Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16989 del 25/06/2019

Cassazione civile sez. lav., 25/06/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 25/06/2019), n.16989

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10722/2014 proposto da:

L.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo

studio dell’avvocato AMOS ANDREONI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1005/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 21/10/2013 R.G.N. 52/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/04/2019 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per inammissibilità del ricorso o

rigetto;

udito l’Avvocato LUCA SANTINI per delega verbale Avvocato AMOS

ANDREONI;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 21 ottobre 2013, confermava la decisione del Tribunale in sede di rigetto della domanda proposta da L.A. nei confronti dell’INPS ed intesa al riconoscimento del diritto all’assegno sociale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 6.

2. Ad avviso della Corte territoriale al L. non poteva essere riconosciuto il diritto al beneficio invocato non avendo egli provato di aver soggiornato in Italia in via continuativa per almeno dieci anni come già correttamente rilevato dal primo giudice – requisito questo richiesto dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6.

3. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il L. affidato ad un unico motivo cui resiste con controricorso l’INPS.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione del D.L. n. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 10, conv.in L. 6 agosto 2008, n. 133 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo la Corte d’appello erroneamente ritenuto il requisito del soggiorno continuativo, ovvero la concreta presenza sul territorio dello Stato, come situazione di fatto e non formale e che, quindi, non poteva essere desunta solo da dati quali la residenza anagrafica (nel caso in esame anche la titolarità di un’impresa) ma doveva essere dimostrata altrimenti (ad esempio dalla produzione dei passaporti) tanto sulla scorta di un’errata interpretazione dell’art. 20, citato comma 10, secondo cui “A decorrere dal 10 gennaio 2009 l’assegno sociale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 6, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale”; si evidenzia, infatti come la nozione di “soggiorno legale” introdotto dalla novella di cui alla L. n. 133 del 2008, si sostanzia per tutti (italiani e stranieri), ai fini dell’assegno sociale, nella necessaria iscrizione all’anagrafe dei residenti e, per i soli stranieri, anche nel possesso di un permesso di soggiorno la cui titolarità sia stata “continua” per almeno dieci anni. Ed infatti il requisito del soggiorno legale continuativo non può consistere in altro che nella permanenza di una condizione anagrafica regolare e priva di soluzione di continuità alla quale si aggiunge, per gli stranieri, anche la titolarità ininterrotta dei permessi di soggiorno. Invero, l’imposizione di un obbligo di permanenza ininterrotta in Italia, seppure formalmente uguale per tutti (italiani e stranieri) finirebbe con il determinare una selezione di fatto dei beneficiari sulla base della provenienza etnica o geografica (integrando un requisito assimilabile alle “clausole di residenza pregressa” viste con sfavore della Corte di Giustizia del Lussemburgo) essendo, invece, più corretto ritenere che la presenza sul territorio dello Stato sia non episodico. Infine, si chiede che ove si ritenesse corretta l’interpretazione della norma fornita nell’impugnata sentenza di sollevarsi questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., art. 16 Cost., comma 2 e art. 38 Cost., comma 1, o, in via alternativa, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per verificare la compatibilità dell’art. 20, comma 10, cit. con la libertà di circolazione sancita dall’art. 39 del Trattato istitutivo della Comunità Europea.

5. Il motivo è infondato.

6. La L. n. 335 del 1995, art. 3 comma 6, ha introdotto l’assegno sociale (in luogo della preesistente pensione sociale) riservandone il diritto ai soli ai cittadini italiani, residenti in Italia.

7. Successivamente, la L. n. 40 del 1998, art. 39, ha disposto al comma 1 che “Gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonchè i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti”.

8. Si è quindi effettuata la equiparazione tra cittadini italiani residenti in Italia e gli stranieri titolari di carta o di permesso di soggiorno, ai fini del diritto alle prestazioni assistenziali, senza invero richiedere, in aggiunta, il requisito della stabile dimora in Italia, ravvisato come necessario dalla giurisprudenza costituzionale (fra le tante, Corte Cost. nn. 306 del 2008e 187 del 2010).

