Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16985 del 11/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 11/08/2016, (ud. 27/06/2016, dep. 11/08/2016), n.16985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13839-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

SAIMA AVANDERO SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIOVANNI SCARPA giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 167/2011 della COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA,

depositata il 14/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/06/2016 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito per il ricorrente l’Avvocato COLLABOLLETTA che ha chiesto

l’accoglimento;

uditi per il controricorrente gli Avvocati LUCISANO e SCARPA che

hanno chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La contribuente Saima Avandero SPA, gestore di depositi fiscali IVA, ha impugnato una pluralità di inviti al pagamento dell’IVA all’importazione, notificatile dall’Agenzia delle dogane quale responsabile in solido con la società destinataria della merce Kuvera SPA, volti al recupero dell’imposta, scaturenti, nella prospettazione dell’Ufficio, dall’omessa introduzione fisica, nei depositi gestiti dalla stessa società nell’interesse di propri clienti, di merce di provenienza extracomunitaria, circostanza che, per l’Ufficio, aveva, reso illegittimo l’assolvimento dell’IVA mediante autofatturazione ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis.

2. La sentenza di primo grado, favorevole alla contribuente, è stata confermata dalla Commissione Tributaria Regionale con la sentenza n. 167/45/11, depositata il 14.04.2011 e non notificata, che ha respinto l’appello dell’Ufficio. Il giudice di appello, pur ritenendo che l’Amministrazione avesse assolto la prova della mancata introduzione fisica delle merci nel deposito, ha fatto leva in diritto, stante l’avvenuto assolvimento dell’IVA mediante autofatturazione, sulla norma interpretativa del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4 convertito dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, dovuta al D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5-bis, convertito dalla L. 28 gennaio 2009, n. 2, giungendo alla conclusione che – alla stregua di tale normativa – il differimento dell’obbligo di corrispondere l’IVA all’importazione, correlato all’introduzione della merce nel deposito Iva, non implicava necessariamente l’introduzione fisica ed ha osservato che l’autofatturazione, comunque, non dava luogo ad una evasione d’imposta.

3. Avverso detta sentenza, l’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. La contribuente replica con controricorso e deposita memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Con i due motivi l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, conv. in L n. 427 del 1993, come novellato dal D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5 bis convertito dalla L. n. 2 del 2009 (primo motivo) e la contraddittoria motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio costituito dalla verifica, ai fini doganali, della sussistenza del presupposto fattuale della introduzione fisica e materiale delle merci nel deposito IVA (secondo motivo).

1.2. Quanto al primo motivo, secondo l’Agenzia, il differimento dell’obbligo di pagare l’imposta sul valore aggiunto postula l’introduzione fisica della merce nei depositi fiscali, a nulla rilevando, in argomento, la norma d’interpretazione autentica introdotta nel 2008, richiamata in narrativa. Sostiene l’Agenzia che l’avere assolto VIVA mediante autofatturazione, qualora non vi sia stata introduzione fisica della merce del deposito fiscale, non può costituire una giustificazione in quanto l’IVA avrebbe dovuto essere corrisposta all’atto dell’importazione e non sterilizzata mediante autofatturazione; esclude che l’invito al pagamento determini una doppia imposizione.

1.3. Con il secondo motivo la Agenzia lamenta la contraddittorietà della motivazione, laddove la Commissione Regionale dapprima ha ritenuto provata, sulla scorta dell’indagine svolta dalla G. di F., la mancata introduzione materiale delle merci nel deposito fiscale IVA e poi, nonostante ciò, ha escluso la legittimità dell’operato dell’Amministrazione.

2.1. Entrambi i motivi vanno respinti.

2.2.1. Giova premettere la ricostruzione della normativa che regola la fattispecie, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).

