Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17009 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/06/2021, (ud. 18/03/2021, dep. 16/06/2021), n.17009

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11555/2017 R.G. proposto da:

M.P.M.C., rappresentata e difesa dagli Avv.ti

Giovanni Fiannacca e Rosario Visalli, elettivamente domiciliati

presso la Cancelleria della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di

Palermo, Sez. staccata Messina, n. 905/27/16, depositata il 9 marzo

2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 marzo 2021

dal relatore Dario Cavallari.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.P.M.C. ha impugnato, davanti alla CTP Messina, un avvio di rettifica e liquidazione con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva attribuito ad un terreno oggetto di una compravendita un valore finale più alto ai fini INVIM ed inflitto una sanzione amministrativa.

La CTP di Messina, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 424/05/07, ha accolto in parte il ricorso, rideterminando il valore del bene.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto appello che la CTR di Palermo, Sez. stacc. Messina, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 905/27/16, ha accolto.

La contribuente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

L’Agenzia delle Entrate si è difesa con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo M.P.M.C. lamenta la violazione del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 6.

Essa rappresenta che oggetto del contendere è la rideterminazione in aumento, ad opera dell’Agenzia delle Entrate, del valore di un atto di compravendita di un immobile, con riguardo alla quale l’Amministrazione stessa aveva agito nei confronti della medesima ricorrente, quale parte venditrice, ai fini INVIM, e contro gli acquirenti in ordine all’imposta di registro, liquidando, in entrambi i casi, un maggior tributo.

In particolare, M.P.M.C. espone che i detti acquirenti avevano definito la loro posizione concernente l’imposta di registro ai sensi della L. n. 289 del 2002, artt. 11 e 16, e, così, avevano risolto ogni questione con l’Erario concordando un aumento del 25% del valore dichiarato del terreno oggetto di causa, determinato in Lire 37.500.000.

Alla luce di tali circostanze, la ricorrente ritiene che la CTR avrebbe dovuto considerare ormai vincolante anche nei suoi confronti l’importo di Lire 37.500.000 quale valore del bene – in esame, in luogo di quello maggiore di Lire 120.600.000 posto alla base dell’avviso opposto.

Ciò in quanto, secondo il disposto del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 6, “il valore finale ai fini dell’INVIM deve essere equiparato a quello definitivamente accertato ai fini dell’imposta di registro”.

La doglianza è infondata.

Il D.P.R. n. 643 del 1972, art. 6, recita:

“L’incremento di valore è costituito dalla differenza fra il valore dell’immobile alla data nella quale si verificano i presupposti di cui agli artt. 2 e 3, ed il valore, aumentato delle spese indicate nel successivo art. 11, che l’immobile aveva alla data dell’acquisto ovvero della precedente tassazione.

Per la determinazione della differenza si assumono, per gli immobili di cui all’art. 2, quale valore finale quello dichiarato o quello maggiore definitivamente accertato per il trasferimento del bene ai fini dell’imposta di registro o di successione e quale valore iniziale quello analogamente dichiarato o accertato per il precedente acquisto ovvero quello venale al momento dell’acquisto stesso se il valore dell’immobile agli effetti dell’imposta di registro o di successione è stato determinato ai sensi della L. 20 ottobre 1954, n. 1044, e della L. 27 maggio 1959, n. 355”.

Sostiene la ricorrente che per valore iniziale “accertato” per il precedente acquisto ai fini INVIM, con riferimento al venditore, dovrebbe intendersi pure quello definito fra l’acquirente e l’Amministrazione, ai fini dell’imposta di registro, della L. n. 289 del 2002, ex artt. 11 e 16.

Essa porta a sostegno della sua ricostruzione il precedente rappresentato da Cass., Sez. 5, n. 13081 del 15 giugno 2011, per il quale “In tema di imposta sull’incremento di valore degli immobili (I.N.V.I.M.), ai fini dell’applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 6, comma 2, – in forza del quale l’imponibile si determina assumendo come valore finale “quello dichiarato o quello maggiore definitivamente accertato per il trasferimento del bene ai fini dell’imposta di registro o di successione” e quale valore iniziale “quello analogamente dichiarato o accertato per il precedente acquisto” -, sono irrilevanti le modalità di identificazione del valore iniziale definitivo, il quale può consistere in quello dichiarato dal contribuente e non rettificato dall’Amministrazione, oppure in quello corretto da quest’ultima e non impugnato dall’interessato, ovvero in quello concordato dalle parti o determinato automaticamente sulla base di norme dettate per agevolare la definizione delle pendenze tributarie; il valore di precedente tassazione, corrispondente a quello dichiarato o accertato per il precedente acquisto, si deve peraltro riferire al medesimo compendio immobiliare e non ad una sua porzione che, infatti, per la diversità ontologica dei cespiti, non dà luogo a quella continuità nella circolazione del medesimo bene che fonda il requisito di stima oggettiva, per il carattere di unitarietà e continuità che connota la fattispecie impositiva del predetto tributo”.

