Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16996 del 13/08/2020

Cassazione civile sez. trib., 13/08/2020, (ud. 22/11/2019, dep. 13/08/2020), n.16996

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15314-2017 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DI

VILLA GRAZIOLI 15, presso lo studio dell’avvocato PIER AURELIO

COMPAGNONI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AMA SPA – AZIENDA MUNICIPALE AMBIENTE, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CALDERON DE LA BARCA 87, presso lo studio dell’avvocato

FABIO LITTA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

STEFANO SCICOLONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8793/2016 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 20/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/11/2019 dal Consigliere Dott. RAFFAELE MARTORELLI.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

– il presente giudizio ha ad oggetto l’avviso di accertamento emesso da AMA spa nei confronti di P.M. relativo a TARSU/TIA per gli anni dal 2007 al 2012. Il contribuente impugnava detto avviso lamentando, oltre alla inesistenza della notificazione, il difetto di motivazione del medesimo ed in particolare la mancata specificazione dei dati catastali identificativi dell’immobile cui si riferiva la pretesa impositiva, nonchè l’illegittimità delle sanzioni irrogate. L’AMA non si costituiva in giudizio.

La CTP di Roma, con sentenza n. 27250 del 2015 in data 21.12.2015, rigettava il ricorso.

Avverso tale decisione il P. proponeva appello innanzi alla CTR del Lazio. L’AMA, costituitasi in giudizio, produceva taluni documenti tra i quali la visura catastale dell’immobile cui si riferiva l’avviso di accertamento impugnato. La ricorrente chiedeva alla Commissione il rinvio dell’udienza onde poter presentare motivi aggiunti conseguenti alla nuova produzione documentale. La CTR, con sentenza n. 8793/2016 depositata il 20.12.2016, respingeva l’istanza di rinvio e rigettava il gravame.

Il contribuente ricorre per a cassazione della sentenza, svolgendo tre motivi. AMA spa si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 24 Cost., e dell’art. 24, comma 3 D.Lgs. n. 546 del 1992 in ragione del mancato accoglimento dell’istanza di rinvio al fine di integrare i motivi di ricorso formulata dalla contribuente D.Lgs. n. 546 cit., ex art. 24, comma 3, nel giudizio di appello a seguito dell’ampliamento del thema decidendum conseguente alla produzione di nuovi documenti da parte dell’AMA.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, della L. n. 241 del 1990, art. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, degli artt. 24 e 97 Cost., avendo la sentenza impugnata ritenuto adeguatamente motivato l’atto impugnato, nonostante che esso fosse motivato per relationem quanto agli atti normativi che, pur richiamati, non erano stati allegati, e nonostante non fosse catastalmente individuato l’immobile oggetto dell’avviso di accertamento. E infatti, solo nel giudizio di appello l’AMA aveva prodotto la documentazione catastale identificativa in tal modo integrando di fatto la motivazione dell’atto impositivo e consentendo al ricorrente, proprietario di appartamenti all’interno del medesimo complesso immobiliare, di svolgere compiutamente le proprie difese.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 23 Cost., del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 7-bis, violazione dell’art. 117 Cost., e della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., in quanto la CTR avrebbe ritenuto correttamente determinata la sanzione applicata con l’avviso di accertamento nonostante l’intervenuta sostituzione della TARSU con la TIA ad opera del D.Lgs. n. 22 del 1997, il quale non reca alcuna norma relativa alla applicazione delle sanzioni e dovendo quindi trovare applicazione la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 7-bis.

Il primo motivo è infondato.

Il contribuente non può dolersi per il diniego alla richiesta di rinvio per il deposito di motivi aggiunti dopo il deposito di documenti da parte di AMA spa. Il P. aveva possibilità di contrastare la pretesa avversa in sede di discussione orale, in quanto la produzione documenti non può ampliare il thema decidendum, già fissato in primo grado con il ricorso originario dallo stesso contribuente, stante la natura impugnatoria del giudizio tributario. Ciò in quanto la violazione del diritto di difesa deve essere concreta e non astrattamente dedotta. Peraltro, la possibilità di depositare i motivi aggiunti è prevista solo in primo grado (sul punto Cass. nn. 4605/2008 e 7927/2016). La violazione del diritto di difesa deve essere concreta e non astrattamente dedotta.

Il secondo motivo è infondato.

In merito all’obbligo di motivazione gravante sull’Amministrazione con riguardo all’avviso di accertamento, questa Corte ha ritenuto che il medesimo è soddisfatto “quando pone il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, individuata nel “petitum” e nella “causa petendi”, mediante una fedele e chiara ricostruzione degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, anche quanto agli elementi di fatto ed istruttori posti a fondamento dell’atto impositivo, in ragione della necessaria trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione, in vista di un immediato controllo della stessa” (così, da ultimo, Cass. 20620 del 2019 e n. 30039 del 2018).