9. La L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80, comma 19, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)”, ha subordinato il diritto a percepire l’assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari, alla titolarità della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo) ha disposto “ai sensi del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 41 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), l’assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali sono concessi, alle condizioni previste dalla legislazione medesima, agli stranieri che siano titolari di carta di soggiorno”.

10. La carta di soggiorno è stata sostituita dal permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (id est, soggiornanti da almeno cinque anni), di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9, come sostituito dal D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3, art. 1 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), e ha, quindi, assunto la denominazione di “permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo”, a seguito della modifica in tal senso apportata alla rubrica del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9, dalla disposizione finale di cui al D.Lgs. 13 febbraio 2014, n. 12, art. 3 (Attuazione della direttiva 2011/51/UE, che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio per estenderne l’ambito di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale).

11. Il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 10 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria), convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2008, n. 133, ha stabilito che “a decorrere dal 1 gennaio 2009, l’assegno sociale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 6, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno 10 anni nel territorio nazionale”.

12. Il legislatore del 2008, a decorrere dal 2009, ha fissato, per gli “aventi diritto”, un oggettivo criterio di radicamento temporale al territorio, sintetizzato dal soggiorno legale, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale. Peraltro, anche in riferimento alla disciplina anteriore alla predetta riscrittura degli elementi costitutivi dell’assegno sociale, il tema e la necessità del radicamento territoriale per l’aspirante al beneficio erano comunque emersi sia per la peculiare prestazione in cui si risolve l’assegno sociale sia quanto al soggiorno legale in Italia dello straniero extracomunitario aspirante alla prestazione.

13. Ed infatti, questa Corte, con la sentenza n. 24981 del 6 dicembre 2016 ha affermato (in continuità con principi enunciati da Cass. n. 22261 del 30 ottobre 2015 e, in precedenza, da Cass. n. 10460 del 2013) che “in tema di corresponsione dell’assegno sociale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6, non è irragionevole la previsione di cui alla L. 28 dicembre 2000, n. 388, art. 80 comma 1, applicabile ratione temporis, che subordina il godimento per gli stranieri legalmente residenti in Italia alla titolarità della carta di soggiorno, indicativa del radicamento sul territorio, trattandosi di emolumento che prescinde dallo stato di invalidità e, pertanto, non investe la tutela di condizioni minime di salute o gravi situazioni di urgenza” (v. pure Cass. n. 3521 del 2014).Tale principio ha trovato conferma anche alla luce della coeva ordinanza della Corte costituzionale, n. 180 del 2016, che, nel riaffrontare la questione di legittimità costituzionale della L. n. 388 del 2000, citato art. 80, comma 19, “nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da almeno dieci anni, del beneficio dell’assegno sociale previsto dalla L. n. 335 del 1995, art. 3,comma 6 e successive integrazioni”, ha rilevato e ribadito che la L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1, “appare comunque indicativo dell’orizzonte entro il quale il legislatore ha ritenuto di disporre in una materia del tutto singolare come questa dell’assegno sociale, dal momento che il nuovo e più ampio limite temporale richiesto ai fini della concessione del beneficio risulta riferito non solo ai cittadini extracomunitari ma anche a quelli dei Paesi UE e financo – stando allo stretto tenore letterale della norma – agli stessi cittadini italiani (Corte Cost. n. 197 del 2013).

14. Il Giudice delle leggi aveva già escluso la violazione dei principi enunciati dall’art. 14 della CEDU, e dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, in quanto “da un lato, non risulterebbe evocabile alcun elemento di discriminazione tra cittadini extracomunitari, a seconda che risultino o no titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, e, dall’altro lato, neppure sussisterebbe una disparità di trattamento tra cittadini stranieri e italiani, posto che il requisito temporale del soggiorno riguarderebbe tutti i potenziali fruitori del beneficio” (Corte Cost. n. 197 del 2013 cit.).

