Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17011 del 13/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/08/2020, (ud. 10/02/2020, dep. 13/08/2020), n.17011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7338/2016 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente-

contro

CALLIGARIS s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, per procura speciale in atti, dagli Avv.ti

Giuseppe Campeis e Giuseppe Cossa, con domicilio eletto presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, via Gregorio VII, n. 466;

– controricorrente-

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli

Venezia-Giulia, n. 331/01/2015, depositata il 14 settembre 2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 febbraio 2020

dal Consigliere Dott. Michele Cataldi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Umberto de Augustinis, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso;

uditi l’Avv. dello Stato Alessia Urbani Neri per la ricorrente e

l’Avv. Giuseppe Campeis per la controricorrente.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.L’ing. Alesandro Calligaris, che deteneva l’intero pacchetto azionario della Calligaris Holding s.p.a., la quale controllava anche la Calligaris s.p.a. (di seguito la “vecchia” Calligaris s.p.a.), lo cedeva alla Kalos Industries s.r.l., che successivamente incorporava sia la Calligaris Holding s.p.a. che la “vecchia” Calligaris s.p.a., assumendo la forma di s.p.a. e la denominazione di Calligaris s.p.a. (di seguito la “nuova” Calligaris s.p.a.).

Nel contratto di compravendita del pacchetto azionario della Calligaris Holding s.p.a. alla Kalos Industries s.r.l. era inserita una clausola, in base alla quale il venditore assumeva l’obbligo di corrispondere un indennizzo all’acquirente, a fronte dell’eventuale sopravvenienza di oneri riferibili alla precedente gestione della società ceduta e delle sue controllate.

Nel 2010, la “nuova” Calligaris s.p.a. definiva per adesione, per l’importo di Euro 2.159.729,00, un processo verbale di constatazione con il quale l’Agenzia delle Entrate le aveva contestato le conseguenze tributarie di un’operazione finanziaria conclusa nell’anno d’imposta 2005 dall’incorporata “vecchia” Calligaris s.p.a.. Contemporaneamente, la stessa “nuova” Calligaris s.p.a. attivava, nei confronti del terzo che le aveva ceduto il pacchetto azionario della Calligaris Holding s.p.a., la predetta garanzia contrattuale, ricavandone nel 2010, al netto della franchigia prevista dalla relativa clausola, l’indennizzo di Euro 1.898.000,00.

1.1. Successivamente, la stessa “nuova” Calligaris s.p.a., che dall’esercizio 2010 era divenuta IAS adopter, rivolgeva all’Amministrazione finanziaria istanza d’interpello, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 11, in merito al trattamento tributario cui assoggettare l’indennizzo in questione.

Assumeva infatti la contribuente che tramite l’indennizzo era stato correttamente ripristinato il valore del patrimonio della società ceduta, posto a base della determinazione del prezzo della compravendita. Pertanto la stessa contribuente, considerando che l’indennizzo incassato avesse una valenza puramente patrimoniale, o meglio finanziaria, ma non anche economica, e ritenendo applicabile il principio contabile internazionale IAS 1, p. 32-35, supportata anche dal parere di una società di revisione contabile, iscriveva nel bilancio d’esercizio le voci che riteneva “sostanzialmente vere”, ovvero nel conto economico il costo indeducibile dell’imposta rimasta effettivamente a suo carico, cioè quella oggetto della franchigia contrattuale e perciò non dell’indennizzo; nello stato patrimoniale il debito effettivo di sua pertinenza, pari alla differenza tra l’uscita (quanto dovuto e pagato all’Erario) e l’entrata (l’indennizzo ricevuto dal cedente il pacchetto azionario).

Secondo tale interpretazione -tenendo conto della simmetria del trattamento reddituale tra i predetti elementi contabili, ed alla luce dei principi di prevalenza della sostanza sulla forma e di c.d. derivazione rafforzata, che caratterizzano i principi contabili internazionali applicabili- l’indennizzo in parola non costituiva una sopravvenienza attiva tassabile.

Prudenzialmente, in attesa della risposta all’interpello, la società contribuente ha comunque sottoposto a tassazione, nella dichiarazione dei redditi dell’esercizio 2010, l’indennizzo in questione.

Ricevuta la risposta negativa dell’Amministrazione interpellata, la “nuova” Calligaris s.p.a. ha inoltrato domanda di rimborso della maggiore Ires che riteneva, per i predetti motivi, indebitamente versata.

2. Formatosi il silenzio rifiuto su tale istanza, la contribuente lo ha impugnato dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Trieste, che ha accolto il ricorso.

3.L’Ufficio ha impugnato la sentenza di primo grado dinnanzi la Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia-Giulia che, con la sentenza n. 331/01/2015, depositata il 14 settembre 2015, ha rigettato l’appello.

4.L’Ufficio ha allora proposto ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.

5.La contribuente si è costituita con controricorso ed ha successivamente depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Ufficio ricorrente denuncia la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 83 ed 88.

La censura prende le mosse dall’ultimo periodo del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83, il quale dispone che:” Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi contabili.”.

