Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16986 del 09/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 16986 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA
sul ricorso 3480-2011 proposto da:
MUSUMARRA

ORAZIO

MSMRZ053C01C351N,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO 14-A, presso lo
studio dell’avvocato ALMA GIUSEPPE MARIA,
rappresentato e difeso dagli avvocati PIETRO FERLITO,
PETINO PLACIDO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
contro

1544

AVENANCE ITALIA S.P.A. 08746440018, in persona del
legale

rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 38, presso lo

Data pubblicazione: 09/07/2013

studio dell’avvocato SULAS GAVINA MARIA, rappresentata
e difesa dall’avvocato GIUCASTRO PAOLO, giusta delega
in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 408/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/05/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di CATANIA, depositata il 12/07/2010 r.g.n. 754/08;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 12.7.2010, la Corte di Appello di Catania rigettava il gravame proposto
da Musumarra Orazio, confermando la pronunzia di primo grado, con la quale era stata
rigettata la domanda intesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento
intimato al predetto, addetto al servizio mensa, per fatti avvenuti in data 31.3.2005 e

Rilevava la Corte del merito che la contestazione, articolata in due episodi da ritenersi
verificati nello stesso contesto temporale e relativi alle frasi profferite all’indirizzo di
dipendenti gerarchicamente sovraordinati, con istigazione alla insubordinazione nei
confronti di altri lavoratori, nonché con tono minaccioso e violenza sui beni aziendali, era
riferita a condotta idonea a configurare insubordinazione e tale da costituire giusta causa
di licenziamento. Inoltre, non era emerso alcun intento discriminatorio nei confronti della
lavoratrice in cui difesa il Musumarra era intervenuto, sicchè doveva ritenersi
irrimediabilmente pregiudicato il vincolo fiduciario tra le parti del rapporto ed assorbita ogni
altra questione proposta.
Per la cassazione della decisione ricorre il Musumarra, con sette motivi.
Resiste, con controricorso, l’Avenance s.p.a.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il Musumarra denunzia l’omessa e comunque l’insufficiente e
contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., sul punto controverso e
decisivo per il giudizio relativo alla effettiva data di accadimento degli episodi contestati ed
al contenuto dei fatti avvenuti in tale data.
Assume che in data 31.3.2005 si erano svolti fatti diversi, di natura strettamente sindacale,
cui non avevano assistito i testi escussi in relazione ad episodio verificatosi il 29.3 allorchè
il ricorrente era intervenuto nella vicenda che aveva interessato la dipendente Falsaperla
Rosa, la cui deposizione, unitamente a quelle del collega Magri, era stata
ingiustificatamente ritenuta vaga e contraddittoria rispetto a quelle, invece ritenute
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contestati con lettera del 5.4.2005.

attendibili, dei testi Torrisi e Scuderi. Rileva, inoltre, che sempre in modo erroneo erano
state pretermesse a fini probatori dichiarazioni rese alla Forza pubblica, che pure
dovevano essere utilizzate, sia pure come indizi, nella complessiva valutazione delle
risultanze acquisite. Riporta il contenuto anche delle giustificazioni rese dal Musumarra in
sede di audizione orale, nel corso della quale veniva precisata la diversa 00 data dei fatti
di cui alla lettera di contestazione.

n. 5, c.p.c., in ordine all’attendibilità dei testi Torrisi, Scuderi e Privitera, sia per il triplice
cambio di versione da parte del primo su circostanza fondamentale della causa, sia per
essere contraddetta la deposizione del secondo da molteplici indizi concordanti, che ne
evidenziavano una incertezza complessiva anche relativamente alla presenza dello
Scuderi all’episodio ascritto al Musumarra, che veniva riferito come svoltosi alla presenza
del capocuoco Torrisi.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della violazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. ,
dell’art. 421, comma 2, prima parte, c.p.c., in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., e 111
della Costituzione, non essendo stato adoperato ai fini della decisione ogni elemento
istruttorio utile, anche al di fuori dei limiti previsti dal codice civile, e, comunque, del vizio
motivazionale in ordine alla disapplicazione dell’art. 421 c.p.c. circa un uso esaustivo del
materiale probatorio o indiziario agli atti.