15. Il limite della stabile permanenza (per dieci anni) sul territorio nazionale come requisito per ottenere il riconoscimento del predetto beneficio era pure stato ravvisato come adottato, piuttosto che sulla base di una scelta di tipo meramente “restrittivo”, sul presupposto, per tutti “gli aventi diritto”, di un livello di radicamento più intenso e continuo rispetto alla mera presenza legale nel territorio dello Stato e, del resto, in esatta corrispondenza alla previsione del termine legale di soggiorno richiesto per il conseguimento della cittadinanza italiana, a norma della L. 5 febbraio 1992, n. 91, art. 9, comma 1, lett. f), (Nuove norme sulla cittadinanza) (Corte Cost. n. 197 del 2013 cit.).

16. La giurisprudenza costituzionale, sempre in materia di misure di assistenza sociale da garantire ai cittadini extracomunitari in possesso di titoli validi di soggiorno ma non della carta di soggiorno, ora permesso di lungo soggiorno, ha precisato la necessità che, fermi gli ulteriori presupposti richiesti per la fruizione delle misure di assistenza sociale, ” nell’ottica della più compatibile integrazione sociale e della prevista equiparazione, per scopi assistenziali, tra cittadini e stranieri extracomunitari, di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 41 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – il soggiorno di questi ultimi risulti, oltre che regolare, non episodico nè occasionale” (Corte Cost. n. 230 del 2015).

17. La recente sentenza della Corte Costituzionale, n. 50 del 2019, ha nuovamente affrontato i dubbi di legittimità costituzionale della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19, nella parte in cui subordina il diritto a percepire l’assegno sociale, per gli stranieri extracomunitari, alla titolarità della carta di soggiorno (ora permesso di lungo soggiorno) e ha ritenuto il soddisfacimento di tale condizione per il solo straniero extracomunitario non irragionevole in virtù del fatto che l’assegno sociale è misura che, rivolgendosi a chiunque abbia compiuto 65 anni di età, persegue finalità peculiari e diverse rispetto a quelle proprie delle misure di assistenza legate a specifiche esigenze di tutela sociale della persona che non tollerano discriminazioni, come nel caso delle invalidità psicofisiche.

18. In tale sentenza è stato affermato che “Tali persone ottengono infatti, alle soglie dell’uscita dal mondo del lavoro, un sostegno da parte della collettività nella quale hanno operato (non a caso il legislatore esige in capo al cittadino stesso una residenza almeno decennale in Italia), che è anche un corrispettivo solidaristico per quanto doverosamente offerto al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 Cost.)”.

19. In quest’ottica la Corte ha precisato che il riferimento agli “aventi diritto” presuppone la ricorrenza, in capo a questi ultimi, di tutti i requisiti espressamente previsti dalla legge, tra i quali la titolarità del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, cui si aggiunge la condizione del soggiorno continuativo per almeno dieci anni.

20. Il Giudice delle leggi ha richiamato la giurisprudenza costituzionale che aveva già chiarito che “entro i limiti consentiti dall’art. 11 della direttiva 25 novembre 2003, n. 2003/109/CE (Direttiva del Consiglio relativa allo status di cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo), cui ha conferito attuazione il D.Lgs. 8 gennaio 2007, n. 3 (…), e comunque nel rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo assicurati dalla Costituzione e dalla normativa internazionale, il legislatore (può) riservare talune prestazioni assistenziali ai soli cittadini e alle persone ad essi equiparate soggiornanti in Italia, il cui status vale di per sè a generare un adeguato nesso tra la partecipazione alla organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica, e l’erogazione della provvidenza” (sentenza n. 222 del 2013).

21. Ha ribadito che la Costituzione impone di preservare l’uguaglianza nell’accesso all’assistenza sociale tra cittadini italiani e comunitari da un lato, e cittadini extracomunitari dall’altro, soltanto con riguardo a servizi e prestazioni che, nella soddisfazione di “un bisogno primario dell’individuo che non tollera un distinguo correlato al radicamento territoriale” (sentenza n. 222 del 2013), riflettano il godimento dei diritti inviolabili della persona.

