Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16988 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 11/08/2016, (ud. 27/06/2016, dep. 11/08/2016), n.16988

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22807-2014 proposto da:

S.A. SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNI SCARPA giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 277/2013 della COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA,

depositata il 01/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/06/2016 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

uditi per il ricorrente gli Avvocati LUCISANO e SCARPA che hanno

chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato COLLABOLLETTA che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La contribuente S.A. SPA, gestore di depositi fiscali IVA, ha impugnato l’invito al pagamento n. 2009/3972 di IVA ed altro relativo agli anni di imposta 2004, 2005 e 2006, per violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, notificatole dall’Agenzia delle Dogane, nella qualità di responsabile in solido con la società Carlino Diffusione SPA destinataria della merce, e scaturente, nella prospettazione dell’Ufficio, dall’omessa introduzione fisica, nei depositi gestiti dalla stessa società nell’interesse di propri clienti, di merce di provenienza extracomunitaria, circostanza che, per l’Ufficio, aveva reso illegittimo l’assolvimento dell’IVA mediante autofatturazione ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis.

2. La pronuncia di primo grado, sfavorevole alla contribuente, è stata confermata in appello dalla sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 277/15/13, depositata il 01.07.2013 e non notificata.

Il giudice di appello, avendo accertato che l’utilizzo del deposito IVA era stato solo virtuale in quanto la merce era stata consegnata direttamente ai destinatari, riteneva sussistente la violazione e legittimo e correttamente richiesto il pagamento dell’IVA, oltre interessi, al depositante.

3. La società Saima Avandero ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, corroborato da memoria ex art. 378 c.p.c.. L’Agenzia delle dogane ha partecipato all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Con il primo motivo la ricorrente censura a mancata applicazione della disciplina giuridica che regola il caso in esame e la violazione e falsa applicazione della L n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 7 e art. 113 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

La censura è volta avverso la prima statuizione, con la quale la CTR ha esaminato il motivo di impugnazione con il quale la società, secondo quanto riportato nella impugnata sentenza “ha eccepito la pretesa “anomalia” della procedura adottata… dalla Agenzia delle dogane, avendo quest’ultima emesso atti di integrazione di precedenti inviti a pagamento (questi ultimi tutti tempestivamente impugnati) privi di autonoma motivazione. A parere dell’appellante, l’Ufficio finanziario avrebbe dovuto correggere, in sede di autotutela, i precedenti inviti a pagamento e non già emettere autonomi atti di integrazione” e lo ha respinto perchè “come formulato il motivo di gravame appare non meritevole di condivisione alcuna” in quanto l’appellante si limitata alla mera enunciazione di un preteso principio senza neppure indicare il riferimento normativo dal quale il principio avrebbe dovuto discendere (fol. 2 della sent.).

1.2. La censura è inammissibile e va respinta.

1.3. Invero, nonostante il chiaro contenuto della statuizione trascritta, che denuncia un’evidente insufficienza nella formulazione del motivo di appello (laddove rimarca “come formulato”), la ricorrente, pur ammettendo di non avere esplicitato nel ricorso le specifiche norme alle quali avesse inteso far richiamo, e pur prospettando una doglianza in merito alla motivazione dell’invito al pagamento, che prima rade non sembra coincidere con la sollecitazione a provvedere in autotutela di cui parla la CTR nella sentenza, non si è premurata nè di trascrivere il motivo di appello, nè l’invito al pagamento, necessari per vagliare la ammissibilità e la fondatezza del motivo, con evidenti ricadute negative sulla ammissibilità del motivo.

2.1. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce il vizio di omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio e la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. La CTR, a dire della ricorrente, non avrebbe esaminato tutte le dichiarazioni rese dal trasportatore T.G. e da altri autisti alle sue dipendenze, da cui sarebbe emerso che la merce trasportata, o almeno parte, transitava presso il deposito della Saima in (OMISSIS) per l’apertura delle porte dei containers, il cambio del piombo e la registrazione dei documenti.

2.2. Il motivo è inammissibile perchè, come già ritenuto da questa Corte in caso sovrapponibile (Cass. nn. 15995/2015, 16109/2015) la censura non è autosufficiente, là dove richiama le dichiarazioni degli autisti dipendenti della ditta T., senza allegare gli elementi dai quali si evinca che tali dichiarazioni siano state oggetto di discussione fra le parti, perchè dedotte in primo grado e reintrodotte in appello.

Il motivo è altresì articolato su fatti privi di decisività.