Con il secondo motivo, lamenta omessa ed insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360,

;

In particolare, evidenzia che non era stata ammessa c.t.u. che avrebbe chiarito lo stato di C:5
salute della Falsaperla in soccorso della quale era intervenuto esso ricorrente.
Con il quarto motivo, ascrive alla sentenza impugnata insufficiente motivazione circa il
carattere di vaghezza e contraddittorietà attribuito dalla Corte del merito alle deposizioni
dei testi Magrì e Falsaperla, che avevano negato di essere stati presenti a discussione tra
Scuderi e Musumarra il 31.3.2005.
Con il quinto motivo, deduce la mancata prova, da parte della società, dei fatti menzionati
nella lettera di contestazione disciplinare del 5.4.2005, falsa applicazione dell’art. 2697 c.
c., dell’art. 5 della I. 604/66, dell’art. 2119 c. c. e dell’art. 1 I. 604/66, nonchè violazione
dell’art. 18 e dell’art. 7 I. 300/70, anche in relazione ai doveri di correttezza ex art. 1175 c.
c., in relazione all’art. 360, n.5, c.p.c., rilevando la mancanza di ogni considerazione in
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ordine al mancato assolvimento dell’onere della prova da parte del datore di lavoro e
censurando la decisione, che aveva ritenuto provato quanto riferito da testi dell’azienda,
invece inattendibili.
Con il sesto motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., rileva l’ omessa motivazione
su fatti rilevanti per la valutazione di conformità della sanzione al principio di
proporzionalità e quindi decisivi per il giudizio, evidenziando il mancato accertamento delle

mansioni attribuitile, che richiedevano la sua presenza nelle celle frigorifere e contesta che
sia stata adeguatamente considerata la proporzionalità della sanzione irrogata, tenuto
conto del fatto che il Musumarra era intervenuto in difesa della lavoratrice lesa nel diritto
costituzionale alla salute e per tutelare la stessa, con evidente attenuazione della rilevanza
della condotta a livello di intenzionalità
Infine, con il settimo motivo, denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1455,
1564, 2106, 2119 c. c. e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., sotto il profilo del
principio di proporzionalità della sanzione irrogata.
Il ricorso è infondato.
Il primo e secondo motivo evidenziano una non corretta valutazione delle risultanze
processuali, in relazione ad una asserita prevalenza da conferire a dichiarazioni ritenute
ingiustificatamente meno attendibili rispetto ad altre al contrario valorizzate dal giudicante,
che non avrebbe tenuto conto anche del mutamento di versione da parte del teste Torrisi.
In realtà le divergenze ricostruttive imputate a quest’ultimo attengono ad una mera e
comprensibile imprecisione temporale dell’episodio descritto, che, tuttavia, in base al
complesso degli ulteriori elementi acquisiti nel corso del giudizio, sono state ritenute di
marginale significatività nella complessiva convergenza delle molteplici acquisizioni
processuali, sostanzialmente univoche, ritenute idonee a conferire supporto probatorio
alla contestazione disciplinare posta a base delle sanzione espulsiva. D’altronde, la
e~rie,a^. the íi munurnarra non aVfObb0 3~0 motivo di riferire eltra vicenda,

verfficatasi a distanza di due giorni da quella di cui alla contestazione disciplinare, in sede
di giustificazioni, se non in ragione della reale sequenza temporale dei fatti riferiti – diversi
quanto allo loro collocazione temporale da quanto allo stesso contestato – non appare
particolarmente significativa, a fronte della ricostruzione articolatamente effettuata dal
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affezioni di cui soffriva la Falsaperla a fini di valutazione di compatibilità delle stesse con le