Rileva infatti l’Ufficio che tale disposizione attribuisce rilevanza fiscale ai principi contabili internazionali, introducendo nell’ordinamento tributario il principio della c.d. “derivazione rafforzata” del reddito imponibile dal risultato economico di esercizio, con prevalenza della sostanza sulla forma. Tuttavia, secondo il ricorrente, l’adozione dei principi contabili internazionali legittima la deroga alle disposizioni fiscali nei limiti espressamente delineati dal D.P.R. n. 917 del 1986 cit., art. 83, ovvero rispetto ai ” criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi contabili.”. Pertanto, resta esclusa la deroga a quelle disposizioni che incidano sulle valutazioni e sulle quantificazioni, prevedendo restrizioni quantitative alla deducibilità di costi o ponendo vincoli al riconoscimento fiscale di disposizioni civilistiche. E comunque, sostiene il ricorrente, resta escluso che, attraverso l’applicazione dei principi contabili internazionali, possano generarsi aree di esenzione, o di doppia imposizione, che possano indebitamente avvantaggiare, o svantaggiare, i soggetti che li adottano rispetto agli altri contribuenti. Tanto premesso, l’Ufficio ricorrente evidenzia che comunque, quando i principi contabili internazionali consentano al soggetto che li adotti una scelta, meramente discrezionale, tra più opzioni, l’Amministrazione finanziaria può sindacare la soluzione prescelta dal contribuente, se essa risulti finalizzata al conseguimento di indebiti vantaggi fiscali. Nel caso di specie, assume il ricorrente, il principio contabile internazionale sul quale ha fatto leva la sentenza d’appello è quello desumibile dai p. 32-35 dello IAS 1, i quali così dispongono:

” 32. Un’entità non deve compensare le attività e passività o i ricavi e i costi se non richiesto o consentito da un IFRS.

33. Un’entità espone distintamente le attività e le passività, e i ricavi e i costi. Le compensazioni nei prospetti del conto economico complessivo o della situazione patrimoniale-finanziaria o nel conto economico separato (se presentato), salvo che esse riflettano la sostanza dell’operazione o di altro fatto, riducono la capacità degli utilizzatori di comprendere le operazioni, altri fatti e condizioni che si sono verificati e di valutare i futuri flussi finanziari dell’entità. Non è considerata una compensazione la valutazione della attività al netto di svalutazioni, quali per esempio, l’accantonamento per obsolescenza

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magazzino e l’accantonamento per svalutazione crediti di dubbia esigibilità.

34. L’IFRS 15 Ricavi provenienti da contratti con i clienti impone all’entità di valutare i ricavi derivanti da contratti con i clienti all’importo del corrispettivo cui l’entità si aspetta di avere diritto in cambio del trasferimento dei beni o servizi promessi. Per esempio, l’importo dei ricavi rilevati tiene conto degli sconti commerciali e degli sconti per quantità concessi dall’entità. L’entità effettua, nel corso della sua attività ordinaria, altre operazioni che non generano ricavi ma sono accessorie rispetto all’attività principale generatrice di ricavi. L’entità presenta i risultati di tali operazioni, quando tale esposizione riflette la sostanza dell’operazione o di altro fatto, compensando eventuali ricavi con il costo relativo derivante dalla stessa operazione. Per esempio:

a) l’entità espone le plusvalenze e minusvalenze patrimoniali derivanti dalla vendita di attività non correnti, inclusi partecipazioni e beni strumentali, deducendo dall’importo del corrispettivo della cessione il valore contabile del bene e i relativi costi di vendita e

b) un’entità può compensare le spese relative a un accantonamento che è rilevato secondo quanto previsto dallo IAS 37 Accantonamenti, passività e attività potenziali e rimborsato secondo un accordo contrattuale con un terzo (per esempio, un accordo di garanzia di un fornitore), con il relativo rimborso.

35. Inoltre, un’entità espone al netto gli utili e le perdite derivanti da un insieme di operazioni simili, quali utili e perdite su operazioni in valuta o derivanti da strumenti finanziari posseduti per negoziazione. Tuttavia, un’entità espone tali utili e perdite distintamente se sono rilevanti.”.

Per effetto di tali disposizioni, secondo il ricorrente, era possibile una rappresentazione contabile alternativa dei componenti controversi (gli oneri fiscali derivanti dall’adesione al processo verbale di constatazione e l’indennizzo parziale pagato dal terzo che ha ceduto le partecipazioni alla contribuente) nel conto economico, essendo rilevabili o nello stesso conto, con una diretta compensazione tra loro sino a concorrenza; o in due conti separati.

L’opzione rimessa alla contribuente -che a detta del ricorrente sarebbe stata riconosciuta anche dalla consulenza redatta dalla società di revisione richiesta e prodotta dalla stessa contribuente – atteneva comunque esclusivamente alla rappresentazione contabile dei due componenti, ma, secondo l’Ufficio, non incideva sulla qualificazione o sulla classificazione degli stessi, che doveva essere quindi rimessa alla disciplina fiscale nazionale.

Inoltre, la stessa possibilità di scelta concessa, in assenza di una specifica direttiva, sul punto dallo IAS 1 alla contribuente, evidenziava l’insussistenza di un principio contabile internazionale applicabile in materia, con la conseguente legittimazione dell’Amministrazione finanziaria a sindacare la soluzione in concreto prescelta dalla contribuente, alla luce delle disposizioni fiscali nazionali, ed in particolare del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 3, lett. a), il quale considera sopravvenienze attive, quindi componenti positive del reddito imponibile, anche “le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, di danni diversi da quelli considerati all’art. 85, comma 1, lett. f), e all’art. 86, comma 1, lett. b)”, tra le quali andrebbe quindi compreso anche l’indennizzo de quo. Nè potrebbe sostenersi, secondo il ricorrente, che nel caso di specie difettasse la necessaria simmetria tra la pretesa sopravvenienza attiva (costituita dall’indennizzo) ed una corrispondente spesa, o perdita od onere, dedotta in precedenti esercizi (o anche nello stesso esercizio della sopravvenienza), essendo indeducibili le imposte che la contribuente ha assunto a debito a seguito dell’adesione al processo verbale di constatazione, venendo poi in parte “risarcita” dal terzo con l’indennizzo in questione.

