Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16997 del 16/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 16/06/2021, (ud. 10/03/2021, dep. 16/06/2021), n.16997

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA S. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2894-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COSMEF IMMOBILIARE SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

PARIOLI 43, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1503/2016 della COMM. TRIB. REG. CALABRIA,

depositata il 15/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/03/2021 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona

dell’AVVOCATO GENERALE FRANCESCO SALZANO che ha chiesto che la Corte

di Cassazione in accoglimento del secondo e del terzo motivo di

ricorso voglia annullare con rinvio la sentenza impugnata con le

conseguenze di legge.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di indagini finanziarie, l’Ufficio di Cosenza emise a carico di Cosmef Immobiliare s.r.l. avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2006, con il quale veniva contestato – con il metodo analitico-induttivo – un maggior reddito, con conseguenti maggiori IRES, IRAP e IVA, oltre sanzioni ed interessi. La società propose istanza di accertamento con adesione, ma senza esito, sicchè impugnò l’avviso dinanzi alla C.T.P. di Cosenza, che accolse il ricorso con sentenza del 19.4.2013, annullando l’atto impugnato. La C.T.R. della Calabria, con sentenza n. 1503/16 del 15.6.2016, dichiarò l’inammissibilità del gravame dell’Ufficio, per non aver questo depositato, all’atto della costituzione in giudizio, la ricevuta di spedizione dell’appello, la notifica essendo stata eseguita a mezzo del servizio postale.

L’Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, sulla base di tre motivi, cui resiste con controricorso Cosmef Immobiliare s.r.l., che ha pure depositato memoria. Il PG ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. La ricorrente evidenzia che la C.T.R. ha dichiarato inammissibile l’appello, perchè al momento della costituzione non era stata depositata la ricevuta di spedizione dell’atto, erroneamente escludendo che detto deposito potesse eseguirsi anche all’udienza di trattazione, come avvenuto nella specie, mediante la produzione della distinta delle raccomandate trasmesse all’ufficio postale.

1.2 – Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 1, art. 53, comma 2, e dell’art. 156 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. La ricorrente si duole della medesima declaratoria di inammissibilità, benchè dalla distinta delle raccomandate trasmesse all’ufficio postale (depositato in uno con l’atto di gravame notificato, ancorchè la C.T.R. abbia invece affermato che essa era stata prodotta solo all’udienza di discussione) risultasse che l’impugnazione era stata comunque tempestivamente proposta, ciò che costituisce la ratio delle disposizioni rubricate.

1.3 – Con il terzo motivo, infine, si denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. La ricorrente lamenta l’erroneità dell’affermazione della C.T.R. secondo cui la distinta delle raccomandate era stata depositata solo all’udienza di discussione, mentre invece essa era stata depositata unitamente all’atto di gravame notificato, come risulta dall’attestazione di cancelleria del 7.11.2016, prodotta in questa sede.

2.1 – Il primo motivo è infondato.

Premesso, anzitutto, che il termine di trenta giorni previsto dal combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, e art. 22, comma 1, secondo l’insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 13452/2017, decorre non già dalla spedizione del plico, bensì dalla sua ricezione da parte del destinatario, ritiene la Corte che del tutto correttamente la C.T.R. abbia affermato che la prova della tempestività dell’appello non possa essere fornita all’udienza di discussione del ricorso, ma debba invece essere immediatamente evincibile all’atto della costituzione in giudizio da parte dell’appellante (di recente, Cass. n. 15182 del 2018 ha ribadito che “Nel giudizio tributario, la prova della tempestività della costituzione in giudizio del ricorrente (o dell’appellante) entro trenta giorni dalla spedizione dell’atto introduttivo a mezzo del servizio postale deve essere fornita contestualmente a detta costituzione, al fine di consentire la verifica officiosa delle condizioni di ammissibilità del procedimento. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione impugnata che aveva ritenuto inammissibile il gravame proposto dall’Agenzia delle entrate che aveva depositato la distinta attestante la data di spedizione della raccomandata soltanto all’udienza)”).

3.1 – Il secondo e il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente perchè connessi, sono invece inammissibili.

La ricorrente ha infatti dedotto di aver comunque depositato, all’atto della costituzione in appello, una distinta di versamento delle raccomandate presentate per la spedizione il giorno (OMISSIS), recante anche il timbro datario dell’ufficio postale ricevente. Ed ha anche affermato che, per giurisprudenza di questa Corte, detta distinta di versamento, se dotata (come nella specie) di timbro e data dell’ufficio postale, costituisce valida prova della spedizione dell’impugnazione, ciò essendo sufficiente ad attestare validamente la certezza della data della stessa spedizione.