In effetti, non è in contestazione la circostanza che “il valore iniziale accertato” ai fini INVIM possa essere pure quello concordemente definito fra contribuente e P.A. o, comunque, stabilito in applicazione di procedure di definizione del contenzioso tributario normativamente regolate.

Peraltro, l’esegesi della giurisprudenza in questione proposta dalla ricorrente non è condivisibile.

Infatti, la ratio decidendi di Cass., Sez. 5, n. 13081 del 15 giugno 2011, a prescindere dalla particolarità della fattispecie trattata, può essere correttamente intesa solo se si tiene conto del precedente da quest’ultima decisione citato ed al quale si è conformata, ovvero la sentenza Cass., Sez. 5, n. 602 del 13 gennaio 2006.

Quest’ultima pronuncia, al riguardo, chiarisce che “qualora si controverta su due successivi periodi d’imposta, l’accordo o la conciliazione raggiunta dalle parti relativamente ad uno dei due periodi è destinato a spiegare i suoi effetti pure nell’altro. Si è, infatti, ritenuto essere irrilevanti le modalità di identificazione del valore iniziale definitivo, potendo “consistere in quello dichiarato dal contribuente e non rettificato dall’amministrazione oppure in quello corretto da quest’ultima e non impugnato dall’interessato ovvero ih quello concordato dalle parti o determinato automaticamente sulla base di norme dettate per agevolare la definizione delle pendenze tributarie””.

Se ne ricava che il principio invocato dalla ricorrente concerne esclusivamente l’ipotesi nella quale la definizione del valore del bene sia avvenuta fra le stesse parti, benchè in ordine a differenti periodi di imposta.

Ad identiche conclusioni si giunge valutando gli ulteriori precedenti menzionati dalla pronuncia n. 602 del 2006 come conformi.

In primo luogo, assume rilievo la decisione della Cass., Sez. 5, n. 10021 del 24 luglio 2001, per la quale “In tema di INVIM, qualora il bene immobile assoggettato al tributo risulti oggetto di due successive denunce da parte del contribuente, la prima per INVIM straordinaria, la seconda per quella decennale, ed entrambe le denunce risultino rettificate da parte dell’Ufficio, la conciliazione raggiunta tra le parti nel secondo procedimento eventualmente instauratosi è destinata a spiegare i propri effetti, quanto all’accertamento di valore così definitivamente convenuto tra le parti stesse, anche nel primo procedimento (benchè non conciliato), atteso il carattere di unitarietà e continuità che caratterizza la fattispecie impositiva dell’INVIM”.

Nella specie, infatti, erano state sempre le stesse parti ad avere “definitivamente convenuto” tale valore, e l’elemento differenziale era dato dal fatto che l’INVIM rilevante era sia quelle straordinaria sia quella decennale, circostanza considerata dalla S.C. irrilevante.

Non si discosta da questa impostazione la sentenza Cass., Sez. 5, n. 17032 del 2 dicembre 2002, che concerne un caso nel quale il curatore di un fallimento aveva domandato il rimborso di parte della somma pagata in precedenza per INVIM, risultando tale somma eccessiva rispetto al dovuto a seguito di conciliazione intervenuta con l’Amministrazione finanziaria in ordine al valore di alcuni immobili trasferiti.

Allo stesso modo va letto il precedente della pronuncia della Cass., Sez. 1, n. 9483 del 14 settembre 1990, relativo ad una vicenda nella quale il valore iniziale rilevante ai fini INVIM per gli alienanti era stata individuato in quello definito, in sede di condono, con riguardo all’imposta di successione da essi in precedenza versata.

Le conclusioni appena esposte sono confermate da più recenti decisioni della S.C.

