondatezza o meno dell’appello proposto dal B. avverso la sentenza di primo grado. Al designato giudice del rinvio va rimessa anche la pronuncia in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2010

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