Invero le dichiarazioni di T. e di E.G. riportate, che la società assume non siano state adeguatamente considerate dalla Commissione, riferiscono in generale soltanto sul transito e sulla breve sosta degli automezzi, per di più soltanto “qualche volta”, presso il deposito della ricorrente, non già sull’immagazzinamento o sullo stoccaggio nel deposito della merce trasportata per conto della Carlino Diffusione SPA.

3.1. Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Secondo la ricorrente la CTR aveva erroneamente escluso la rilevanza dell’assolvimento dell’IVA interna, poichè il mancato pagamento dell’IVA all’importazione era stato compensato proprio dall’assolvimento mediante autofatturazione, dovendosi altrimenti ipotizzare una doppia imposizione.

3.2. Il terzo motivo è fondato e va accolto.

3.3.1. Giova premettere la ricostruzione della normativa che regola la fattispecie, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).

3.3.2. La disciplina dei depositi IVA è affidata al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50 bis introdotto dalla L. 18 febbraio 1997, n. 28, che ha recepito la direttiva n. 95/7/CE, concernente semplificazioni in materia d’imposta sul valore aggiunto sui traffici internazionali, al fine di evitare un trattamento fiscale deteriore in relazione ai beni comunitari rispetto a quello riservato ai beni provenienti da Paesi terzi: ciò in quanto, a seguito dell’abbattimento delle barriere tra gli Stati membri, soltanto per le merci extraeuropee era prevista la possibilità dell’immagazzinamento nel territorio dell’Unione, senza assolvere i dazi e le imposte nazionali, come l’IVA. Scopo della norma è stato di evitare di assoggettare ad IVA tutti I singoli passaggi in caso, in particolare, di cessioni intracomunitarie e di immissione in libera pratica di beni non comunitari: l’introduzione nei depositi all’uopo istituiti comporta il differimento dell’obbligo di assolvimento dell’imposta fino al momento dell’estrazione delle merci per l’immissione in consumo e pone l’obbligo direttamente a carico dell’ultimo acquirente (il comma 6 della norma stabilisce al riguardo che…la base imponibile è costituita dal corrispettivo o valore relativo all’operazione non assoggettata all’imposta per effetto dell’introduzione ovvero, qualora successivamente i beni abbiano formato oggetto di una o più cessioni, dal corrispettivo o valore relativo all’ultima di tali cessioni, in ogni caso aumentato, se non già compreso, dell’importo relativo alle eventuali prestazioni di servizi delle quali i beni stessi abbiano formato oggetto durante la giacenza fino al momento dell’estrazione).

3.3.3. I depositi fiscali sono luoghi fisici, ubicati sul territorio italiano, adibiti alla custodia di beni non destinati alla vendita al minuto nei locali dei medesimi depositi, in cui le merci entrano e stazionano e da cui escono al momento dell’estrazione: essi si differenziano sia dal deposito doganale (contemplato dagli artt. 98 e ss. codice doganale comunitario), inteso come regime doganale, sia dal deposito fiscale per le accise, configurato come impianto, in cui avvengono la fabbricazione, la lavorazione, la trasformazione e la detenzione dei prodotti soggetti ad accisa, in regime sospensivo (D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 1, comma 2, lett. c), entrambi, peraltro, considerati depositi IVA dall’art. 50-bis. La fisicità del deposito IVA e la necessità dell’inserimento fisico in esso dei beni emergono inequivocabilmente già dalle scelte semantiche del legislatore, che ha impiegato verbi come introdurre, il quale evoca l’attività fisica dell’immettere dentro qualcosa e lemmi come custodia che suggerisce il rapporto, anch’esso fisico, con la cosa che ne è oggetto (conformi, nel senso che la materiale introduzione delle merci nel deposito è richiesta dall’art. 50-bis, anche se non esplicitamente prevista, vedi, fra varie, Cass. nn. 2697/2014, 20958/2013, 11642/2013, 12263/2010).

3.3.4. Nè valgono a smentire queste conclusioni le norme d’interpretazione autentica del D.L. n. 331 del 1993, art. 50-bis, comma 4, succedutesi nel tempo, per mezzo del D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5-bis, come convertito, successivamente modificato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, secondo cui, nel testo da ultimo novellato, l’Introduzione s’intende realizzata anche negli spazi limitrofi al deposito IVA, senza che sia necessaria la preventiva introduzione della merce nel deposito.

La norma, difatti, si riferisce alla sola lett. h) dell’art. 50-bis, comma 4 ossia alle prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito IVA, non già alle operazioni, rilevanti nel caso in esame, di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA, oggetto della lett. b) medesimo comma. E’ proprio la circostanza che si abbia riguardo a prestazioni di servizi, tra le quali sono annoverate quelle di perfezionamento e di manipolazione, a richiedere la disponibilità di spazi ulteriori rispetto al solo deposito, rendendo logico il riferimento soltanto a tale ipotesi della norma interpretativa.