Infatti, solo per le sopravvenienze (c.d. “in senso proprio”) di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 1, sarebbe cogente il principio di necessaria simmetria con un componente negativo deducibile, mentre quelle (c.d. “assimilate”) del comma 3 della stessa disposizione, per le loro caratteristiche intrinseche, sfuggirebbero a tale necessità.

Dunque, secondo l’Amministrazione, l’indennizzo in questione costituiva una sopravvenienza attiva che doveva necessariamente contribuire, come componente attiva, alla determinazione del reddito imponibile della contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 3, lett. a).

2.Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Ufficio ricorrente denuncia la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 83, in relazione al principio contabile internazionale IAS/IFRS 1, p. 33, e del D.P.R. n. 917 del 1986 cit., art. 99.

La censura muove dalla considerazione che il predetto p. 33 dello IAS 1 avrebbe per oggetto esclusivamente le modalità di contabilizzazione di componenti del reddito imponibile, dei quali non fornisce autonoma qualificazione nè classificazione, presupponendo che essi siano stati già a monte correttamente qualificati e classificati. Pertanto, la disposizione non rientrerebbe nella portata derogatoria di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 cit., art. 83, secondo il quale ” valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi contabili.”.

Nè comunque, secondo il ricorrente, l’adozione dei principi contabili internazionali potrebbe giustificare la deroga al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 99, comma 1, secondo il quale ” Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione. Le altre imposte sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento.”. Infatti, sostiene l’Amministrazione, proprio la parziale deduzione dell’Ires pagata dalla contribuente, nei limiti dell’indennizzo da quest’ultima incassato, dal reddito imponibile costituirebbe l’effetto ultimo dell’iscrizione in bilancio, all’esito della compensazione ex p. 33 dello IAS 1, della sola somma residua costituita dalla franchigia non indennizzata, ovvero dalla differenza tra il costo sostenuto per l’imposta de qua e la somma indennizzata dal terzo.

3. I due motivi, per la loro stretta connessione, vanno trattati congiuntamente.

E’ necessario premettere alla trattazione delle censure proposte dalla ricorrente un riferimento al quadro normativo delineatosi nella materia sub iudice, nei limiti delle disposizioni applicabili, anche ratione temporis, al caso sub iudice.

Gli International Accounting Standards (IAS) costituiscono principi contabili internazionali, emanati, nel tentativo di standardizzazione mondiale delle regole contabili, da un gruppo di professionisti contabili costituiti in un comitato (IASC-International Accounting Standards Committee) interno all’organizzazione mondiale dei professionisti contabili (IFAC-Internationa/ Federation of Accountants).

Successivamente, dal 2001, lo stesso IASC si è trasformato in una fondazione privata di diritto statunitense, della quale è organo l’International Accounting Standards Board (IASB), che provvede ad emanare i principi contabili, denominati International Financial Reporting Standards (IFRS).

La coesistenza tra i precedenti IAS ed i successivi IFRS giustifica la prassi frequente di fare riferimento ai principi contabili internazionali con il termine IAS/IFRS.

L’introduzione dei principi contabili internazionali nella disciplina della contabilità dei singoli Stati dell’Unione Europea ha avuto origine dall’emanazione del Regolamento CE n. 1606 del 19 luglio 2002, in materia di armonizzazione contabile nell’ambito del processo di integrazione dei mercati finanziari, relativamente alle società Europee emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentari unionali, obbligate ad adottare i principi IAS/IFRS nella redazione dei loro bilanci consolidati a decorrere dal 2005, al fine di fornire agli investitori informazioni, basate su criteri uniformi, che rappresentassero la sostanza del fenomeno economico descritto, con prevalenza rispetto alle caratteristiche formali dello stesso.

Inoltre, l’art. 5 del Regolamento 1606/2002 ha previsto che gli Stati membri potessero consentire o prescrivere l’applicazione degli IAS/IFRS emanati dallo IASB anche ai bilanci consolidati delle società non quotate ed ai bilanci di esercizio delle società quotate o non quotate.

L’Italia ha esercitato le facoltà consentite dal Regolamento mediante l’emanazione del D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, che ha dato attuazione all’art. 25 della legge “comunitaria” 31 ottobre 2003, n. 306, introducendo anche la mera facoltà di utilizzo dei principi IAS per la redazione dei bilanci di esercizio di numerosi soggetti, con la conseguente ampliata emersione della differenza ontologica e funzionale tra i principi contabili internazionali, che, attraverso l’applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma e la conseguente valorizzazione dell’effettivo contenuto economico degli atti di gestione, mirano a soddisfare concrete esigenze informative degli investitori, ed i principi contabili civilistici, che rispondono piuttosto alla necessità di tutela dell’integrità del capitale sociale, nell’interesse dei creditori e dei soci (sul punto cfr. Cass. 05/11/2019, n. 28355, ampiamente in motivazione).

Le conseguenze, in materia tributaria, di tale divaricazione sono state considerate dal legislatore nazionale da un lato confermando, anche per le società IAS adopters, il principio di derivazione del reddito imponibile dalle risultanze del bilancio di esercizio; dall’altro garantendo la neutralità dell’imposizione rispetto ai principi contabili internazionali o nazionali applicati dalle società contribuenti.

