Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16987 del 09/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 16987 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA
sul ricorso 3500-2011 proposto da:
LUBRANO ROSA LBRRS056S59G964Z, domiciliata in ROMA,
PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato PORZIO CALCEDONIO, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2013
1545

contro

PALMESE FRANCESCO, RICCOBENE ANTONINO, elettivamente
domiciliati in ROMA, PIAllA DEL POPOLO 18, presso lo
studio dell’avvocato RIZZO NUNZIO, che li rappresenta

Data pubblicazione: 09/07/2013

e difende giusta delega in atti;
– controricorrentiavverso la sentenza n. 4096/2010 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depnsitntA il 06/0W/2010

r.g.n. 5187 /09i

udita le relazione della causo svolta nella pubblica

ARIENZO;
udito l’Avvocato PRINICIPI EMANUELE per delega PORZIO
CALCEDONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
figettO del

riL0L5o.

udienza del 07/05/2013 dal Consigliere Dott. ROSA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 6.9.2010, in parziale riforma della
decisione di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato a Lubrano
Rosa il 28.2.2005 e, per l’effetto, condannava Palmese Francesco e Riccobene Antonino
alla riassunzione della stessa entro tre giorni o, in mancanza, al pagamento di un’indennità

giudice di primo grado avesse considerata affetta da genericità la lettera di contestazione
del 28.2.2005 che aveva preceduto il recesso per giustificato motivo oggettivo, connesso
alla perdita di un importante cliente dello studio legale in cui lavorava come segretaria la
Lubrano, ma che, in ogni caso, i datori di lavoro non avevano dedotto o provato in quale
modo la perdita del cliente avesse inciso sull’attività dello studio, né le perdite idonee a
giustificare un riassetto organizzativo.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Lubrano, con unico motivo.
Resistono il Palmese ed il Riccobene, con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di impugnazione, la Lubrano denunzia violazione e falsa applicazione,
in relazione all’art. 360, n. 3 e 5, c.p.c., degli artt. 2 e 3 della legge 604/66, sostenendo che
la lavoratrice aveva richiesto la specificazione dei motivi, non risultando in alcun modo
intellegibili i medesimi dalla lettera di licenziamento e che proprio la decisione della Corte
di Appello, che aveva rilevato la genericità delle deduzioni dei datori di lavoro ai fini della
individuazione del motivo oggettivo del recesso, confermava la tesi dell’inefficacia dello
stesso come prospettata ai sensi dell’art. 2, secondo comma, della legge 604/66.
Il ricorso è infondato.
La censura si fonda su una erronea sovrapposizione di piani diversi, essendo la
motivazione del licenziamento funzionale alla tutela del principio di immodificabilità della
contestazione dei motivi del recesso, nel senso che delimita la materia del contendere,
1

pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Riteneva che erroneamente il

precludendo al datore di lavoro di introdurre in giudizio fatti nuovi o elementi diversi, se
non meramente confermativi o di contorno di quelli già esposti. Ciò non implica, tuttavia,
che la motivazione debba essere specificata in tutti i suoi elementi di fatto e di diritto
all’atto del licenziamento, essendo, invece, sufficiente che sia indicata la fattispecie di
recesso nei suoi tratti e circostanze di fatto essenziali, in modo tale che in sede di
impugnazione e di giudizio non possa essere invocata una fattispecie totalmente diversa,

puntualmente indicati nella motivazione (v. Cass. 17.1.1998 n. 414).

