Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17010 del 09/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 17010 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: BOGNANNI SALVATORE

ORDINANZA
sul ricorso 9626-2011 proposto da:
CONVERSO ARDINO ORSOLA CNVRSL66R64A225C,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI PAISIELLO
15, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BELLOMO, (Studio
legale di consulenza tributaria e societaria) rappresentata e difesa
dall’avvocato DAMASCELLI ANTONIO giusta procura in calce al
ricorso;

– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del
Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

525o
Ah

Data pubblicazione: 09/07/2013

avverso la sentenza n. 24/14/2010 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di BARI del 14/12/2009, depositata il
26/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
27/06/2013 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE

udito l’Avvocato Antonio Damascelli difensore della ricorrente che si
riporta alla memoria;
è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARES A
che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Ric. 2011 n. 09626 sez. MT – ud. 27-06-2013
-2-

BOGNANNI;

I

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione Sesta (Tributaria)
R.G. ric. n. 9626/11

Ricorrente: Orsola Converso Ardino
Controricorrente: agenzia entrate

Ordinanza
Svolgimento del processo

1. Orsola Converso Ardino propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia n. 24/14/10, depositata il 26 febbraio
2010, con la quale, rigettato l’appello della medesima contro la
decisione di quella provinciale, l’opposizione inerente all’avviso
di accertamento, relativo all’Irpef, Irap ed Iva per l’anno 2001,
riguardanti l’impresa familiare per la confezione di giacch
pantaloni, veniva respinta. In particolare il giudice di s
grado osservava che l’atto impositivo era stato regolarmente notificato; era adeguatamente motivato con i rilievi enunciati dalla
Guardia di finanza in sede di verifica, la quale aveva riscontrato
una contabilità non attendibile; il termine per le relative operazioni non era stato superato, anche perché i giorni supplementari
erano serviti soltanto alla elaborazione dei dati, ed alla predisposizione degli allegati presso lo studio di consulenza SAVMA;
inoltre alcuna sanzione di nullità del relativo avviso è prevista;
il maggior reddito era stato esattamente accertato, a prescindere
dal tentativo inerente all’adesione, posto che il procedimento relativo non si era perfezionato; esso andava attribuito al titolare
dell’impresa per intero, e non in quota anche al marito, socio o
collaboratore, poiché scaturiva non dalla dichiarazione, bensì
dalla contestazione inerente all’accertamento stesso. L’agenzia
delle entrate resiste con controricorso, mentre la ricorrente ha
depositato memoria.
Motivi della decisione

Oggetto: opposizione ad accertamento per maggior reddito,

2

2. Col primo motivo la ricorrente deduce violazione di norma di
legge, in quanto il termine di gg. 30 per la verifica da parte
della GdF. deve intendersi perentorio, e quindi i dati raccolti da
essa non potevano essere utilizzati per l’avviso di accertamento,
pena la nullità del medesimo.

ne di fatto, per la quale la CTR riteneva che il termine in argomento non fosse stato affatto superato, tuttavia va osservato che
in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli
operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto
nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso. Né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla “ratio” delle disposizioni in materia,
apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente
dalla più lunga eventuale permanenza degli agenti dell’Amministrazione, come nella specie (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 17002 del
05/10/2012, n. 23595 del 11/11/2011).
Sul punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata modo giuridicamente corretto.
3. Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione di norme di legge, giacche il giudice di appello non poteva ritenere legittimo l’avviso di accertamento, nonostante che con procedimento
per adesione Converso Ardino e l’agenzia avessero convenuto per un
importo più ridotto.
La censura non ha pregio, dal momento che in tema di accertamento con adesione, la presentazione dell’istanza di definizione,
così come il protrarsi nel tempo della relativa procedura, non
comportano l’inefficacia dell’avviso di accertamento, ma ne sospendono soltanto il termine di impugnazione per 90 giorni, decorsi i quali, senza che sia stata perfezionata la definizione consensuale, quest’ultimo, in assenza di tempestiva impugnazione, diviene definitivo, poiché, a norma degli artt. 6 e 12 del d.lgs. 19
2

Il motivo è infondato. A parte che si tratta anche di questio-

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giugno 1997, n. 218, soltanto all’atto del perfezionamento della
definizione l’avviso perde efficacia (V. pure Cass. Ordinanza n.
3368 del 02/03/2012, n. 28051 del 2009).
Anche su tale punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

di legge, poiché il giudice di appello semmai doveva attribuire
parte del maggior reddito al marito della contribuente, socio al
49% dell’impresa familiare, e quindi per tal verso l’atto impositivo non poteva essere ritenuto legittimo.
Ar
La doglianza non va condivisa, atteso che in tema df poste
sui redditi, perché possa essere applicato il regime fiscale
dell’impresa familiare, previsto prima dall’art. 5 del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 597 ed attualmente sostituito dall’art. 5 del
d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non basta la mera cogestione da
parte dei coniugi di un’azienda – eventualmente rilevante ex art.
177 cod. civ. per la ripartizione degli utili – ma è indispensabile che ricorrano le condizioni previste dal medesimo art. 5 cit.,
e cioè la indicazione nominativa dei familiari partecipanti
all’attività di impresa; quella relativa alle quote attribuite ai
singoli familiari, nonché l’attestazione nella dichiarazione annuale di ciascun partecipante di aver lavorato per l’impresa familiare, e ciò prima dell’accertamento stesso, mentre tali presupposti difettano nel caso in esame (Cfr. anche Cass. Sentenze n.
23170 del 17/11/2010, n. 13390 del 1992). D’altronde i familiari
collaboratori non sono contitolari dell’impresa familiare, ed i
redditi loro imputati sono reddito di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa, tanto che – a prescindere dalla natura,
subordinata, autonoma o comparata, del detto lavoro – essi sono
esclusi dall’ILOR, ai sensi dell’art. l, secondo comma, lettera a)
del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, come emendato dalla sentenza
della Corte Costituzionale n. 42 del 1980 (V. pure Cass. Sentenza
n. 4714 del 17/04/1992).

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4. Col terzo motivo la ricorrente lamenta violazione di norma

4

Pure su tale questione perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
5. Ne deriva che il ricorso va rigettato.
6. Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

La Corte
Rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al ri orso delle
spese a favore della controricorrente, e che liquida in
C3.000,00(tremila/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 27 giugno 2013.

P.Q.M.

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