Al riguardo, è decisiva la sentenza della Cass., Sez. 5, n. 17049 del 10 luglio 2013 (non massimata), la quale ha chiarito che, in tema di imposta di registro, il condono fiscale (nella specie, ex L. n. 289 del 2002) ottenuto dall’acquirente non estende automaticamente i propri effetti al venditore, nei cui confronti l’Amministrazione finanziaria conserva il potere di procedere ad accertamento; quest’ultimo, quindi, deve pertanto presentare autonoma istanza per potersi avvalere del beneficio. In particolare, il Supremo Collegio ha precisato che, fermi restando tutti i diritti dell’Erario (ivi compresi quelli relativi a sanzioni, interessi, etc.) verso la parte che non abbia richiesto il condono, l’importo preso a base dall’Ufficio per l’ammissione del compratore al beneficio può essere assunto, non in forza di un rapporto di solidarietà con l’acquirente, ma con valutazione comparativa discrezionale, dal giudice tributario quale riferimento per determinare in modo congruo il valore del terreno anche con riguardo al venditore, in considerazione della unicità del valore dello stesso immobile, ancorchè riferito a imposte differenti.

Analoghi principi sono stati espressi dalla decisione della Cass., Sez. 5, n. 3607 del 13 febbraio 2009 (non massimata), per la quale il condono accordato al venditore in relazione all’INVIM, nel corso del giudizio da lui solo promosso contro l’avviso di accertamento, non può fondare il diritto dell’acquirente, non impugnante, di godere di analogo beneficio (in base alla L. n. 516 del 1982) in ordine all’imposta di registro.

La sentenza della Cass., Sez. 5, n. 5537 del 9 marzo 2007, in un caso solo in parte diverso, ha confermato che va esclusa la possibilità di rideterminare l’INVIM sulla base del valore dell’immobile definito per condono dall’acquirente ai fini dell’imposta di registro. Ha precisato, infatti, che, in tema di INVIM, l’omessa impugnazione da parte del venditore dell’avviso di liquidazione, comportando la definitiva determinazione dell’imposta, esclude che la stessa possa essere rideterminata in base al valore dell’immobile, definito per condono dall’acquirente, ai sensi della L. n. 413 del 1991, ai fini della imposta di registro Ciò perchè il condono, per eliminare le liti e per fare conseguire al fisco le entrate in tempi brevi, opera una riduzione degli imponibili accertati, ma il valore del cespite che rimane fissato per effetto dello stesso è fittizio e non reale, per cui del medesimo non può giovarsi l’altro contribuente, diversamente da quanto accade nell’ipotesi di pronuncia del Giudice, quando può essere invocato l’effetto estensivo regolato dall’art. 1306 c.c., con riferimento al principio della solidarietà tributaria.

Ne consegue che il motivo di impugnazione è respinto, dovendosi enunciare il seguente principio di diritto:

Ai fini dell’applicazione del D.P.R. n. 643 del 1972, art. 6, comma 2, – in forza del quale l’imponibile sul quale calcolare l’INVIM si determina assumendo come valore finale “quello dichiarato o quello maggiore definitivamente accertato per il trasferimento del bene ai fini dell’imposta di registro o di successione” e quale valore iniziale “quello analogamente dichiarato o accertato per il precedente acquisto” -, il condono fiscale al quale abbia aderito l’acquirente di un bene in relazione all’imposta di registro non estende automaticamente i propri effetti al venditore del medesimo bene, il quale debba pagare l’INVIM, poichè l’Amministrazione finanziaria conserva il potere di procedere ad accertamento qualora il medesimo venditore non abbia presentato, ove normativamente consentito, autonoma istanza per avvalersi del beneficio.

2) Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, atteso che la CTR non avrebbe valutato un atto pubblico di compravendita concluso nel 1997 e concernente il terreno adiacente a quello di causa, avente caratteristiche intrinseche ed estrinseche identiche all’immobile oggetto del contendere.

La doglianza è inammissibile per difetto di specificità.

Infatti, la contribuente non ha indicato nell’atto di impugnazione quali sarebbero state le “caratteristiche intrinseche ed estrinseche” che avrebbero accomunato i due immobili al punto da imporre un identico trattamento fiscale delle operazioni in esame, nonostante la compravendita de qua.

Pertanto, questo Collegio non può valutare la decisività del documento menzionato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3) Il ricorso è respinto.

Le spese di lite sono compensate, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., in ragione della particolarità della controversia e dell’assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale in materia.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater, dell’obbligo, peri parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– compensa le spese;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5 Sezione Civile, tenuta con modalità telematiche, il 18 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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