Chiara, in questo senso, è la relazione illustrativa al D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, nel paragrafo intitolato “Disposizioni tributarie”, quando argomenta che: “La considerazione della circostanza che alcuni contribuenti IRES applicheranno (obbligatoriamente o in via facoltativa) i principi contabili internazionali ed altri, invece, continueranno ad applicare (obbligatoriamente o in via facoltativa) i principi contabili nazionali ha indotto a mantenere immutati i meccanismi di determinazione della base imponibile, fondati sul principio di derivazione dal risultato del conto economico, apportando alla normativa solo quelle modifiche strettamente indispensabili a consentirne l’applicazione ai soggetti che utilizzeranno i principi contabili internazionali, salvaguardando, nei limiti del possibile, la neutralità dell’imposizione rispetto ai diversi criteri di redazione del bilancio di esercizio.”.

Successivamente, è intervenuta la L. 24 dicembre 2007, n. 244, che con l’art. 1, comma 58, ha modificato il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83, il cui ultimo periodo prevede ora che “Per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali di cui al regolamento CE n. 1602/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 luglio 2002, valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti da detti principi contabili.”.

L’attuazione compiuta di tale novella, demandata dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 60, ad apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, si è infine realizzata tramite l’adozione del D.M. 1 aprile 2009, n. 48 (“regolamento recante disposizioni di attuazione e coordinamento delle norme contenute nella L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, commi 58 e 59, in materia di determinazione del reddito dei soggetti tenuti alla adozione dei principi contabili internazionali”).

Il D.M. n. 48 del 2009, art. 2, comma 1 e 2, stabilisce, per quanto qui interessa, che:

” 1. Ai sensi dell’art. 83, comma 1, terzo periodo, del testo unico, per i soggetti IAS assumono rilevanza, ai fini dell’applicazione del Capo II, Sezione I, del testo unico, gli elementi reddituali e patrimoniali rappresentati in bilancio in base al criterio della prevalenza della sostanza sulla forma previsto dagli IAS. Conseguentemente, devono intendersi non applicabili a tali soggetti le disposizioni dell’art. 109, commi 1 e 2, del testo unico, nonchè ogni altra disposizione di determinazione del reddito che assuma i componenti reddituali e patrimoniali in base a regole di rappresentazione non conformi all’anzidetto criterio.

2. Anche ai soggetti IAS, fermo restando quanto previsto al comma 1, si applicano le disposizioni del Capo II, Sezione I del testo unico che prevedono limiti quantitativi alla deduzione di componenti negativi o la loro esclusione o ne dispongono la ripartizione in più periodi di imposta, nonchè’ quelle che esentano o escludono, parzialmente o totalmente, dalla formazione del reddito imponibile componenti positivi, comunque denominati, o ne consentono la ripartizione in più periodi di imposta, e quelle che stabiliscono la rilevanza di componenti positivi o negativi nell’esercizio, rispettivamente, della loro percezione o del loro pagamento. Concorrono comunque alla formazione del reddito imponibile i componenti positivi e negativi, fiscalmente rilevanti ai sensi delle disposizioni dello stesso testo unico, imputati direttamente a patrimonio per effetto dell’applicazione degli IAS. Resta, altresì, ferma l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 109, commi 3, con riferimento ai componenti da imputarsi al conto economico ovvero a patrimonio, e 4, lettera b), ultimo periodo, del testo unico. “.

La novella del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83, introdotta dalla L. n. 244 del 2007, ed attuata dal D.M. n. 48 del 2009, viene comunemente considerata in dottrina come introduttiva del c.d. “principio di derivazione rafforzata del reddito imponibile dal bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali”, che consente ai soggetti IAS adopters di mantenere le rappresentazioni già adottate in sede di bilancio ed improntate all’aspetto economico-sostanziale proprio dei principi IAS/IFRS e, correlativamente, di sottrarsi alla riclassificazione dei medesimi fenomeni secondo i criteri giuridico-formali di cui al t.u.i.r., ed alle conseguenti rettifiche.

Le disposizioni fiscali ispirate al principio di derivazione rafforzata sono state poi integrate dal D.M. 8 giugno 2011, emanato in esecuzione del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 28, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2011, n. 10, che demandava l’emanazione delle disposizioni di coordinamento previste dal D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, art. 4, comma 7-quater, per i principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 luglio 2002, adottati con regolamento UE entrato in vigore nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2009 e il 31 dicembre 2010, ad apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

Successivamente, il D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 139(che non riguarda neppure ratione temporis, la fattispecie sub iudice), che ha recepito la direttiva n. 2013/34/UE, ha introdotto rilevanti novità nella disciplina del bilancio contenuta nel codice civile, relativamente ai soggetti che non abbiano adottato – nè per obbligo, nè per opzione – gli IAS, essendo destinatari dei nuovi principi contabili nazionali elaborati dall’OIC (Organismo Italiano di Contabilità), ispirati, come per gli IAS, ad una nuova concezione per lo più “finanziaria” dell’informativa di bilancio, basata sul cd. “fair value” e sulla “sostanza” degli atti dell’impresa.

4.Tanto premesso, pare opportuno sottolineare, come ha fatto la dottrina, la differente tecnica usata dal legislatore tributario nel dettare (quanto meno prima del predetto D.Lgs. n. 139 del 2015, sui nuovi principi contabili nazionali OIC) la disciplina del principio di derivazione “semplice” del reddito imponibile dal bilancio del contribuente, rispetto alla versione “rafforzata” del medesimo principio, riservata ai contribuenti IAS adopters.