22. Ha delineato il beneficio dell’assegno sociale non già come componente dell’assistenza sociale (che l’art. 38 Cost., comma 1, riserva al “cittadino”) ma come necessario strumento di garanzia di un diritto inviolabile della persona (art. 2 Cost.) e ha ancora una volta ricordato che per “la limitatezza delle risorse disponibili, al di là del confine invalicabile appena indicato, rientra dunque nella discrezionalità del legislatore graduare con criteri restrittivi, o financo di esclusione, l’accesso dello straniero extracomunitario a provvidenze ulteriori. Per esse, laddove è la cittadinanza stessa, italiana o comunitaria, a presupporre e giustificare l’erogazione della prestazione ai membri della comunità, viceversa ben può il legislatore esigere in capo al cittadino extracomunitario ulteriori requisiti, non manifestamente irragionevoli, che ne comprovino un inserimento stabile e attivo; in tal modo, le provvidenze divengono il corollario dello stabile inserimento dello straniero in Italia, nel senso che la Repubblica con esse ne riconosce e valorizza il concorso al progresso della società, grazie alla partecipazione alla vita di essa in un apprezzabile arco di tempo.

23. Ha poi chiarito che “la titolarità del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, diversamente dalla mera residenza legale in Italia, è subordinata a requisiti (la produzione di un reddito; la disponibilità di un alloggio; la conoscenza della lingua italiana: del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9) che sono in sè indici non irragionevoli di una simile partecipazione; essa perciò rappresenta l’attribuzione di un peculiare status che comporta diritti aggiuntivi rispetto al solo permesso di soggiorno; infatti, consente (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9) di entrare in Italia senza visto, di svolgervi qualsiasi attività lavorativa autonoma o subordinata, di accedere ai servizi e alle prestazioni della pubblica amministrazione in materia sanitaria, scolastica, sociale e previdenziale, e di partecipare alla vita pubblica locale. Il permesso di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 9, che ha durata indeterminata, consente l’inclusione dello straniero nella comunità nazionale ben distinguendo il relativo status dalla provvisorietà in cui resta confinato il titolare di permesso di soggiorno di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5”.

24. Il Giudice delle leggi, con la recente decisione ha pertanto ritenuto non discriminatorio, nè manifestamente irragionevole che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo sia il presupposto per godere di una provvidenza economica, quale l’assegno sociale, che si rivolge a chi abbia compiuto 65 anni di età, trattandosi di persone che ottengono infatti, alle soglie dell’uscita dal mondo del lavoro, un sostegno da parte della collettività nella quale hanno operato (non a caso il legislatore esige in capo al cittadino stesso una residenza almeno decennale in Italia), che è anche un corrispettivo solidaristico per quanto doverosamente offerto al progresso materiale o spirituale della società (art. 4 Cost.). E’ risultata così confermata la discrezionalità del legislatore nel riconoscere una prestazione economica al solo straniero, indigente e privo di pensione, il cui stabile inserimento nella comunità lo ha reso meritevole dello stesso sussidio concesso al cittadino italiano.

25. Per la Corte costituzionale sotto nessun profilo, pertanto, può ritenersi violato l’art. 3 Cost., con riferimento a quegli stranieri che, invece, tale status non hanno e “Neppure è convincente il rilievo, secondo il quale sarebbe manifestamente irragionevole subordinare il conseguimento dell’assegno sociale al possesso del permesso UE per soggiornanti di lungo periodo, posto che quest’ultimo viene ottenuto solo se si ha un reddito di importo pari all’assegno sociale stesso. Non è infatti detto che lo straniero, una volta conseguito il permesso di soggiorno di lunga durata, che è di regola permanente (art. 8 della direttiva 2003/109/CE), sia poi in grado di preservare le condizioni economiche che glielo hanno consentito. In tali casi, la vocazione solidaristica dell’assegno sociale torna a manifestarsi, in quanto esso soccorre chi, nonostante l’ingresso stabile nella collettività nazionale, sia poi incorso in difficoltà che ne hanno determinato l’indigenza ed è di tutta evidenza che l’assegno sociale, in questi casi, presuppone la perdita di quel reddito la cui esistenza aveva concorso al perfezionamento dei requisiti per l’ottenimento del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo”.