Detto principio, in effetti, è stato ribadito, da ultimo, da Cass. n. 123/2018, così massimata: “Nel processo tributario, per la notificazione a mezzo posta dell’appello secondo le modalità fissate dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 20, comma 2, richiamato dal successivo art. 53, comma 2, la data di presentazione delle raccomandate consegnate all’ufficio postale, risultante dalla copia dell’elenco delle raccomandate consegnate per la spedizione alle poste italiane, che annovera il codice a barre identificativo e che reca il timbro postale, è certa e validamente attestata, risultando da atto equipollente a quelli pure contenenti lo stesso timbro, sia che questo sia stato apposto sul piego postale, sia che lo sia stato sulla busta della raccomandata, secondo una prassi adottata dagli uffici postali, di notoria conoscenza, e riconducibile ad una nozione costituzionalmente adeguata delle dette disposizioni, anche in rispondenza della nozione ristretta delle inammissibilità processuali, posta a cardine interpretativo del processo tributario dalla Corte costituzionale (sentenze n. 189 del 2000 e n. 520 del 2002)”.

A ciò deve aggiungersi che sulla questione principale è intervenuto il noto arresto della già citata Cass., Sez. Un., n. 13452/2017, che ha affermato che “Nel processo tributario, non costituisce motivo d’inammissibilità del ricorso (o dell’appello), che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente (o l’appellante), al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata da parte del destinatario, depositi l’avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purchè nell’avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall’ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario. Solo in tal caso, infatti, l’avviso di ricevimento è idoneo ad assolvere la medesima funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione; invece, in loro mancanza, la non idoneità della mera scritturazione manuale o comunemente dattilografica della data di spedizione sull’avviso di ricevimento può essere superata, ai fini della tempestività della notifica del ricorso (o dell’appello), unicamente se la ricezione del plico sia certificata dall’agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto (o della sentenza)” (conf., Cass. 11559 del 2018).

3.2 – Orbene, in forza della certificazione rilasciata dalla cancelleria della C.T.R. calabra in data (OMISSIS), prodotta in questa sede, risulta che detta distinta era stata effettivamente prodotta già all’atto della costituzione in giudizio dell’Agenzia, il che parrebbe risolvere la questione in senso favorevole a quest’ultima, ben potendo la pronuncia delle Sezioni Unite leggersi in senso estensivo, stante la indiscutibile equipollenza, ai fini che interessano, tra ricevuta di spedizione, avviso di ricevimento e distinta-elenco delle raccomandate presentate all’ufficio postale in un certo giorno (se dotata di timbro datario dell’ufficio stesso).

Senonchè, la questione si scontra con il dato – insormontabile dell’affermazione della C.T.R. secondo cui la distinta-elenco in questione è stata prodotta soltanto all’udienza di discussione (“Da qui l’irrilevanza della produzione della distinta della raccomandate trasmesse all’Ufficio postale, avutasi solo in occasione dell’udienza di discussione”).

Al riguardo, infatti, occorre confrontarsi con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui “L’affermazione contenuta nella sentenza circa l’inesistenza, nei fascicoli processuali (d’ufficio o di parte), di un documento che, invece, risulti esservi incontestabilmente inserito, non si concreta in un errore di giudizio, bensì in una mera svista di carattere materiale, costituente errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione a norma dell’art. 395 c.p.c. n. 4, e non di ricorso per cassazione” (Cass. n. 9628 del 1994; Cass. n. 3074 del 1998; Cass. n. 11196 del 2007; Cass. n. 19174 del 2016; da ultimo, Cass. n. 5610 del 2021).

E’ dunque evidente che la ricorrente, lamentando anche il mancato erroneo esame della distinta-elenco da parte della C.T.R., per essere stato detto documento regolarmente versato in atti già al momento della sua costituzione in giudizio, si duole in realtà di un vizio revocatorio, non denunciabile col ricorso per cassazione, come correttamente rilevato anche dalla controricorrente in memoria. Nè, del resto, tale ostacolo può essere qui superato mediante la produzione dell’attestazione di cancelleria del (OMISSIS), giacchè detta attività processuale è preclusa proprio dall’affermazione della C.T.R. circa la mancata tempestiva produzione, non adeguatamente impugnata.

4.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, in misura del 15%, / oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 giugno 2021

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