Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16985 del 04/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 04/08/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 04/08/2011), n.16985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25B, presso lo studio dell’avvocato PESSI

ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

C.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 33/2009 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO del 10/02/09 depositata il 20/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/05/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SAVERIO TOFFOLI;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

Fatto

MOTIVI

La Corte pronuncia in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c. a seguito di relazione ex art. 380-bis.

Il Tribunale di Taranto accoglieva parzialmente la domanda proposta da C.P. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta alla declaratoria di illegittimità dell’apposizione di termine al contratto di lavoro intercorso tra le parti nel periodo dal 3.1.2000 al 29.2.2000 con riferimento ad “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione”. Dichiarava la nullità del termine e condannava le Poste a riammettere il ricorrente nel posto di lavoro già assegnatogli, ma non anche a pagargli le retribuzioni maturate per mancanza di prova in ordine alla messa in mora del datore di lavoro.

A seguito di appello delle Poste, la Corte d’Appello di Bari rigettava l’impugnazione.

La società ha proposto ricorso con due motivi. L’intimato non si è costituito.

Il primo motivo, deducendo violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, nonchè vizi motivazione, propone censure relative alla ipotesi di una risoluzione dei rapporti di lavoro per mutuo consenso.

Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al relativo contratto di un termine finale ormai scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (Cass. 23554/2004 e numerose altre successive). La Corte d’appello, dichiarando che la mera inerzia della parte lavoratrice non poteva essere interpretata come fatto estintivo del rapporto (in quanto tale effetto è ravvisabile solo con il concorso di altre circostanze significative, tra le quali non possono annoverarsi i normali adempimenti correlati ad un’apparente conclusione del rapporto), ha fatto corretta applicazione degli esposti principi al caso in esame, facendo riferimento a logiche valutazioni di tipicità sociale con riguardo alla semplice inerzia del lavoratore nella situazione descritta (presumibile mancata piena consapevolezza circa l’esistenza di un’ipotesi di illegittimità di ricorso al contratto a termine, riscossione del t.f.r. per esigenze economiche, ecc).

Il secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 1362 c.c., dell’art. 1363 c.c. e segg. nonchè vizio di motivazione su fatto controverso e decisivo, censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto illegittimamente apposto il termine ai contratti di lavoro e in particolare nella parte in cui ha ritenuto di individuare nella data del 30.4.1998 il preteso termine ultimo di validità ed efficacia temporale dell’accordo integrativo del 25.9.1997, sostenendo con vari argomenti che, in sostanza, se si analizza tanto l’accordo del 25.9.1997 quanto la disciplina collettiva posteriore alla sua stipula, facendo corretta applicazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., e segg., è evidente che tali accordi hanno sempre avuto mera natura ricognitiva di una situazione contingente e non fissano alcun termine temporale.

Il motivo deve essere disatteso, in base all’indirizzo in materia, ormai consolidato, dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001).

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2.3.2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4.8.2008 n. 21063, v. anche Cass. 20.4.2006 n. 9245, Cass. 7.3.2005 n. 4862, Cass. 26.7.2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4.8.2008 n. 21062, Cass. 23.8.2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo), la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23.8.2006 n. 18383, Cass. 14.4.2005 n. 7745, Cass. 14.2.2004 n. 2866).

In particolare, quindi, nella specie, come questa Corte ha più volte affermato e come va enunciato anche in questa sede, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le altre, Cass. 1.10.2007 n. 20608, Cass. 27.3.2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Tale interpretazione degli accordi attuativi (ed in specie dell’ultimo citato) è fondata sul significato letterale delle espressioni usate che è così evidente e univoco (“in conseguenza di ciò e per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30.4.98”) che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453), mentre, diversamente opinando – ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga – si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti dalle parti sindacali, fossero in sostanza “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Peraltro al riguardo irrilevante è l’accordo del 18 gennaio 2001, invocato dalla società, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga; ed infatti, ammesso che le parti stipulanti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), considerata la indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, deve comunque escludersi che le parti stesse avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

Giustificatamente, quindi, in relazione all’epoca di stipulazione del contratto di lavoro, la Corte di merito ha ritenuto nella specie l’invalidità del relativo termine.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Nulla per le spese stante la mancata costituzione in giudizio della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2011

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