2.2.2. La disciplina dei depositi Iva è affidata al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50 bis introdotto dalla L. 18 febbraio 1997, n. 28, che ha recepito la direttiva n. 95/7/CE, concernente semplificazioni in materia d’imposta sul valore aggiunto sui traffici internazionali, al fine di evitare un trattamento fiscale deteriore in relazione ai beni comunitari rispetto a quello riservato ai beni provenienti da Paesi terzi: ciò in quanto, a seguito dell’abbattimento delle barriere tra gli Stati membri, soltanto per le merci extraeuropee era prevista la possibilità dell’immagazzinamento nel territorio dell’Unione, senza assolvere i dazi e le imposte nazionali, come l’IVA. Scopo della norma è stato di evitare di assoggettare ad IVA tutti i singoli passaggi in caso, in particolare, di cessioni intracomunitarie e di immissione in libera pratica di beni non comunitari: l’introduzione nei depositi all’uopo istituiti comporta il differimento dell’obbligo di assolvimento dell’imposta fino al momento dell’estrazione delle merci per l’immissione in consumo e pone l’obbligo direttamente a carico dèll’ultimo acquirente (il comma 6 della norma stabilisce al riguardo che….la base imponibile è costituita dal corrispettivo o valore relativo all’operazione non assoggettata all’imposta per effetto dell’introduzione ovvero, qualora successivamente i beni abbiano formato oggetto di una o più cessioni, dal corrispettivo o valore relativo all’ultima di tali cessioni, in ogni caso aumentato, se non già compreso, dell’importo relativo alle eventuali prestazioni di servizi delle quali i beni stessi abbiano formato oggetto durante la giacenza fino al momento dell’estrazione).

2.2.3. I depositi fiscali sono luoghi fisici, ubicati sul territorio italiano, adibiti alla custodia di beni non destinati alla vendita al minuto nei locali dei medesimi depositi, in cui le merci entrano e stazionano e da cui escono al momento dell’estrazione: essi si differenziano sia dal deposito doganale (contemplato dagli art. 98 e ss. codice doganale comunitario), inteso come regime doganale, sia dal deposito fiscale per le accise, configurato come impianto, in cui avvengono la fabbricazione, la lavorazione, la trasformazione e la detenzione dei prodotti soggetti ad accisa, in regime sospensivo (D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 1, comma 2, lett. c), entrambi, peraltro, considerati depositi IVA dall’art. 50-bis. La fisicità del deposito IVA e la necessità dell’inserimento fisico in esso dei beni emergono inequivocabilmente già dalle scelte semantiche del legislatore, che ha impiegato verbi come introdurre, il quale evoca l’attività fisica dell’immettere dentro qualcosa, e lemmi come custodia che suggerisce il rapporto, anch’esso fisico, con la cosa che ne è oggetto (conformi, nel senso che la materiale introduzione delle merci nel deposito è richiesta dall’art. 50-bis, anche se non esplicitamente prevista, vedi, fra varie, Cass. nn. 2697/2014, 20958/2013, 11642/2013, 12263/2010).

2.2.4. Nè valgono a smentire queste conclusioni le norme d’interpretazione autentica del D.L. n. 331 del 1993, art. 50-bis, comma 4, succedutesi nel tempo, per mezzo del D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5-bis, come convertito, successivamente modificato dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, secondo cui, nel testo da ultimo novellato, l’introduzione s’intende realizzata anche negli spazi limitrofi al deposito IVA, senza che sia necessaria la preventiva introduzione della merce nel deposito.

La norma, difatti, si riferisce alla sola lett h) dell’art. 50-bis, comma 4 ossia alle prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito IVA, non già alle operazioni, rilevanti nel caso in esame, di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA, oggetto della lettera b) del medesimo comma. E’ proprio la circostanza che si abbia riguardo a prestazioni di servizi, tra le quali sono annoverate quelle di perfezionamento e di manipolazione, a richiedere la disponibilità di spazi ulteriori rispetto al solo deposito, rendendo logico il riferimento soltanto a tale ipotesi della norma interpretativa.

La disposizione interpretativa in questione, in definitiva, contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dalla Commissione Territoriale, in luogo di smentire, conferma la necessità dell’introduzione fisica nel deposito dei beni non comunitari immessi in libera pratica, ossia dei beni che hanno acquisito lo status di merce che può circolare liberamente all’interno dell’Unione europea per effetto dell’assolvimento delle procedure doganali e del pagamento dei relativi dazi, per evitare l’immediato assolvimento dell’imposta sul valore aggiunto necessaria per la loro immissione in consumo, ossia per il loro inserimento nel circuito commerciale nazionale: è occorsa un’espressa disposizione, dettata dalla peculiarità del suo oggetto, volta ad ampliare la nozione di introduzione della merce nel deposito (v. Cass. n 15980/2015).