E’ dunque inefficace

il licenziamento solo ove il datore di lavoro, a seguito della richiesta del lavoratore
licenziato, ometta di comunicargli tempestivamente (entro quindici giorni dalla ricezione
dell’atto di interpello) i motivi del suo recesso, in tal modo violando la prescrizione dettata
dall’art. 2 della legge n.604 del 1996, non diversamente dall’ipotesi in cui si limiti ad una
comunicazione che, per la sua assoluta genericità, sia del tutto inidonea e quindi risulti
essere equivalente alla mancata comunicazione.
Ma la dichiarazione di licenziamento quale atto recettizio unilaterale di natura negoziale a
contenuto patrimoniale, finalizzato alla cessazione del rapporto di lavoro, è soggetta, ex
art. 1324 c. c., alle regole dettate per i contratti e quindi anche ai canoni interpretativi validi
per questi ultimi, con la conseguenza che la sua motivazione in fatto è riservata
all’interpretazione del giudice del merito, sindacabile in cassazione solo per violazione dei
canoni ermeneutici di cui agli art. 1362 e ss. cc . (cfr. Cass. 28.7.2003 n. 11592, Cass.
29.8.2003 n. 12679; Cass. 15.3.2004 n. 5234). Con motivazione corretta dal punto di vista
logico e tale da evidenziare il rispetto dei principi di diritto sopra enunciati, la Corte
territoriale ha ritenuto che non fosse da ritenere generica la indicazione dei motivi del
recesso che avevano evidenziato il notevole calo di lavoro, già noto alla Lubrano, nella
sua qualità di segretaria dello studio professionale, come tale al corrente della perdita di
un importante cliente che aveva determinato la riduzione del carico lavorativo. Ha ritenuto
che proprio la sufficiente indicazione dei motivi del recesso rendesse superflua la
comunicazione dei motivi già compiutamente contenuti nella comunicazione del
licenziamento.

2

mentre sia sempre possibile precisare quella dedotta esplicitando elementi di fatto non

Su distinto piano si pone, invece, la necessità che il datore di lavoro, nel corso del giudizio
assolva all’onere probatorio su di lui incombente, non di giustificare i criteri di gestione
dell’azienda, che nel caso specifico avevano fatto ritenere opportuna la soppressione del
posto, con affidamento della mansioni svolte dalla Lubrano ai praticanti dello studio, ma,
nei casi di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, come nella specie,
di provare la funzionalità della scelta a fronteggiare esigenze obiettive e non contingenti,

stato reiteratamente affermato da questa Corte che il licenziamento individuale per
giustificato motivo oggettivo, ex art. 3 della legge 15 luglio 1996, n. 604, è determinato non
da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma dalla necessità di
procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore,
soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto,
ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti; il lavoratore
ha, quindi, il diritto che il datore di lavoro (su cui incombe il relativo onere) dimostri (in
giudizio) la concreta riferibilità del licenziamento individuale ad iniziative collegate ad
effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo, e non ad un mero incremento di
profitti, e che dimostri, inoltre, l’impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre
mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale (Cfr. Cass.
2.10.2006n. 21282; Cass. 25.3.2011 n. 7006; Cass. 26.9.2011 n. 19616).
Su tale piano è stato ritenuto carente l’assolvimento dell’onere probatorio del datore di
lavoro, ma ciò, come evidenziato, attiene alla fase processuale successiva all’intimazione
del recesso, che, per quanto sopra detto, va valutato quanto alla completezza formale
dell’indicazione delle ragioni solo a tutela del principio di immodificabilità della
contestazione dei motivi del recesso, essendo riferibile al diverso piano dell’onere
probatorio l’indicazione delle fonti di prova della giustificazione dello stesso ed, in tema di
recesso per giustificato motivo oggettivo, la dimostrazione della reale sussistenza della
ragione addotta a suo fondamento e della inesistenza di posizioni lavorative valutabili ai
fini una diversa collocazione del lavoratore nel mutato contesto aziendale.
IFicorso va, pertanto, rigettato.

3

rispetto alle quali sia preclusa ogni diversa collocazione della lavoratore. Al riguardo è

Le spese di lite cedono a carico della ricorrente per il principio della soccombenza e sono
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del

professionali,oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 7.5.2013

presente giudizio, liquidate in euro 50,00 per esborsi ed in euro 3000,00 per compensi

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