Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17012 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/06/2021, (ud. 23/03/2021, dep. 16/06/2021), n.17012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 21535 del ruolo generale dell’anno

2015, proposto da:

D.B.G. rappresentato e difeso, giusta procura speciale

a margine del ricorso, dall’Avv.to Domenico Franco, elettivamente

domiciliato presso lo studio dell’Avv.to Marco De Bonis, in Roma, al

Viale Mazzini n. 11;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia n. 246/27/2015,

depositata in data 9 febbraio 2015, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23 marzo 2021 dal Relatore Consigliere Dott.ssa Putaturo Donati

Viscido di Nocera Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 246/27/2015, depositata in data 9 febbraio 2015, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, aveva accolto parzialmente l’appello proposto da D.B.G. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 240/4/13 della Commissione tributaria provinciale di Foggia che aveva rigettato il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, esercente attività di commercio di pneumatici, maggiori ricavi non dichiarati, ai fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno 2005, avuto riguardo al rapporto tra i corrispettivi contabilizzati e i versamenti rilevati su due conti correnti bancari, di cui uno cointestato con la sorella;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) non sussisteva violazione dell’art. 112 c.p.c. avendo il giudice di primo grado respinto le censure del contribuente sulla illegittimità dell’accertamento analitico-induttivo, sulla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e sulla violazione del diritto di difesa; 2) l’accertamento induttivo era esperibile anche nei confronti dei contribuenti in regime semplificato; 3) erano risultati giustificati i versamenti sul conto corrente personale del contribuente in base al documentato incasso nel 2005 di fatture emesse nel precedente anno e all’accredito in data 21.3.2005 di una indennità di esproprio di Euro 9.677,58 estranea all’attività di impresa; 4) andavano ridotte del 50% le riprese derivanti dalle movimentazioni sul conto corrente cointestato con la sorella, in ragione della contitolarità; erano assorbite tutte le altre questioni;

– avverso la suddetta sentenza, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate spiegando ricorso incidentale articolato in un motivo;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, il ricorrente denuncia “la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione alla omessa pronuncia da parte della Commissione tributaria provinciale e della Commissione tributaria regionale sulle specifiche censure relative alla insussistenza di un’attività di autolavaggio che sarebbe stata svolta da D.B.G. e alla assunta falsità delle note di credito emesse nei confronti della ditta Piazzolla & C. e della ditta 3L di L.L.”;

– in disparte il richiamo in rubrica anche alla sentenza della CTP che non può costituire oggetto di sindacato dinanzi a questa Corte, il motivo è inammissibile non avendo il ricorrente, in difetto del principio di autosufficienza, riportato nel ricorso per cassazione gli esatti termini delle doglianze di merito (riproducendo ivi il contenuto degli atti processuali di merito), impedendo a questa Corte di verificare la sussistenza dell’error in procedendo denunciato; al riguardo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un, vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività” (Cass. S.U. n. 15781 del 28/07/2005; conf., da ultimo, Cass. n. 5344 del 04/03/2013; Cass. n. 22766 del 2019); si è infatti precisato che, se è vero che la Corte di cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in “error in procedendo” è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa, non è meno vero che, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, nè potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato” (Sez. U, Sentenza n. 20181 del 2019; sez. U n. 157 del 2020; Cass., sez. 5, 24/11/2020 n. 26665);

– in ogni caso, la censura è infondata;

– premesso che “l’assorbimento in senso improprio – configurabile quando la decisione di una questione esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre – impedisce di ritenere sussistente il vizio di omessa pronuncia, il quale è ravvisabile solo quando una questione non sia stata, espressamente o implicitamente, ritenuta assorbita da altre statuizioni della sentenza” (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2334 del 03/02/2020), nel caso di specie, la CTR – nell’accogliere parzialmente l’appello del contribuente, riducendo il maggior reddito accertato a Euro 27.100,54 (pari al 50% dei versamenti effettuati sul conto cointestato con la sorella)- ha dichiarato assorbite tutte le altre questioni proposte;

– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., 2729 c.c. per avere la CTR con una motivazione apparente, perplessa: 1) rigettato il motivo di appello concernente la assunta carenza delle condizioni legittimanti l’accertamento analitico-induttivo e la erroneità del metodo adottato dall’ufficio della media aritmetica semplice anzichè di quella della media ponderale per il computo della percentuale di ricarico; 2) erroneamente qualificato come ricavi le somme affluite sul conto corrente intestato al contribuente e sul conto cointestato con la sorella, limitandosi a ridurre il maggiore ricavo corrispondente al 50% dei versamenti su quest’ultimo conto;