Nel caso della derivazione “semplice”, infatti, ovvero con riferimento al primo periodo del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83, la disciplina del bilancio viene “presupposta” dal legislatore tributario, che non entra nel merito delle valutazioni effettuate dal redattore del bilancio per giungere al dato del “risultato” (utile o perdita) del bilancio, assunto quale “mero fatto” ai fini della determinazione del reddito di impresa (ciò che non esclude, tuttavia, che i “principi contabili” possano talvolta comunque rilevare in quanto tali, quando la specifica norma tributaria dia loro rilevanza).

Invece, nel caso della derivazione “rafforzata”, relativamente ai soggetti che, per obbligo o per scelta, redigono il bilancio di esercizio secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS, l’ultimo periodo del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83, attua un vero e proprio rinvio, anche in deroga alle disposizioni del t.u.i.r., a ” i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi contabili “, non limitandosi alla mera presupposizione dei principi contabili che richiama, come accade invece per i soggetti di cui al primo periodo.

La circostanza che il legislatore abbia fatto ricorso alla tecnica del rinvio ai principi IAS/IFRS colloca pertanto questi ultimi (per loro natura regole extralegali, riconosciute da una comunità scientifica internazionale, lo IASB) all’interno del precetto della disposizione normativa nazionale in questione (della quale non sarebbe altrimenti individuabile il senso e la portata derogatoria dei successivi articoli della medesima sezione), oltre che di quella comunitaria dalla quale essa deriva, e fa sì che l’Amministrazione finanziaria possa accertarne la corretta applicazione e che la loro interpretazione ed applicazione costituisca anche una questione di diritto, quindi non necessariamente di mero fatto.

Pertanto, è infondata l’eccezione di inammissibilità dei motivi entrambi proposti per violazione o falsa applicazione di norme di legge del ricorso erariale, che è stata declinata dalla contribuente, nella memoria in atti, in vari corollari (come ad es. la violazione della c.d. doppia conforme, la mancata denuncia di un vizio di motivazione o la mancata produzione del testo dei p. dello IAS 1 applicati dalla CTR, del quale non è comunque contestata la corrispondenza a quello vigente ratione temporis), tutti derivati dalla erronea pretesa della dimensione meramente fattuale del thema decidendum.

5. Premessa dunque l’ammissibilità dei due motivi di ricorso, essi sono anche fondati, nei termini che seguono.

Deve, però, innanzitutto escludersi che, come sostenuto dalla ricorrente Amministrazione, possa estrarsi dai p. 32-35 dello IAS 1 (come ante riprodotti), con specifico riferimento alla “compensazione” che essi disciplinano, un principio contabile internazionale che si limiti a rimettere alla piena discrezionalità della contribuente la scelta se esporre “distintamente le attività e le passività, e i ricavi e i costi”; ovvero se effettuare “compensazioni nei prospetti del conto economico complessivo o della situazione patrimoniale-finanziaria o nel conto economico separato (se presentato)”.

Invece lo IAS 1, al riguardo, detta inequivocabilmente la regola secondo cui ” un’entità non deve compensare le attività e passività o i ricavi e i costi se non richiesto o consentito da un IFRS” (p. 32), perchè le compensazioni “riducono la capacità degli utilizzatori di comprendere le operazioni, altri fatti e condizioni che si sono verificati e di valutare i futuri flussi finanziari dell’entità” (p. 33).

E tale regola, per inciso, trova ora corrispondenza altresì in materia di principi contabili nazionali, atteso che l’attuale art. 2423-ter c.c., nel disciplinare la struttura dello stato patrimoniale e del conto economico, al comma 6, sancisce che “Sono vietati i compensi di partite.”. Si tratta, anche in questo caso, di un divieto che trova fondamento nelle esigenze di chiarezza e di rappresentazione veritiera e corretta, nel bilancio, della situazione patrimoniale e finanziaria della società e del risultato economico dell’esercizio, e quindi nel principio di chiarezza di cui all’art. 2423 c.c., comma 2, del quale costituisce un corollario lo stesso art. 2423-ter c.c., comma 6. Disposizione, quest’ultima, che va posta in relazione altresì con il principio contabile OIC 19, che al p. 36 stabilisce che “I debiti verso i propri debitori non possono essere compensati e sono rilevati tra le passività in coerenza con quanto disposto dall’art. 2423-ter, comma 6, che vieta la compensazione tra partite. La compensazione è ammessa nei limiti delle disposizioni legali o contrattuali (ad esempio, la compensazione legale ex art. 1243 c.c., comma 1).”. Lo stesso disfavore, in generale, per i compensi di partite, si trova peraltro espresso in materia di bilanci bancari nel D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87, art. 7, comma 5, che a sua volta espone una regola generale, secondo la quale “Sono vietati compensi di partite.”, ammettendo tuttavia delle eccezioni per “i casi espressamente previsti

dal presente decreto e quelli disciplinati dagli atti di cui all’art. 5, quando la compensazione sia un aspetto caratteristico dell’operazione oppure si tratti di operazioni di copertura.”.

Tanto premesso, il p. 32 dello IAS 1, al pari delle altre disposizioni richiamate, esprime quindi la regola generale, secondo la quale non sono consentite “compensazioni” tra partite, ed un’eccezione, che permette invece la “compensazione” quando ciò sia ” richiesto o consentito da un IFRS”.

Nel caso di specie, quindi, è necessario verificare se ricorresse o meno tale espressa eccezione, ovvero se un principio contabile internazionale applicabile al caso di specie richiedesse o consentisse la “compensazione” pro quota tra l’attività rappresentata dall’indennizzo contrattuale ricevuto dal terzo che ha ceduto le partecipazioni alla contribuente e gli oneri fiscali derivanti dall’adesione della contribuente al processo verbale di constatazione.