2.2.5. Cosi ricostruito il quadro normativo del diritto interno, va considerato che in tema è intervenuta la CGUE, con la sentenza 17 luglio 2014, in causa C-272/13, Equoland Soc.coop. a r.l., la quale ha fissato i seguenti principi:

1) l’art. 16, par. 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2006/18/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006, nella sua versione risultante dall’art. 28 quater della sesta direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che subordini la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini di tale imposta siano fisicamente introdotte nel medesimo.

2) La sesta direttiva 77/388, come modificata dalla direttiva 2006/18, deve essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo.

2.2.6. Consegue ai principi formulati dalla Corte di Giustizia che, ferma la legittimità dell’obbligo previsto dalla legislazione nazionale di procedere alla effettiva introduzione delle merce nel deposito fiscale IVA per potersi avvalere del differimento della corresponsione dell’IVA dovuta al momento dell’importazione della merce, tuttavia l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’IVA all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 4, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sia pur tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione (Cass. nn. 19749/2014, 16109/2015, 15988/2015, 17815/2015 e altre).

2.2.7. La natura formale della violazione, qualora l’assolvimento dell’IVA sia avvenuto con le modalità individuate dalla Corte di giustizia, tuttavia non esclude la irrogazione di sanzioni.

La Corte di giustizia ha, infatti, confermato la legittimità della previsione da parte di uno Stato membro, nella propria normativa nazionale, di sanzioni appropriate, volte a penalizzare il mancato rispetto dell’obbligo di introdurre fisicamente una merce importata nel deposito fiscale al fine di garantire l’esatta riscossione dell’IVA all’importazione e di evitare l’evasione (par. 33 della sentenza Equoland), precisando che dette sanzioni debbono essere conformi al principio di proporzionalità, tenendo conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che la sanzione mira a penalizzare, nonchè delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa (par. 35 della sentenza Equoland) (cfr. sul punto Cass. nn. 15988/2015, 17814/2015).

2.3. Pertanto, alla luce di tali principi, in ragione della natura delle sentenze interpretative della CGUE, aventi efficacia erga omnes rispetto a vicende omogenee a quelle esaminate in sede di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE e alla rilevabilità ex officio delle questioni che involgono l’applicazione del diritto UE al fine di evitare possibili contrasti fra diritto interno e diritto sovranazionale (Cass. nn.13065/2006, 16130/2007; Cass SSUU n. 26984/2006), il ricorso va respinto.

2.4. Infatti, il primo motivo risulta infondato perchè la decisione della Commissione è conforme alla giurisprudenza unionale prima ricordata, atteso che ha escluso che ricorresse una evasione di imposta nel caso di assolvimento dell’IVA mediante autofatturazione, pur in assenza dell’introduzione fisica della merce nel deposito fiscale.

La errata interpretazione data dalla Commissione alla novella introdotta con il D.L. n. 185 del 2008, art. 16, comma 5/bis, conv. in L. n. 2 del 2009 (v. sub 2.2.5.) risulta del tutto marginale e priva di incidenza sulla statuizione finale, che è immune dal vizio denunciato.

2.5. Quanto alla seconda censura, svolta come vizio motivazionale, la stessa non coglie nel segno ed è inammissibile perchè non considera la complessiva ratio decidendi espressa dalla Commissione, già esaminata con il primo motivo ed immune da vizi per quanto detto.

2.6. Non rileva nel procedimento in esame la questione pregiudiziale sollevata dinanzi alla Corte di Giustizia con l’Ordinanza di questa Corte n. 9278/2016.

3.1. In conclusione il ricorso va rigettato per infondatezza del primo motivo ed inammissibilità del secondo.

3.2. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La Corte di cassazione,

– rigetta il ricorso per infondatezza del primo motivo ed inammissibilità del secondo;

– condanna la Agenzia delle dogane alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida nel compenso di Euro 10.260,00, oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2016

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