26. Ha ritenuto, inoltre, non violato l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 14 CEDU, essendo non discriminatorio, per le ragioni enunciate, il criterio adottato quanto alla parificazione dei cittadini stranieri a quelli italiani in una prestazione di welfare sganciata dallo status lavorativo. Continua la sentenza n. 50: “Come si è detto, l’assegno sociale per chi abbia 65 anni (che dal 1 gennaio 2019 spetta a coloro che abbiano raggiunto l’età di 67 anni) è una prestazione sociale riservata a coloro che, privi di reddito adeguato e di pensione, abbiano raggiunto un’età in linea di massima non più idonea alla ricerca di un’attività lavorativa e che mantengano comunque la effettiva residenza in Italia; tale prestazione è pertanto legittimamente riservata ai cittadini italiani, ai cittadini Europei e ai cittadini extracomunitari solo se titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo”.

27. Infine, il Giudice delle leggi ha ricordato che nella giurisprudenza della Corte costituzionale l’elemento di discrimine basato sulla cittadinanza è stato ritenuto in contrasto con l’art. 3 Cost. e con lo stesso divieto di discriminazione formulato dall’art. 14 CEDU, solo con riguardo a prestazioni destinate al soddisfacimento di bisogni primari e volte alla “garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto” (sentenza n. 187 del 2010) o comunque destinate alla tutela della salute e al sostentamento connesso all’invalidità (sentenza n. 230 del 2015), di volta in volta con specifico riguardo alla pensione di inabilità, all’assegno di invalidità, all’indennità per ciechi e per sordi e all’indennità di accompagnamento (sentenze n. 230 e n. 22 del 2015, n. 40 del 2013, n. 329 del 2011, n. 187 del 2010, n. 11 del 2009 e n. 306 del 2008) e l’assegno sociale non è equiparabile a tali prestazioni.

28. In definitiva, il Giudice delle leggi ha ribadito che il legislatore può legittimamente prevedere specifiche condizioni per il godimento delle prestazioni assistenziali eccedenti i bisogni primari della persona, purchè tali condizioni non siano manifestamente irragionevoli nè intrinsecamente discriminatorie, com’è appunto nella specie la considerazione dell’inserimento socio-giuridico del cittadino extracomunitario nel contesto nazionale, come certificata dal permesso di soggiorno UE di lungo periodo, al quale l’ordinamento fa conseguire il riconoscimento di peculiari situazioni giuridiche che equiparano il cittadino extracomunitario – a determinati fini – ai cittadini italiani e comunitari (Corte Cost. n. 50 del 2019 cit.).

29. Pertanto, il requisito della continuità della permanenza sul territorio nazionale richiesto non solo allo straniero lungo soggiornante, ma anche al cittadino italiano (in tal senso anche Ord. n. 197/2013 Corte Cost.) è da ritenersi aggiuntivo rispetto alla titolarità del permesso di soggiorno e non può essere configurato come un limite alla libertà di circolazione di cui all’art. 16 Cost., comma 2, ed agli artt. 21 e 45 del T.F.E.U. (ex artt. 18 e 39 del Trattato della Comunità Europea) non contenendo alcun divieto violativo della libera scelta del singolo ed anche in considerazione del fatto che la continuità della permanenza va valutata, avuto riguardo all’ampiezza dell’arco temporale previsto dalla norma, come indicativa di un radicamento con il territorio da non identificare con la assoluta costante ed ininterrotta permanenza del soggetto, appunto, sul territorio nazionale.

30. Nel caso in esame, correttamente la Corte territoriale, con una valutazione delle risultanze istruttorie, ovvero con un giudizio di merito non rinnovabile in questa sede, ha ritenuto che non fosse stato dimostrato il requisito della continuità della presenza del L. nel territorio nazionale.

31 Alla luce di quanto esposto il ricorso va rigettato.

32. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

33. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2019

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