giudice del gravame con riferimento alle deposizioni rese dai testi escussi, che hanno
dichiarato di avere assistito ai fatti, confermando la sequenza degli eventi posti a base
della sanzione. Deve, poi, anche disattendersi il rilevo che sarebbero state pretermesse a
fini probatori dichiarazioni rese alla Forza pubblica, in quanto è principio pacifico quello
secondo cui, ai fini del convincimento del giudice, i fatti extraprocessuali (dichiarazioni
rese da soggetti coinvolti nella vicenda alla Forza pubblica) costituiscono solo fonte
probatoria indiziaaTiberamente valutabile dal giudice. Al riguardo deve osservarsi che

il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la
scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la
motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel
porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non
incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza
essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive,
dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non
menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. ,
tra le tante, Cass. 12362/2006 e, più recentemente, Cass. 21.7.2010, n. 17097).
Deve, peraltro, aggiungersi che il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza,
legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art.
360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., è configurabile soltanto quando dall’esame del
ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata
emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa
decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza
medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli
elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità
rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato
attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di
ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei
convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova
pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di
cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di
merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame
(al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è

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l’esame delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione delle risultanze della prova,

sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio
convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le
argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr. Cass. 2.2.2007 n. 2272; Cass.
18.6.2007 n. 14084, Cass. 6.7.2007 n. 15264).
Quanto al rilievo, formulato con il terzo motivo, della mancata ammissione di c.t.u. che
avrebbe chiarito lo stato di salute della dipendente Falsaperla Rosa, in cui difesa era

istruttorio (e non una prova vera e propria) sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata
al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale
la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario giudiziario e la motivazione
dell’eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale
delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente
considerato effettuata dal suddetto giudice (cfr. Cass. 5.7.2007 n. 15219). Nella specie,
la Corte territoriale, con adeguata e logica motivazione ha dato conto della valutazione
compiuta ed ha implicitamente mostrato di ritenere superfluo ogni accertamento tecnico, in
mancanza di alcun elemento probatorio che rendesse necessario il ricorso a tale ulteriore
mezzo istruttorio. Più in generale, con riguardo al profilo di censura sull’esercizio dei
poteri istruttori officiosi, la Corte di cassazione ha più volte ribadito che nel rito del lavoro,
ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 cod. proc. civ., l’esercizio del potere
d’ufficio del giudice, pur in presenza di già verificatesi decadenze o preclusioni e pur in
assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non è meramente discrezionale, ma
si presenta come un potere — dovere, sicchè il giudice del lavoro non può limitarsi a fare
meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova,
avendo l’obbligo — in ossequio a quanto prescritto dall’art. 134 cod. proc. civ., ed al
disposto di cui all’art.. 111, primo comma, Cost., sul “giusto processo regolato dalla legge”
di esplicitare le ragioni per le quali reputi di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o,
nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritenga, invece, di non farvi ricorso. Tali
poteri non possono in ogni caso essere esercitati sulla base del sapere privato del giudice,
con riferimento a fatti non allegati dalle parti o non acquisiti al processo in modo rituale,
dandosi ingresso alle cosiddette prove atipiche, ovvero ammettendosi una prova contro la
volontà delle parti di non servirsi di detta prova o, infine, in presenza di una prova già
espletata su punti decisivi della controversia, ammettendosi d’ufficio una prova diretta a
sminuirne l’efficacia e la portata, o allorquando, infine, si richieda non tempestivamente e
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intervenuto il Musumarra, deve osservarsi che la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo

non ritualmente la prova tanto da ritardare — in violazione del principio della ragionevole
durata del processo — i tempi della decisione (sui poteri istruttori del giudice del lavoro cfr.
Cass. Sez. Un., 17 giugno 2004 n. 11353, e, più di recente, ex plurimis, Cass. 5 febbraio
2005 n. 2379, nonché, da ultimo, Cass. 5 novembre 2012 n.18924).
I rilievi in ordine alla valutazione espressa dal giudice del merito circa l’inattendibilità delle
deposizioni rese da alcuni dei testi appaiono poi generici e non idonei a inficiare l’impianto