Altra questione, sulla quale infra, è poi la necessità di verificare se comunque, nel caso di specie, la “compensazione”, ai sensi del successivo p. 33 dello stesso IAS 1, riflettesse “la sostanza dell’operazione o di altro fatto”, invece di ridurre la capacità di comprensione di chi legge il bilancio, e potesse quindi ritenersi legittima perchè allineata al criterio generale sul quale è fondato l’impianto stesso dei principi contabili internazionali, ovvero l’applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma, al fine di soddisfare concrete esigenze informative degli investitori terzi. Quale che sia la conclusione in ordine a tali questioni, deve comunque ribadirsi che lo IAS 1 non esprime quella totale discrezionalità, nel compensare o meno, dedotta dall’Ufficio, e non può, quindi, riconoscersi quel vuoto normativo lasciato dai principi contabili internazionali richiamati dalla norma nazionale (che non si esprimerebbero nè a favore, nè contro la compensazione nel caso di specie), che secondo la ricorrente avrebbe a priori comportato l’irrilevanza degli stessi IAS ai fini fiscali e l’applicazione necessaria della sola normativa nazionale vigente ratione temporis.

Giova, peraltro, precisare che, a differenza di quanto dedotto nel ricorso, il presupposto della tesi dell’Amministrazione ricorrente, ovvero la totale discrezionalità concessa dai principi contabili internazionali sul punto, e quindi la loro sostanziale indifferenza, non coincide, in parte qua, con il parere esposto nella consulenza (citata da ambedue le parti e dalla sentenza impugnata, che in parte la riproduce, e prodotta dalla controricorrente anche in questa sede) fornita alla contribuente dalla società di revisione. Per quello che può qui rilevare, infatti, deve darsi atto che tale relazione, a differenza di quanto sostiene l’Ufficio ricorrente, conclude per “la contabilizzazione del rimborso contrattuale a riduzione dell’onere fiscale derivante dall’adesione all’accertamento fiscale” quale soluzione “maggiormente rappresentativa dei fatti descritti”, e quindi quale scelta ritenuta conforme a quel criterio di prevalenza della sostanza assunto come discrimine dai principi in materia, e non quale opzione che prescinda da questi ultimi.

6.Deve escludersi che, come pare ricavarsi dalla relazione di consulenza sulla quale si fonda la pretesa legittimità della “compensazione” in questione, quest’ultima possa, ai sensi del p. 32

dello IAS 1, ritenersi richiesta o consentita, dallo IAS 37, in

conseguenza della previsione di cui al p. 34, lett. b), dello stesso IAS 1, secondo il quale “un’entità può compensare le spese relative a un accantonamento che è rilevato secondo quanto previsto dallo IAS 37 Accantonamenti, passività e attività potenziali e rimborsato secondo un accordo contrattuale con un terzo (per esempio, un accordo di garanzia di un fornitore), con il relativo rimborso.”.

Invero, nel caso di specie, non risulta, dalle stesse deduzioni delle parti, che il debito fiscale derivante dall’adesione della contribuente al processo verbale di constatazione de quo sia stato oggetto di un “accantonamento”, del quale comunque non aveva le caratteristiche (I’ incertezza in merito alla scadenza o all’importo della spesa futura richiesta per l’adempimento) descritte nel p. 11 del medesimo IAS 37. Il quale ultimo, peraltro, al successivo p. 53, a proposito dell’ipotesi in cui si suppone che una parte o tutte le spese richieste per estinguere un’obbligazione debbano essere indennizzate da terzi, detta la regola secondo cui “L’indennizzo deve essere trattato come un’attività separata” (sia pur prevedendo, al p. 54, ma nel caso in cui vi fosse stato un accantonamento, che nel prospetto di conto economico complessivo, il costo relativo ad esso potrebbe essere esposto al netto dell’ammontare rilevato per l’indennizzo).

7.Egualmente, deve escludersi che la “compensazione” in questione possa, ai sensi del p. 32 dello IAS 1, ritenersi richiesta o consentita, dallo IAS 12 Imposte sul reddito, pure evocato nella relazione di consulenza in questione. Infatti, i p.p. 71 e 72 dello IAS 12 consentono e disciplinano, quando ricorrano i presupposti da essi indicati, la compensazione tra attività e passività fiscali, e quindi nel rapporto tra il contribuente ed il fisco, ma certamente non quella tra passività vero il fisco ed attività nei confronti di un terzo, nel caso di specie il cedente le partecipazioni.

8.Escluso, per le ragioni sinora argomentate, che sussistano nel caso di specie le pretese ragioni di deroga, richiesta o consentita dai principi contabili internazionali evocati, rispetto al divieto di “compensazione” di cui al p. 32 dello IAS 1, neppure possono condividersi le argomentazioni della sentenza impugnata che, in conformità alle difese della contribuente, ha ritenuto comunque legittima, ed opponibile anche ai fini fiscali che qui rilevano, la “compensazione” sub iudice, perchè capace di riflettere “la sostanza dell’operazione o di altro fatto”, facendo prevalere la sostanza sulla forma, al fine di meglio soddisfare le concrete esigenze informative dei terzi che leggano il bilancio.