La disposizione interpretativa in questione, in definitiva, in luogo di smentire, conferma la necessità dell’introduzione fisica nel deposito dei beni non comunitari immessi in libera pratica, ossia dei beni che hanno acquisito lo status di merce che può circolare liberamente all’interno dell’Unione europea per effetto dell’assolvimento delle procedure doganali e del pagamento dei relativi dazi, per evitare l’immediato assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto necessaria per la loro immissione in consumo, ossia per il loro inserimento nel circuito commerciale nazionale: è occorsa un’espressa disposizione, dettata dalla peculiarità del suo oggetto, volta ad ampliare la nozione di introduzione della merce nel deposito (v. Cass. n. 15980/2015).

3.3.5. Così ricostruito il quadro normativo del diritto interno, va considerato che in tema è intervenuta la CGUE, con la sentenza 17 luglio 2014, in causa C-272/13, Equoland Soc.coop. a r.I., la quale ha fissato i seguenti principi:

1) l’art. 16, par. 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977; in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2006/18/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006, nella sua versione risultante dall’articolo 28 quater della sesta direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che subordini la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini di tale imposta siano fisicamente introdotte nel medesimo.

2) La sesta direttiva 77/388, come modificata dalla direttiva 2006/18, deve essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante u n’a utofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo.

3.3.6. Consegue ai principi formulati dalla Corte di Giustizia che, ferma la legittimità dell’obbligo previsto dalla legislazione nazionale di procedere alla effettiva introduzione delle merce nel deposito fiscale IVA per potersi avvalere del differimento della corresponsione dell’IVA dovuta al momento dell’importazione della merce, tuttavia l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’IVA all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sia pur tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione (Cass. nn. 19749/2014, 16109/2015, 15988/2015, 17815/2015 e altre).

3.3.7. La natura formale della violazione, qualora l’assolvimento dell’IVA sia avvenuto con le modalità individuate dalla Corte di giustizia, tuttavia non esclude la irrogazione di sanzioni.

La Corte di giustizia (par. 33, 35, 46-48 della sentenza Equoland) ha, infatti, confermato la legittimità della previsione da parte di uno Stato membro, nella propria normativa nazionale, di sanzioni appropriate, volte a penalizzare il mancato rispetto dell’obbligo di introdurre fisicamente una merce importata nel deposito fiscale al fine di garantire l’esatta riscossione dell’IVA all’importazione e di evitare l’evasione (cfr. sul punto Cass. nn. 15988/2015, 17814/2015, 10911/2016).

3.4. Pertanto, il terzo motivo va accolto alla luce di tali principi, in ragione della natura delle sentenze interpretative della CGUE, aventi efficacia erga omnes rispetto a vicende omogenee a quelle esaminate in sede di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE e alla rilevabilità ex officio delle questioni che involgono l’applicazione del diritto UE al fine di evitare possibili contrasti fra diritto interno e diritto sovranazionale (Cass. nn. 13065/2006, 16130/2007; Cass. SSUU n. 26984/2006).

3.5. La CTR ha erroneamente escluso la rilevanza dell’assolvimento dell’IVA interna all’atto dell’estrazione della merce dal deposito ove era stata inserita virtualmente, e ciò in contrasto con i principi espressi dalla Corte di giustizia nella sentenza Equoland – Corte giust. 17 luglio 2014, C- 272/13 – integralmente recepiti da questa Corte nelle sentenze rese in situazioni analoghe – v., tra le altre, Cass. nn. 17814/2015, 17815/2015, 15980/2015, 15995/2015, 16109/2015).

3.6. Ne discende che la CTR, in particolare, avendo già accertato che non vi fu la fisica introduzione della merce nel deposito, dovrà valutare in sede di rinvio la rilevanza e la regolarità dell’assolvimento dell’imposta nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante l’autofatturazione, disciplinata dal D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 6, e la registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo, in ragione di quanto indicato ai par. 39 e 42 della sentenza Equoland.

4.1. Sulla base di tali conclusioni il ricorso va accolto sul terzo motivo, inammissibili i motivi primo e secondo, e non essendo possibile decidere nel merito, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Campania in altra composizione per nuovo esame alla luce dei principi espressi e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

4.2. Non rileva nel procedimento in esame la questione pregiudiziale sollevata dinanzi alla Corte di Giustizia con l’Ordinanza di questa Corte n. 9278/2016.

4.3. Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte di cassazione,

– accoglie il ricorso sul terzo motivo, inammissibili i motivi primo e secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Commissione Tributaria Regionale della Campania in altra composizione.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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