elemento dotato del carattere di decisività capace, se preso in considerazione, di condurre
a diversa soluzione della controversia.
Il quinto motivo, per la sua formulazione, è inidoneo a censurare validamente la decisione
impugnata, in quanto sostanzialmente l’affermazione della mancanza di prova da parte del
datore, oneratone, si ricollega all’apodittico assunto dell’inattendibilità dei testi di tale parte,
valendo al riguardo le considerazioni sopra esposte e l’ulteriore rilievo, di carattere
generale, che il principio dell’onere della prova non implica affatto che la dimostrazione dei
fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da
colui che è gravato dal relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori
acquisiti al processo, poiché nel vigente ordinamento processuale vige il principio di
acquisizione secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia
la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte,
indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa
provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell’altro e, quindi, senza
che possa escludersi l’utilizzazione di una prova fornita da una parte per trarne elementi
favorevoli alla controparte (cfr. , tra le altre, Cass. 9.6.2008 n.15162, Cass. 11.5.2007 n.
10847, Cass. 18.4.2006, n. 8951).
Il sesto ed il settimo motivo attengono entrambi, nella sostanza, al giudizio di
proporzionalità della sanzione ed il rilievo circa il mancato approfondimento delle affezioni
di cui soffriva la lavoratrice in cui difesa era intervenuto il ricorrente, oltre a rifluire nelle
considerazioni svolte in ordine alla libera determinazione del giudice di disporre
accertamenti tecnici, non propone questione capace di incidere in termini decisivi sulla
valutazione del livello della intenzionalità della condotta, ai fini dell’attenuazione del
giudizio negativo della condotta disciplinarmente rilevante. La gravità di quest’ultima e la
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motivazionale posto a sostegno della decisione, non essendo stato indicato alcun

sua idoneità a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario sono state valutate attraverso
un accertamento in concreto da parte del giudice del merito della reale entità e gravità del
comportamento addebitato al dipendente, nonché del rapporto di proporzionalità tra
sanzione e infrazione, in conformità al principio secondo il quale occorre sempre che la
condotta sanzionata sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa, tenendo conto
della gravità del comportamento in concreto del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo
della colpa o del dolo, con valutazione in senso accentuativo rispetto alla regola generale

tale ultimo riguardo, Cass. 4.3.2013 n. 5280; cfr. anche Cass. 13.2.2012 n. 2013).
Con riguardo all’ultima censura, sostanzialmente intesa a rilevare la violazione del criterio
della proporzionalità da parte del giudice del merito, la sua prospettazione risulta tale da
devolvere alla Corte questioni non esaminabili nella sede di legittimità. E’ stato al
riguardo precisato (Cass., n. 25743 del 2007) che il giudizio di proporzionalità o
adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di
merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al
lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo
tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere
valutato, come già detto, in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non
scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima sanzione
disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli
obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la
prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.). Tale giudizio è rimesso al
giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da
adeguata motivazione, dovendo ritenersi (Cass. n. 21965 del 2007) che spetta al giudice
di merito procedere alla valutazione della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto
alla condotta addebitata al lavoratore, con riferimento a tutte le circostanze del caso
concreto, secondo un apprezzamento di fatto che non è rinnovabile in sede di legittimità,
bensì censurabile per vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (cfr.,
altresì, ex plurimis, Cass. n. 6823 del 2004).
Alla stregua delle svolte argomentazioni, deve pervenirsi al rigetto del ricorso.
Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
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della “non scarsa importanza” dettata dall’art. 1455 cod. civ. (Cfr., da ultimo, in relazione a

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in euro 50,00 per esborsi ed in euro 3000,00 per compensi professionali,
oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma il 7.5.2013

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