– il motivo nella parte in cui denuncia una “motivazione apparente” sulle censure proposte in appello di carenza delle condizioni legittimanti l’accertamento analitico-induttivo e di erroneità del metodo adottato per il calcolo della percentuale di ricarico, si espone al profilo di inammissibilità per difetto di autosufficienza, non avendo il contribuente riportato in ricorso, nelle parti rilevanti, gli atti difensivi dei gradi di merito, onde permettere a questa Corte di verificare gli esatti termini della questione e di averne la completa cognizione al fine di valutare la fondatezza della doglianza;

– in ogni caso, dalla sentenza impugnata si evincono chiaramente le ragioni della ritenuta esperibilità dell’accertamento induttivo (D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, lett. d) e non già analitico-induttivo come dedotto dal ricorrente) anche nei confronti – come nella specie dei contribuenti in regime di contabilità semplificato in quanto “l’utilizzo degli strumenti indiziari d’accertamento appare più facilmente esperibile ove la contabilità sia, anche se in virtù di legittime semplificazioni, scevra di numerosi adempimenti, la cui mancanza comporta inevitabilmente una fisiologica riduzione delle garanzie sistematiche dell’impianto contabile nel suo complesso” (pag. 3 della sentenza di appello);

– il motivo non coglie la ratio decidendi nella parte in cui denuncia il vizio di “motivazione apparente” per avere la CTR erroneamente qualificato come maggiori ricavi i versamenti rilevati sul conto corrente intestato al contribuente, limitandosi a ridurre del 50% quelli corrispondenti alle rimesse affluite sul conto cointestato con la sorella; invero, il giudice di appello, lungi dal rigettare tutti i motivi di gravame (come denunciato dal ricorrente), ha accolto parzialmente l’appello del contribuente annullando il maggiore ricavo accertato relativamente ai versamenti sul conto corrente intestato soltanto al contribuente (essendo stato provato che si trattava di operazioni poste in essere nell’anno precedente e finanziariamente conclusesi nell’anno 2005 nonchè di un versamento di Euro 9.677,58 inerente una indennità di esproprio ottenuta dal Comune di Trinitapoli) e rideterminando quello accertato dall’Ufficio sul conto cointestato con la sorella in Euro 27.100,54, pari al 50% dei versamenti effettuati su tale conto;

– con l’unico motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e art. 32 e artt. 2697 e 2729 c.c. per avere la CTR- nel ridurre il maggior reddito accertato a Euro 27.100,54 pari al 50% dei versamenti effettuati sul conto corrente cointestato con la sorella del contribuente- ritenuto che il 50% dei detti versamenti fosse, in forza della cointestazione, sic et simpliciter giustificato;

– questa Corte ha precisato che: “In tema d’IVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 (così come analogamente il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 in tema di imposte dirette) consente all’Amministrazione finanziaria di procedere alla rettifica della dichiarazione su basi presuntive utilizzando i dati relativi ai movimenti su tutti i conti correnti bancari intrattenuti del contribuente, anche se cointestati ad un terzo estraneo all’impresa, sicchè non è sufficiente ad escludere l’operatività della presunzione legale il mero riferimento alla contitolarità del conto con il coniuge non impiegato nell’azienda ed alla commistione tra consumi familiari ed attività imprenditoriale, essendo necessaria la prova analitica dell’estraneità ai fatti imponibili degli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20981 del 16/10/2015; Cass. sez. 5, ord. 2 luglio 2020, n. 13505);

– premessa l’applicabilità di detto principio – riferito ad ipotesi di contitolarità del conto con il coniuge – certamente anche alla fattispecie in esame nella quale sono in contestazione i versamenti rilevati sul conto cointestato con la sorella del contribuente, la CTR non ha fatto corretta applicazione del suddetto principio, per avere ritenuto giustificati del 50% i versamenti rilevati sul conto corrente cointestato con la sorella in forza della sola cointestazione, senza verificare – posta la presunzione legale (relativa) di imputazione a ricavi dei versamenti operati anche sul conto corrente cointestato – l’assolvimento da parte del contribuente della prova analitica dell’estraneità delle movimentazioni stesse alla sua attività di impresa;

– in conclusione, il ricorso principale va rigettato mentre va accolto quello incidentale con cassazione della sentenza impugnata – quanto al ricorso incidentale – e rinvio alla CTR della Puglia, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

la Corte: rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata- quanto al ricorso incidentale – e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Puglia, in diversa composizione;

Così deciso in Roma, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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