Invero, l’approccio della decisione, e della tesi della contribuente, a tale prospettiva appare inquinato dalla apodittica sovrapposizione di due rapporti, quello pubblicistico tra l’erario e la contribuente e quello contrattuale tra quest’ultima ed il terzo che le ha ceduto le partecipazioni.

r.g.n. 738/2016 19

Si tratta infatti di due rapporti distinti e diversi, non solo per la natura giuridica di ciascuno, ma, per quanto qui più interessa, sul piano soggettivo ed oggettivo (con riferimento al titolo ed allo stesso quantum delle relative obbligazioni). Non sussiste, pertanto, quel “rapporto trilaterale (Erario/Società/cedente)” unico, che assume la controricorrente nella memoria; nè quell’identità di “debito” che nello stesso atto pare volersi accreditare.

La non corrispondenza soggettiva tra i due debitori (la società nei confronti dell’erario ed il cedente nei confronti della società) colloca già di per sè la “compensazione” effettuata fuori dalla portata dell’art. 1241 c.c., che richiede la reciprocità di debiti e crediti tra gli stessi soggetti. Ma, per quello che qui interessa, la differenza oggettiva e soggettiva tra i due rapporti rileva anche se si ritiene che, nel caso di specie, si sia trattato di una “compensazione” non in senso strettamente civilistico, ma nel senso contabile del “compenso di partite”, ovvero della somma algebrica di valori di segno opposto, rilevabili distintamente nelle voci di bilancio, che dovevano essere esposti in sezioni diverse e che sono stati invece parzialmente elisi, per l’importo corrispondente.

Fermo restando che l’operazione contabile in questione incorreva nel divieto di cui alla regola generale del p. 32 dello IAS 1, deve infatti rilevarsi che la CTR ne assume la legittimità in quanto la mancata compensazione avrebbe comportato “effetti esterni di non idonea informazione degli utilizzatori del bilancio 2010 IAS compliant, per

determinazione e rappresentazione di un carico fiscale d’anno non 1(0

aderente alla sostanza della gestione dell’anno stesso”.

L’argomentazione non può essere condivisa, in quanto se ci si pone nella prospettiva di fedele rappresentazione, all’esterno, della sostanza del rapporto fiscale tra l’erario e la società nell’esercizio contabile interessato, il dato significativo coincide, all’inverso, proprio con il totale esborso sopportato dalla stessa contribuente a seguito dell’adesione al processo verbale di constatazione de quo, poichè esso rappresenta l’effettivo “carico fiscale”, a prescindere dall’indennizzo versato dal terzo alla società. Ovvero, nella sostanza: se lo scopo informativo usato quale parametro era quello di far sapere ai terzi quale fosse il debito fiscale sopportato della società nell’anno in questione, la “compensazione” non era funzionale a tale fine, perchè ne offuscava una quota rilevante e quindi riduceva la capacità degli utilizzatori di comprensione sul punto.

Indifferente poi, rispetto all’asserita “necessità informativa” della “compensazione”, è la circostanza, valorizzata invece dalla CTR, che l’obbligazione tributaria in questione, adempiuta a seguito di adesione nel 2010, avesse ad oggetto imposte relative all’anno 2005, visto che comunque, anche all’esito della parziale compensazione tra le partite, residuava comunque, nel bilancio del 2010, l’esposizione dell’adempimento di una parte, residuale del medesimo debito fiscale.

9.La sentenza impugnata, e le stesse difese della contribuente, contemporaneamente, evocano, in maniera non specificamente distinta, la rappresentazione, attraverso la “compensazione”, della prevalenza della sostanza sulla forma anche con riferimento al rapporto tra contribuente società e terzo cedente le partecipazioni, che ha pagato l’indennizzo in questione. Osserva infatti la CTR, a supporto della legittimità della compensazione, che “Sul piano logico e sostanziale, diversamente argomentando, la proprietà acquirente avrebbe altrimenti sopportato da un lato (nel 2007) un esborso per l’acquisto superiore (ora per allora) al reale valore dell’asset, e dall’altro lato ed ex post (nel 2010) l’incisione delle proprie finanze per tassazione del ristoro di un sostenuto onere indeducibile (di origine 2005) non derivato dalla gestione esercitata dalla nuova proprietà.”. L’argomentazione appare tuttavia estranea alla questione, sub iudice, della “compensazione” operata tra l’onere fiscale di cui all’adesione al processo verbale e l’indennizzo, poichè prende in considerazione un dato, il costo d’acquisto delle partecipazioni pagato dalla contribuente al terzo cedente, che esula dall’operazione contabile articolata dalla prima, della cui legittimità si discute. Ed anzi, l’osservazione della CTR conferma che la “compensazione” ha invero posto in relazione contabile con l’obbligazione tributaria il dato della sopravvenienza dell’indennizzo, che era invece funzionalmente simmetrico soltanto al titolo contrattuale.

Giova poi aggiungere che, comunque, la stessa sentenza impugnata definisce (senza contestazioni sul punto) la clausola contrattuale dalla quale deriva l’indennizzo in questione come “clausola di manleva (clausola di garanzia/indennità) finalizzata a mantenere indenne il patrimonio dell’acquirente quale determinato all’atto della cessione.” Pertanto, non si trattava di una c.d. “clausola di aggiustamento del prezzo”, con la quale si correla il corrispettivo dell’acquisizione, o parte di esso, a determinati eventi futuri legati all’andamento economico-finanziario della società oggetto di acquisizione, predeterminando un’eventuale rettifica, in aumento o in diminuzione, del prezzo di cessione della partecipazione.

Si trattava, invece, di una clausola “di garanzia” della consistenza patrimoniale della società, con la quale il cedente assume un autonomo e specifico obbligo di indennizzo (altrimenti estraneo all’oggetto della garanzia legale cui il venditore è tenuto nei confronti del compratore) rappresentato dal reintegro, totale o parziale, di passività sopravvenute, usualmente di natura fiscale, riferibili alla gestione anteriore all’acquisto.