Tale principio di portata generale, “è fondato sulla necessità che in ogni avviso di accertamento e di rettifica siano presenti gli elementi identificativi della pretesa tributaria, dovendosi escludere ogni formalismo nell’indicazione delle norme di diritto violate, quando chiaramente evincibili, o di tutti gli elementi di prova, eventualmente integrabili in sede di giudizio purchè siano indicati gli elementi di fatto e istruttori del procedimento; in sintesi l’obbligo di motivazione può ritenersi assolto ove dalla motivazione dell’avviso emerga una fedele e chiara ricostruzione di tutti gli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, così da consentire una adeguata, efficace e piena difesa in giudizio del contribuente. Un tale estensione dell’obbligo motivazionale soddisfa del resto la declinazione di legittimità di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7, (Statuto del contribuente), che a sua volta richiama la L. n. 241 del 1990, art. 3, secondo cui all’Amministrazione finanziaria è tenuta ad indicare nei suoi atti “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione”” (Cass. n. 20620 del 2019, cit.).

Si è peraltro precisato che in materia opera il principio per il quale “la polisistematicità del sistema tributario comporta necessariamente che, in relazione a ciascuna imposta, la esistenza e la congruità della motivazione del singolo atto impositivo sia verificata secondo le regole dettate per il tributo cui l’atto stesso afferisce” (Vedi Cass. n. 5190 del 2015; n. 24267 del 2011; n. 1332 e n. 8451 del 2005, n. 17356 del 2003).

Con riguardo alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la verifica in ordine all’esistenza e all’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento va condotta secondo la disciplina specificamente dettata, in ordine al contenuto dell’atto in esame, dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 162, il quale dispone che gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio “devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati; se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”. Tale norma impone, dunque, esclusivamente che, previa enunciazione del criterio astratto, vengano specificati gli elementi su cui si fonda la ripresa a tassazione, necessari per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa.

Deve pertanto escludersi che possa essere censurata come mancanza di motivazione l’omessa individuazione di tutte le fonti probatorie o delle indagini effettuate per rideterminare l’area, ben potendo tali indicazioni essere fornite nell’eventuale successiva fase contenziosa, in cui l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (Cass. n. 20620 del 2019 cit.)

Questa Corte ha, altresì, affermato che l’obbligo di allegare al provvedimento impositivo gli atti richiamati nella motivazione deve essere limitato a quelli che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili dal contribuente, mentre, non è necessario che siano allegati gli atti generali, quali le delibere comunali o altri regolamenti comunali, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, perchè si rivolgono ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (cfr. Cass. sez. 5, 23 ottobre 2006, n. 22804; Cass. sez. 5, 26 marzo 2014, n. 7044; Cass. n. 16165 del 2018 e n. 7437 del 2019).

Nella fattispecie, non può censurarsi la decisione della CTR che ha ritenuto sussistente la motivazione con riferimento ai presupposti di fatto e di diritto ed, in particolare, ha precisato che dalla lettura dell’atto impugnato si rileva chiaramente (con indicazione alla pagina) che esso è riferito all’immobile in esame. Sul punto va ribadito (come sopra precisato) che non vi obbligo di allegazione degli atti conoscibili quali quelli soggetti a pubblicità (atti generali, delibere comunali o regolamenti comunali atti amministrativi a contenuto generale o collettivo), in quanto la violazione del diritto di difesa deve essere concreta, specifica e non generica, in quanto non è qui tutelata l’astratta legalità della attività della p.a., ma il pregiudizio concreto subito dal contribuente.

Anche il terzo motivo è infondato.

Con riferimento alle sanzioni, nel Reg. Com. Roma TIA-Tarsu, art. 21, diversamente dalla soppressa TARSU (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 76), non è prevista una specifica disposizione sulle sanzioni ed, in tal senso, il contribuente ha richiesto l’applicazione del TUEL, – D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 7 bis, con riferimento alle più miti sanzioni.

Sul punto va evidenziata la sostanziale continuità e natura dei tributi già ribadita da questa Corte (Cass. S.U. 17113/2017; Cass. 19330/2019) e va, anche, precisato che la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., è da intendersi in senso relativo (giacchè, come è noto, la riserva di legge assoluta attiene, salvo diversa espressa previsione legislativa, solo alla materia penale: Cass. 19330/2019). Inoltre il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 52, comma 1, attribuisce ai comuni la potestà di emanare regolamenti in materia di entrate comunali e il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 76, sancisce le sanzioni in materia di Tarsu.

Stante la evidenziata continuità tra Tarsu e Tia, tale norma si applica anche alla tariffa rifiuti ex D.Lgs. n. 22 del 1997. Peraltro il ricorrente non ha impugnato, chiedendo la disapplicazione delle norme regolamentari, nè il Reg. Comunale del Comune di (OMISSIS), art. 21, che disciplina le sanzioni in caso di omessa denuncia, nè la Delib. comunale n. 2799 del 1998, entrambi costituenti i presupposti normativi dell’irrogazione delle sanzioni ad opera dell’accertamento impugnato.

Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.000,00, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2020

 

 

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