La clausola ha quindi una funzione sostanziale di garanzia, di tipo assicurativo, e l’obbligazione che ne deriva a carico del cedente è finalizzata a tenere il cessionario indenne dagli effetti pregiudizievoli, sulla consistenza patrimoniale della società, derivanti dal fatto predeterminato.

10. Sì è quindi escluso, per quanto sinora argomentato, che la “compensazione” controversa fosse richiesta o consentita da quei principi contabili internazionali invocati dalla contribuente e valorizzati dal giudice a quo.

Tanto premesso, appare comunque opportuno aggiungere che, con riferimento alla “compensazione” sub iudice, neppure vengono in rilievo quei “criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi contabili” rispetto ai quali soltanto opera la derivazione rafforzata, anche in deroga al t.u.i.r., a norma dell’ultimo periodo del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83.

In disparte l’imputazione temporale, è stato infatti rilevato in dottrina che i criteri di qualificazione operano a monte della definizione della fattispecie, che solo in seguito dovrà essere classificata e imputata temporalmente all’interno del bilancio, e consistono nell’inquadramento del fatto di gestione all’interno dello schema di riferimento individuato da una determinata fattispecie normativa, per attribuirgli l’effetto giuridico previsto dall’ordinamento.

Successivamente, una volta qualificata la fattispecie, il rinvio ai criteri di classificazione definisce la tipologia di provento o di onere, così come qualificata nella rappresentazione di bilancio IAS compliant, nella quale ascrivere lo stesso fatto di gestione, ovvero quel determinato componente di reddito.

Nel caso di specie, la qualificazione, a monte, e la classificazione delle due componenti “compensate” – il debito della contribuente verso l’erario ed il credito della stessa verso il terzo cedente- non sono in discussione e, comunque, non dipendono dal ridetto p. 33 dello IAS 1 (sul quale si fonda la motivazione della CTR), il quale presuppone anzi che siano già classificati “le attività e le passività, e i ricavi e i costi”, che andrebbero infatti contabilizzati distintamente e che possono altrimenti, ricorrendo le condizioni di cui ai p. 32 ss. dello IAS 1 – essere compensati.

La “compensazione”, dunque, opera a posteriori, tra poste già qualificate e classificate, che mette in relazione tra loro ai fini contabili, e non legittima, di per sè sola, deroghe, a norma dell’ultimo periodo del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 83, alle regole tributarie che stabiliscono se gli effetti finanziari dei fatti di gestione (pur se modellati in conformità ai criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio di cui alle regole contabili) debbano o possano partecipare, ed in che misura, alla formazione dell’imponibile.

11. Tanto premesso, l’indennizzo incassato, in esecuzione della

richiamata clausola contrattuale “di garanzia”, dalla società costituiva quindi, ai fini fiscali, un componente attivo del reddito imponibile della contribuente ai sensi D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 3, lett. a), il quale considera sopravvenienze attive anche “le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, di danni diversi da quelli considerati all’art. 85, comma 1, lett. f) e all’art. 86, comma 1, lett. b)”.

Non osta a tale conclusione la tesi della contribuente, secondo la quale, nel caso di specie, difetterebbe la simmetria tra l’imponibilità della stessa sopravvenienza attiva, costituita dall’indennizzo, e l’indeducibilità del componente negativo correlato, rappresentato dalle imposte che la contribuente ha assunto a debito e pagato a seguito dell’adesione al processo verbale di constatazione.

L’argomentazione, invero suggestiva, è tuttavia viziata dalla già censurata equivoca sovrapposizione tra i due diversi rapporti, quello tributario e quello contrattuale, nei quali trovano rispettivamente titolo il debito tributario ed il credito indennitario.

Infatti, vista la già descritta funzione della clausola contrattuale “di garanzia”, l’indennizzo era desti nato a ristora re l’effetto pregiudizievole della consistenza patrimoniale della società ceduta, prodottosi a seguito della passività fiscale emersa successivamente alla cessione.

L’adempimento del debito fiscale de quo non costituiva, quindi, il componente negativo deducibile da porre in relazione simmetrica con l’indennizzo contrattuale, ma era l’evento al cui verificarsi si era prodotta la lesione della consistenza patrimoniale da ristorare (ed in tale prospettiva, peraltro, l’indeducibilità delle imposte dovute dalla cessionaria costituiva piuttosto un presupposto dell’indennizzo, poichè stabilizzava definitivamente il relativo effetto patrimoniale negativo). Pertanto, sulla mera base della parziale coincidenza solo quantitativa tra debito fiscale sopravvenuto ed indennizzo, non può assumersi l’irrilevanza fiscale di quest’ultimo, facendo leva sulla natura di costo indeducibile della passività fiscale che lo ha reso dovuto, attivando la relativa clausola.

Resta quindi assorbita ogni ulteriore questione sulla rilevanza del principio di necessaria simmetria, con un componente positivo deducibile, solo relativamente alle sopravvenienze (c.d. “in senso proprio”) di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, comma 1, o anche rispetto a quelle (c.d. “assimilate”) del comma 3 della stessa disposizione.

12. Va quindi accolto il ricorso e, cassata la sentenza

impugnata, e non essendo necessari ulteriori accertamenti, può decidersi nel merito, rigettando il ricorso introduttivo della contribuente avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione sull’istanza di rimborso de qua.

13. Le spese dei giudizi di merito si compensano e quelle di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente; compensa le spese dei giudizi di merito e condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2020

 

 

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